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I filosofi del fuoco

Per una epistemologia debole dell'alchimia

Elio Occhipinti

Mimesi -2009


Avvertenze:

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"Se l'alchimia è un sapere, che tipo di sapere è? Può essere ricondotto a schemi logico-razionali o necessita di un'apertura a significati e visioni non comuni? Perché l'alchimia è così misteriosa? E perché molti hanno la sensazione di smarrirsi nell'affrontare il linguaggio alchemico? Infine, in un mondo ipertecnologico e iperscientifico l'alchimia ha ancora un senso?

Queste sono solo alcune delle domande a cui questo saggio intende dare una risposta partendo dallo strumento epistemologico col fine di delineare a quale tipo di conoscenza l'alchimia attinga e quale visione del mondo essa trasmetta. Un saggio per tutti, per chi inizia ad avvicinarsi a quest'arte e per chi già la "frequenta" da tempo. Insomma, per tutti quegli uomini-alchimisti curiosi di conoscere quale modalità inusuale, eppure efficace, per conoscere sé stessi e il mondo l'alchimia possa offrire, per prendere iniziative, agire in conformità con le leggi della Natura e trasformare il semplice sapere tecnico in un saper vivere.

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Quello che riporto qui sopra è il contenuto della quarta di copertina del libro che ne riassume molto bene il contenuto. L'aspetto interessante del libro è che è stato scritto da una persona che appartiene contemporaneamente alla cultura moderna (l'autore è laureato in filosofia e psicologia) e a quella tradizionale di carattere esoterico. Di solito invece si incappa o nel moderno o nel tradizionale. Devo dire però che le mie aspettative iniziali sono state un po' deluse mano a mano che procedevo nella lettura perché mi sono trovato davanti la solita contrapposizione muro contro muro tra modernità e tradizione. Da una parte c'è Umberto Eco che sparacchia le solite argomentazioni razionalistiche e dall'altra c'è l'autore che si sforza di difendere un tipo di conoscenza "altra" che consentirebbe di accedere a un piano "superiore" dove vigono leggi diverse da quelle che prende in considerazione la filosofia nella sua branca "epistemologica".  Niente di nuovo sotto il sole, cambia solo lo stile delle argomentazioni che sono effettivamente più sottili di quanto di solito capita di leggere.

A parte questo, il libro è comunque interessante perché ricchissimo di contenuti e indicazioni utili. Non è facile parlare di alchimia senza ripetere le solite banalità, tipo "L'alchimia è l'antenata della chimica moderna" oppure "L'alchimia si proponeva di trasformare il piombo in oro".

Secondo me, le domande fondamentali alle quali bisogna trovare risposta quando si parla seriamente di alchimia, senza ricorrere alle solite fumisterie, sono queste:

  1. In che cosa consiste, concretamente, lo strumento conoscitivo che secondo Occhipinti consente di ottenere  una "apertura a significati e visioni non comuni"?

  2. Questa apertura è a disposizione di tutti? Se sì, come la si ottiene? Se no, quali sono i privilegiati che possono ottenerla? Viene concessa o bisogna costruirsela? Entrambe le cose?

  3. Una volta definito questo strumento di conoscenza, in che rapporto gerarchico esso sta con la conoscenza di tipo discorsivo-razionale? Come si trasferiscono le conoscenze da un piano all'altro?

La lettura del libro mi ha suggerito molte riflessioni che preferisco proporvi facendole seguire immediatamente al testo originale che le ha stimolate. In questo modo sarà più facile e comodo seguire il filo delle argomentazioni che sottopongo all'attenzione del lettore.




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... viene spontaneo chiedersi quale potesse essere la loro intenzione nel trasmettere il loro sapere in quel modo così oscuro. Bisogna riconoscere che questo modo di trasmettere è comune a tutte le vie sapienziali. Si tratta di un sistema per sollecitare la coscienza dell'apprendista a rompere gli schemi abitudinari logico-razionali e aprirsi a nuove possibilità di conoscenza espandendo la propria visione della realtà e del cosmo. 

Ho qualche dubbio che fosse davvero questo il motivo che spingeva gli alchimisti ad esprimersi in modo così oscuro. È più probabile che essi volessero nascondere al “volgo” una conoscenza che, secondo loro, conferisce poteri che si prestano ad essere usati male se entrano in possesso di chi è ancora preda delle passioni volgari. Mi sembra che l'alchimista Pernety lo dica in modo esplicito. A parte questo, inoltre, potrebbe esserci anche un'altra ragione cioè il fatto che  gli alchimisti, per loro stessa ammissione, erano anche “invidiosi” nel senso particolarissimo che essi davano a questo aggettivo. Fornivano infatti istruzioni operative volutamente errate per depistare e scoraggiare i neofiti non sufficientemente qualificati e motivati.

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È quindi possibile affrontare questi testi utilizzando un approccio conoscitivo che tenga conto della diversità del sapere alchemico e del suo essere un percorso di conoscenza coerente e innovativo.

Che fosse innovativo non c’è dubbio, ma sarei più cauto nell’affermare che fosse anche coerente, almeno nei testi presi alla lettera. A parte questo, mi sembra difficile poter garantire la coerenza nel momento stesso in cui si rifiutano gli schemi logico-razionali all'interno dei quali risulta basilare il principio di non contraddizione.

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L'alchimia è un sapere che, invece di essere all'interno degli schemi logico-razionali a cui siamo abituati, necessita di un'apertura a significati e visioni non comuni.

Le visioni alle quali si riferisce Occhipinti rappresentano, per fare un esempio, il particolare strumento di conoscenza che sta alla base dei contenuti dei "Veda" indiani. Il titolo di quei libri sacri ha infatti la stessa radice indoeuropea del verbo "vedere". Ed è proprio di questo strumento di conoscenza che mi propongo di parlare in queste mie riflessioni, senza peraltro volerlo escludere a priori, altrimenti tornerei alla contrapposizione muro contro muro, scienza moderna in opposizione all'alchimia.

A parte il continuamente ribadito rifiuto degli schemi logico-razionali,  io mi domando: "Questa apertura a significati e visioni non comuni. fino a che punto si può spingere? Ma è davvero possibile buttare via completamente gli schemi logico-razionali? È possibile sostenere una tesi e contemporaneamente quella contraria?". Senza considerare poi che - anche a voler prescindere dall’aspetto strettamente esoterico - da quei significati e da quelle visioni vengono sempre ricavate sia strutture sociali molto particolari (sistema delle caste, per esempio) sia regole di comportamento pratico da applicare nella vita profana la quale non può prescindere, nemmeno essa, dalla coerenza, almeno in linea di principio.

Infine, resta comunque sempre da risolvere il problema di quale criterio condiviso (quindi accettato) bisogna usare per stabilire chi ha torto e chi ha ragione quando vengono sostenute tesi che si escludono a vicenda. Probabilmente non è un caso che nel mondo dell’esoterismo esista una vera e propria giungla inestricabile  di organizzazioni, società e gruppi ognuno dei quali si autoproclama detentore dell’unica, autentica interpretazione delle verità ultime. A poco serve affermare che nella sostanza si rifanno tutte alle stesse verità universali (vedi Schuon “Unità trascendente delle religioni"). Quando infatti andiamo a confrontare questa affermazione con la realtà, i fatti concreti la smentiscono clamorosamente. Tra le organizzazioni esoteriche esiste da sempre la polemica relativa al possesso o meno della filiazione regolare, della successione legittima. Quasi tutte accampano una pretesa di legittimità ricorrendo al comodo espediente di retrodatare la propria origine fino ad un passato talmente remoto da risultare inverificabile sul piano storico. Per convincersi della babele che esiste in questo campo consiglio di leggere “Il cappello del mago” di Massimo Introvigne. Ecco perché, a mio avviso, bisogna pensarci bene mille volte prima di considerare gli schemi logico-razionali una palla al piede di cui bisogna liberarsi se si vuole avere accesso alle visioni e ai significati promessi dall’alchimia.

A questa mia osservazione si potrebbe obiettare che l’alchimista lavora da solo, non aderisce a nessuna organizzazione perciò non ha senso assimilarlo a chi invece fa parte di una setta esoterica. L’obiezione è giusta, ma quello che hanno in comune l’alchimista e l’esoterista non è l'adesione a una setta, quanto piuttosto lo strumento che entrambi dicono di usare per acquisire la conoscenza cioè l’intuizione-visione di cui parla Occhipinti, appunto.

Pur concordando con Occhipinti sul fatto che una “forma mentis” eccessivamente scientifica o addirittura “scientista” rappresenta un ostacolo per la comprensione dell’alchimia, a me sembra più probabile che la trasformazione mentale richiesta a chi vuole avvicinarsi a questa conoscenza misteriosa non consista nell’abbandono degli schemi logico-razionali, ma nel sottoporli ad una trasformazione analoga a quella che la psicologia chiama “sublimazione”. Non bisogna  buttare via quegli schemi in quanto considerati un ostacolo all’ottenimento della conoscenza, ma renderli operanti a livelli più sottili cioè validi non più soltanto sul piano formale-matematico.

Se esaminiamo il “modus operandi” tipico degli alchimisti, del resto, troviamo che essi usavano lo stesso principio della verifica del risultato che sta alla base del metodo scientifico. Anche le nozioni di tempo, di quantità, di velocità e di esperimento sono una presenza addirittura quasi ossessiva nei testi degli alchimisti.

Allora forse si tratta di ottenere una INTEGRAZIONE tra la mentalità richiesta dall’alchimia e quella richiesta dal metodo scientifico. Integrazione che dovrebbe consistere nel realizzare uno stato interiore particolarissimo e difficilissimo da ottenere (ma c’è qualcosa di facile nell’alchimia?): temperare la passività-apertura totale richiesta dalle intuizioni-visioni con un minimo di presenza vigile e ancora critica, nel senso filosofico di quest'ultimo termine.

A questo atteggiamento mentale di partenza, poi, andrebbe aggiunto l’abbandono da parte degli alchimisti del solito rigetto sprezzante nei confronti dei risultati della scienza profana. Ho sottolineato e evidenziato con il grassetto la parola "risultati" perché non si tratta di adottare il metodo scientifico-matematico, ma di:

sottoporre a verifica le conoscenze ottenute con l’intuizione-visione confrontandole con i risultati ottenuti dalla scienza profana.

Questo metodo da me proposto risulterà subito meno bizzarro e peregrino se si pensa a quanto afferma la “Tavola Smaragdina” cioè la bibbia degli alchimisti:

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e inversamente, per formare le meraviglie della cosa unica”.

Grazie a questo metodo, che non esiterei a definire rivoluzionario, si potrebbero individuare ed eliminare gli errori, anche madornali, contenuti nella conoscenza ottenuta usando soltanto l’intuizione-visione. Per esempio, il modo in cui abitualmente gli esoteristi concepiscono la natura e il ruolo del femminile nel mondo. Essi infatti, avendo assimilato analogicamente la donna alla "terra", nella procreazione le riservano un ruolo esclusivamente di "nutrimento" del seme del maschio il quale, sempre secondo loro, sarebbe l'unico a possedere l'autentico potere generatore. È evidente che questo errato modo di vedere deriva dall'avere assegnato al maschio lo stesso ruolo che ha il contadino in agricoltura cioè quello di chi inserisce un seme in un buco della terra e lascia a quest'ultima il compito di nutrirlo e farlo crescere. È da questo errore madornale, prodotto dall'ignoranza, che nel corso dei millenni è derivata la sistematica svalutazione  del ruolo della donna nella società. Vale la pena di sottolineare che questo errore è già presente in India fin dall'VIII secolo avanti Cristo. Per convincersene basta leggere l'Aitareya Upaniṣad (IV,1,2,3) cioè proprio uno di quei testi i cui contenuti sono stati ottenuti con la visione-intuizione tanto magnificata da Occhipinti e da tutti gli esoteristi. Voglio insistere su questo punto cruciale perché dimostra che quel metodo di conoscenza non è esente da errori anche di natura fondamentale come quello che ho appena segnalato. 

Il guaio è che - se si rifiuta il metodo da me proposto - non possediamo nessun criterio oggettivo e condiviso per distinguere le visioni-intuizioni autentiche da quelle fasulle. Lo stesso Occhipinti del resto riconosce (vedi qui sotto) che già i nostri antenati greci si resero conto che era necessario organizzare la conoscenza secondo le nuove categorie della logica perché il cosmo era diventato troppo caotico. La scommessa, allora, consiste nel riuscire a recuperare quella parte della realtà che viene esclusa dalla logica, ma senza ritornare al cosmo troppo caotico che esisteva prima della comparsa della logica. Già, perché non bisogna chiudere gli occhi di fronte al fatto che il mondo che c’era prima della logica non era soltanto sovrarazionale, era anche caotico!

Un esempio di quanto sia facile sconfinare nel visionarismo puro e semplice quando si usa soltanto l’intuizione-visione è rappresentato da una certa parte delle opere di Rudolf Steiner, più in particolare quella in cui si abbandona a divagazioni sulle forme iniziali dell'universo, della Terra, del Sole, della Luna e dell'essere umano, divagazioni che lasciano francamente perplessi, a dir poco. Vedi per esempio il suo libro "I misteri dell'antico Egitto".  È lo stesso Steiner, del resto, ad avvertire ripetutamente che anche questo tipo di conoscenza non è infallibile (per esempio, vedi "Cronaca dell'Akasha") .  Lui scrive: "Si troverà sempre, nelle cose essenziali, una concordanza in ciò che i diversi iniziati possono raccontarci degli avvenimenti storici e preistorici". Già, ma quali sono le cose essenziali?  Qui ci troviamo di fronte al solito problema: gli iniziati non ci dicono qual è il  metodo per stabilire se un'affermazione è vera o falsa, si limitano  a scrivere con l'iniziale maiuscola  i concetti che loro  considerano  indubitabili: il Vero, il Falso, il Buono, la Virtù, ecc.

Anche Giuliano Kremmerz (Ciro Formisano) metteva opportunamente in guardia contro i rischi e i pericoli che presenta il metodo che lui chiama "soggettivo" per distinguerlo da quello oggettivo usato dalla scienza profana. Kremmerz si riferiva al mondo della "medianità" cioè a un mondo meno alto rispetto a quello al quale si riferiva Guénon, ma l'analogia resta comunque valida per chiarire ulteriormente quello che intendo dire.

 Per quanto riguarda l'uso dell'intuizione, poi, vi invito a leggere quanto ho scritto a proposito di C. G. Jung nel link che riporto qui in fondo.

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Già i nostri antenati greci erano coscienti che, codificando e organizzando la conoscenza attraverso le nuove categorie della logica, si eseguiva un'opera di esclusione su buona parte della realtà a cui i sensi dell'uomo hanno accesso. Malgrado ciò, tuttavia, dal momento che il bisogno era ormai quello di porre ordine in un cosmo troppo caotico, limitare la realtà solo a ciò che era osservabile era in fin dei conti il male minore. Sul cosmo e sul suo divenire si elaborarono dunque delle teorie proto scientifiche e buona parte degli studiosi moderni fa risalire la nascita dell'alchimia a questo momento di passaggio tra conoscenze sovrarazionali e razionalità scientifica. Questo momento di passaggio portò l'alchimia a porsi come terza via tra un mondo diurno che si avviava a dare il predominio agli assunti della logica e un mondo notturno luogo dei misteri.

Se l'alchimia si pone davvero come terza via tra il mondo diurno della logica e quello notturno dei misteri, questa terza via va definita con chiarezza e non semplicemente postulata, altrimenti la scelta torna ad essere confinata entro le  due solite vie: logica o intuizione, vale a dire Umberto Eco o Elio Occhipinti.

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... la logica scientifica, alla continua ricerca di una oggettività assoluta, ha fatto di tutto per evitare la soggettività dello sperimentatore. Ma questo atteggiamento si è dimostrato ottuso e limitante, come ormai afferma un buon numero di scienziati che hanno preso atto della contemporanea materialità-immaterialità e determinatezza-indeterminatezza della realtà fisica.

Su questo punto ci sarebbe da scrivere un libro intero. Si dovrebbe cominciare  con il chiarire un punto fondamentale che invece mi sembra ignorato sia dai fisici-filosofi che dai filosofi-fisici: il principio di indeterminazione di Heisenberg e il concetto di immaterialità del reale risultano validi solo a livello del mondo delle particelle subatomiche e non a quello del mondo macroscopico in cui viviamo quotidianamente. Esempio: se dal decimo piano di un edificio ci cade sulla testa un vaso di fiori, sarà difficile convincerci che quel vaso è “immateriale”, ammesso che a quel punto sia ancora possibile convincerci di alcunché. L'esempio è un po' rozzo, ma credo convincente. Ancora: un'eclissi di sole può essere prevista con la precisione del secondo. A nessuno verrebbe in mente di metterla in dubbio in quanto influenzata dalla soggettività di chi la prevede sulla base dei calcoli. E lo stesso si può dire nei confronti di tutte le leggi fisiche che sono state confermate da un esperimento.

A questo proposito mi viene fatto di pensare che ogni volta che nella storia della scienza è comparso un nuovo concetto ancora non sufficientemente chiarito e definito - per esempio il magnetismo, l'elettricità, la radioattività - quel concetto è stato sempre usato per sostenere ipotesi e teorie che in seguito si sono rivelate del tutto fantasiose. In questo campo sembra si verifichi lo stesso fenomeno che viene sfruttato nei test proiettivi usati dagli psicologi: al soggetto viene proposto uno stimolo visivo così vago e indeterminato da consentire che su di esso vengano proiettati i contenuti più diversi. Bisognerebbe tenerlo presente quando si magnifica il metodo di conoscenza basato sulla visione-intuizione. Senza considerare, poi, che questo metodo è espostissimo al rischio che a manifestarsi siano i contenuti provenienti dall'inconscio del soggetto che sta operando. Questa sì che sarebbe una soggettività dello sperimentatore!

Credo che la contrapposizione muro contro muro delle due visioni del mondo - quella scientifica e quella propria dell'alchimia – sia da evitare perché assolutamente sterile. Da una parte si ottiene l'atteggiamento di chiusura-rifiuto fatto proprio da Occhipinti, dall'altra quello altrettanto negativo fatto proprio da Umberto Eco.

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In questa sede, l'impiego dello strumento epistemologico si ricollega all'anarchismo metodologico di Feyerabend (uno dei filosofi che maggiormente si sono schierati contro il potere della filosofia della scienza e del suo tentativo di imporre alla ricerca scientifica canoni e norme a cui uniformarsi. Per progredire, la scienza ha invece bisogno della più assoluta libertà).

L'anarchismo metodologico rappresenta l'impostazione più adatta per affrontare l'a-scientificità dell'alchimia (secondo i parametri della scienza accademica) che può essere studiata soltanto se chi vi si accinge riesce a infrangere le regole del pensiero così come le ha da sempre concepite.

Del resto, la storia della conoscenza appare costellata di strappi: solo lacerando la regola dello status quo mentale ogni epoca ha potuto assistere alla nascita di nuove concezioni e stabilire nuovi traguardi. Questa analisi del pensiero alchemico vuole svincolarsi dalla pretesa di rintracciare nei testi degli alchimisti una epistemologia coerente e razionale, cioè vincolata alla sterile e bloccante concezione secondo la quale i fenomeni della natura sono spiegabili in termini puramente fisici e chimici.

Qui mi sembra sia presente il solito equivoco che compare spesso nelle argomentazioni di tutti quelli che polemizzano con gli scienziati moderni,  un equivoco peraltro gravido di conseguenze e implicazioni negative. Infatti la convinzione che i fenomeni della natura siano spiegabili in termini soltanto fisici e chimici non appartiene alla scienza, ma allo scientismo. Quest’ultimo sta alla scienza come il fanatismo religioso sta alla religione. La scienza si limita ad affermare che solo rispettando il suo metodo si possono ottenere risultati condivisibili da parte di tutti. La scienza potrebbe quindi essere definita un metodo per risolvere le controversie teoriche esistenti tra gli scienziati.

È facile constatare che, al di fuori del campo della scienza, esistono diatribe condannate a durare all’infinito perché tutti si dichiarano in possesso della verità, ma nessuno possiede un metodo oggettivo per dimostrarlo. Dicendo questo non intendo però sostenere che il laboratorio dell’alchimista dovrebbe essere trasferito al CERN di Ginevra. Intendo dire un’altra cosa cioè che bisognerebbe essere molto, molto cauti nel ripudiare il metodo scientifico e nell’esaltare incondizionatamente il metodo di conoscenza basato sull’intuizione. Dicendo questo, del resto, non dico niente di diverso da quanto credevano gli stessi alchimisti i quali si guardavano bene dal sostenere l’infallibilità dell’intuizione. Tanto è vero che sottoponevano i suoi contenuti alla continua, sistematica e inappellabile verifica del crogiuolo.

Secondo me, i contenuti ottenuti con l’intuizione dovrebbero avere lo stesso valore e la stessa funzione che nella scienza hanno le teorie che per definizione sono solo ipotesi di lavoro che per diventare leggi hanno bisogno di essere verificate con l’esperimento. E gli alchimisti proprio questo facevano quando andavano a controllare se nel crogiuolo - dopo tutte le complesse operazioni psico-fisiche che avevano compiuto - c’era o non c’era l’oro. Oro da intendere in senso non solo fisico-materiale.

In conclusione, l’intuizione da sola non basta, anzi è pericolosa perché genera il caos che c’era prima dei filosofi greci. Ce lo dice lo stesso Occhipinti. In altre parole, non mi sembra corrispondere al vero che, per potersi dedicare all’alchimia, sia preventivamente necessario “disintossicare” la mente dalle categorie logico-razionali. Al contrario! Quello che invece mi sembra indispensabile è non interpretare quelle categorie “stricto sensu” perché allora sì che risultano limitanti per la comprensione dell’alchimia. Ma solo in questo caso.

Quanto alla assoluta libertà di cui deve godere la scienza per progredire (come dice Occhipinti), è vero, questa libertà deve esserci, ma solo nella fase preliminare in cui si costruiscono le ipotesi. Diventano leggi solo le ipotesi che risultano confermate dagli esperimenti e in questa seconda fase, di libertà ce n’è ben poca.

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Con la nascita delle nuove teorie scientifiche, dalla teoria della relatività alla meccanica quantistica, l'alchimia ha avuto la possibilità di essere rivalutata, trovando una sua originale collocazione e un rinnovato prestigio.

Su questo punto si vedano le mie perplessità espresse sopra.

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Il primo passaggio necessario al nostro studio è di rintracciare l'origine della convinzione secondo la quale le conoscenze basate su una metodologia fondata razionalmente e logicamente sono l'unico criterio di verità accettabile

Vedi sopra. Mi sembra difficile contestare che le conoscenze basate su una metodologia fondata razionalmente e logicamente siano le uniche che possiedono un criterio condiviso e oggettivo di verità. Per convincersene basta guardare il caos di teorie esistente nel campo degli esoteristi.

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Le teorie scientifiche spostano la loro attenzione da un mondo ricco di eventi, a un mondo limitato e misurabile nel quale le emozioni non hanno più alcuna importanza se non negli ambiti della speculazione filosofica e religiosa.

È una scelta obbligata se si vogliono ottenere risultati condivisi in quanto dimostrabili. Al di fuori di questa scelta ci sono soltanto teorie magari anche vere, ma indimostrabili oggettivamente. La scienza si ferma a indagare un mondo che è limitato, è vero, ma al di là di quei limiti c’è la babele di lingue alla quale ho già accennato. Ecco perché si impone la ricerca e la messa a punto di un metodo che riesca a conciliare la  visione-intuizione con la razionalità.

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Per affrontare la questione del senso del mondo, propongo di dare uno sguardo alle opinioni riportate in proposito da alcuni scienziati contemporanei i quali dimostrano di essere molto più attenti alle questioni filosofiche di quanto non lo siano stati in passato i loro colleghi.

Questa nuova disposizione alla filosofia posseduta da alcuni scienziati contemporanei, da un lato può essere vista  come un arricchimento, ma dall’altro può anche aprire le cateratte delle speculazioni più cervellotiche. A questo proposito mi viene in mente il contenuto del libro “La gnosi di Princeton”, di R. Ruyer. Questo uso forsennato della fantasia senza briglie può essere utile solo nella fase del cosiddetto “brainstorming”in cui per definizione non si esclude nessuna ipotesi, anzi se ne favorisce la moltiplicazione.

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Tornando al tema della conoscenza e alla possibilità per l'uomo di fare conoscenza, è indispensabile tenere conto del continuo processo di separazione che la mente umana opera sulla realtà.

Questo è vero, ma affermandolo non bisognerebbe dimenticare che l’altra conoscenza, quella cosiddetta “olistica-unitiva”, finisce paradossalmente  per offrirci un quadro del mondo e della realtà talmente frammentato e contraddittorio da risultare inestricabile. Il senso del mondo di cui si era alla ricerca si volatilizza e scompare.

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È stato Anassagora a compiere il primo passo verso l'inganno del dualismo che induce la coscienza a preferire le operazioni mentali che separano la realtà da quelle che tendono ad unificarla. Ogni analisi dei processi del conoscere, della formazione della coscienza e della sua storia non può pertanto prescindere da questo inganno.

Vedi sopra. Sarei molto cauto nel definire “inganno” il dualismo. Perché anche le operazioni mentali che unificano la realtà non ne offrono un quadro univoco perciò anch’esse ingannano come fa il dualismo. Per convincersene basta dare anche un rapido sguardo alla storia. L’intuizione unificatrice non è mai esistita al singolare. È esistita solo una babele di intuizioni diverse, in costante lotta tra di loro per il predominio. Perché le persone che hanno queste intuizioni, di solito non si limitano a fruirne in ambito strettamente personale, ma ne ricavano principi e valori in base ai quali pretendono di organizzare la società, gli altri uomini.

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Quando studiamo la storia della coscienza, scopriamo che essa viene descritta attraverso il…. dualismo, nel solco di una posizione teorica che attribuisce ai fenomeni della coscienza un'entità immateriale (l'anima oppure lo spirito) che viene considerata legata al corpo e contemporaneamente distinta da esso.

I più celebri difensori moderni del dualismo sono il filosofo Karl Popper e il neurofisiologo John Eccles.

Sebbene il dualismo sia oggi ampiamente rifiutato nei circoli filosofici e scientifici…..

Poiché Popper ed Eccles non erano propriamente degli sprovveduti, anche qui andrei molto cauto prima di schierarmi a favore dell’una o dell’altra parte. Nella prefazione al loro libro ”L’Io e il suo cervello”, essi scrivono: ”Il problema del rapporto tra i nostri corpi e le nostre menti…. è indubbiamente uno dei più impegnativi…. Gli autori di questo libro ritengono improbabile che esso possa essere mai risolto”.

In ogni modo, la tesi di coloro che credono che la coscienza “emerga” quando nel cervello l’attività dei neuroni arriva ad un determinato livello di auto-organizzazione (Christof Koch) riceverebbe una netta smentita se fosse vera la convinzione che avevano gli alchimisti di poter “agire mentalmente” sulla  materia accelerandone il naturale processo di perfezionamento. Dice giustamente Occhipinti:

"Per riportare tutto questo discorso all'alchimia, si può arguire che le antiche classificazioni ermetiche che l'alchimista utilizza nella sua pratica operativa sono contemporaneamente corpi fisici e anche, soprattutto, rappresentazioni mentali".

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….. appare difficile individuare una sede precisa della coscienza, sembra piuttosto che esista un pulsare dinamico di varie funzioni cerebrali che assumono, di volta in volta, il ruolo di centro gravitazionale in grado di organizzare la consapevolezza.

Occhipinti non se l’abbia a male, ma queste parole, oltre a suonare molto bene, non dicono  granché. Come del resto non dicono granché nemmeno quelli che sostengono essere la coscienza una funzione emergente dall'insieme dei processi elettro-chimici che avvengono nel cervello. Vedi qui sotto.

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 Negli ultimi decenni si è fatta così spazio l'ipotesi che la coscienza…. sia una proprietà "emergente" dall'attività dei neuroni e delle loro reciproche  connessioni.

A sostegno di questa tesi (che a me sembra tanto un troppo comodo espediente dimostrativo) di solito si porta l’esempio del colore azzurro che assume l’acqua quando è presente in grande quantità. Si dice che la singola molecola d’acqua non possiede il colore azzurro, e che esso “emerge” dallo stare insieme delle molecole d’acqua. Già, ma il colore non è una proprietà che risiede nell’acqua, è la sensazione che prova il nostro cervello quando l’occhio viene colpito da  un raggio di luce di una determinata frequenza. Qualcuno, allora, si è davvero preso la briga di andare a controllare se la singola molecola d’acqua emette la frequenza che nel nostro occhio produce la sensazione del colore azzurro? Non credo e ho anche qualche dubbio che la cosa sia fattibile.


Parte seconda

 

Senza caos non c'è conoscenza
 

Confesso di non avere compreso bene questo titolo. Forse allude a qualcosa di simile all'idea secondo la quale una "forma" può esistere soltanto se dietro e prima di essa c'è uno sfondo?

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Se in alchimia esistesse un segreto che potesse essere conosciuto solo attraverso una rivelazione divina oppure mediante la trasmissione bocca-orecchio dall'adepto al suo discepolo, perché allora dovremmo perseverare nel tentativo di penetrare un mistero che risulta evidente solo per chi lo conosce già?

Questa è una domanda che anch'io ho rivolto a me stesso più volte mentre leggevo i criptici libri di alchimia. Dal momento però che gli alchimisti i loro libri li hanno scritti, a qualcosa devono pur servire. Erano tutti indistintamente solo una manica di ciarlatani millantatori come sostiene Umberto Eco? Molti lo erano sicuramente, ma mi sembra improbabile che lo fossero proprio tutti.

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Umberto Eco afferma: "Come tutti i segreti potenti e affascinanti, il segreto alchemico conferisce potere a chi afferma di possederlo perché di fatto è inattingibile. Il segreto è ignoto persino a chi annuncia di possederlo".

Anche se non condivido il punto di vista generale di Umberto Eco, credo che la sua affermazione sia interessante perché in alchimia, dietro a presunti obblighi di segretezza, spesso si celano dei millantatori e dei cialtroni che, celando la loro ignoranza dietro il presunto segreto, continuano ad abbindolare ingenui allievi.

Nemmeno io condivido il punto di vista generale di Umberto Eco e dei cialtroni millantatori non mi curo. Come distinguerli? Il punto è questo e ognuno deve risolverlo da solo, provando e riprovando, come dice il motto dell'Accademia del cimento.

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Fortunatamente però lo scenario è diverso. Cambiando prospettiva è infatti possibile guardare all'alchimia come a un sapere e, da buoni filosofi, cominciare a chiedersi a quale sfera dello scibile esso faccia riferimento.

L'alchimia, anche se fondamentalmente è radicata nel fare, ha indiscutibili pretese filosofiche perché si manifesta come un sapere per più aspetti "totale", affine alla "sapientia" e non certo inferiore ad altre prospettive filosofiche.

Nei prossimi paragrafi prenderò in esame il contesto storico e filosofico nel quale l'alchimia è sorta, poi proseguirò illustrando i presupposti e le pretese teoriche che derivano dai testi alchemici, dai quali è possibile ricavare le strategie cognitive degli alchimisti, per arrivare infine a comprendere le pratiche operative, aspetto quest'ultimo che è di gran lunga la parte che più abbia affascinato la gente comune.

In questa sede il seguito del libro non mi interessa perciò mi fermo qui perché mi proponevo di esporre soltanto alcune riflessioni  e perplessità che mi suggerisce da sempre il tanto magnificato strumento di conoscenza sovrarazionale cioè quello al quale, per esempio, si richiama continuamente R. Guénon il quale però ne parla trattandolo sempre facendo ricorso ad argomentazioni che più razionali di così non potrebbero essere.

 

P.S. Come ho già detto più sopra, nel link seguente potete trovate un mio articolo che riguarda sia l'interpretzione che Jung dava all'alchimia sia alcune riflessioni mie sullo strumento di conoscenza rappresentato dall'intuizione cioè su uno strumento tipicamente sovrarazionale:

http://www.sogninterpretati.it/Pot-pourri/Articoli/Jung.htm

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