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La ragazza del secolo scorso (2)

Rossana Rossanda

Einaudi - 2005


Aggiungo qualche altra riflessione all'articolo precedente. Parlando del suo libro nella trasmissione TV "L'Infedele", la Rossanda ha anche detto, tra le altre cose: "Noi comunisti siamo stati il SALE del novecento". Un altro partecipante alla stessa trasmissione, Romano Màdera, ha specificato meglio il concetto arrivando a sostenere che - nonostante tutti gli orrori compiuti dai comunisti in nome del comunismo - è pur sempre merito dei comunisti se oggi le classi degli oppressi sono arrivate a godere dei diritti di cittadinanza. Si tratta dello stesso concetto, del resto, che Màdera aveva espresso ancora più esplicitamente in un suo libro: "Ma nessuna contabilità degli assassini di massa dell'epoca staliniana può cancellare il debito che l'universalizzazione effettiva del valore della vita umana deve al movimento operaio". Ora noi sappiamo bene che per Màdera il movimento operaio era soltanto quello comunista. Infatti tutti gli altri, cioè i riformisti e i socialdemocratici, venivano bollati dai comunisti con espressioni infamanti del tipo "servi dei padroni", "socialfascisti", "socialtraditori", "lacché degli imperialisti". Chi ha la mia età se lo ricorda bene.

Ma è proprio vero quello che sostengono Rossanda e Madero? Non è vero piuttosto il contrario cioè che il comunismo e i comunisti hanno rappresentato un terribile OSTACOLO al miglioramento delle condizioni di quella classe sociale? Io propendo per la seconda ipotesi e adesso cercherò di dimostrarla proponendo le mie argomentazioni a tutte le persone che sono capaci di riflettere serenamente sugli avvenimenti della storia senza il velo che il fanatismo pone sempre tra i fatti e la loro corretta comprensione.

Posso capire che i comunisti "se la raccontino" in questo modo. Per loro si tratta di dare un senso positivo alla lotta politica che è stato il cardine attorno al quale hanno fatto ruotare tutta la loro vita. Come la Rossanda, appunto. Ma un esame attento dei fatti non sembra confermare la loro immodesta autoesaltazione. Li conosco, un tempo avrebbero subito bollato come "provocatoria" la mia tesi, ma oggi, arrivati ai capelli bianchi (se ancora li hanno), sbolliti in parte gli antichi furori polemici, li invito a fare una riflessione serena e pacata. Anche perché a sostegno della mia tesi non porterò argomenti presi dalla letteratura "reazionaria", ma dall'edizione del libro "Il capitale" di Carlo Marx curata dalla Newton Compton nel 1970. Chi conosce questa edizione può garantire che non è animata da ostilità preconcetta nei confronti del marxismo.

La mia non sarà un'argomentazione di tipo accademico, zeppa di riferimenti bibliografici e storici. I saggi di quel tipo a me piace leggerli, ma cerco sempre di non restare invischiato nella mole sterminata di dati che alla fine fanno perdere di vista i concetti essenziali. In questo caso mi limiterò ad usare l'introduzione a quel libro curata da Eugenio Sbardella, in particolare il seguente paragrafo (pagine 26 e 27):

Tuttavia il "grande anno" riservò a Marx e alla Lega dei comunisti più di una delusione, dimostrandosi infine come il preludio di un maggiore potenziamento della classe borghese che riuscì ad attrarre completamente dalla sua parte i governanti PROSPETTANDO LORO IL CONTINUO PERICOLO DI UNA RIVOLUZIONE PROLETARIA.

Lo "spettro del comunismo" dovette rivelarsi ancor più minaccioso che prima del 1848, e contribuì in maniera decisiva al consolidarsi della grande industria e al formarsi dei vasti imperi coloniali.... .

(Nota mia: il "grande anno" di cui parla Sbardella è il 1848, l'anno delle sanguinose repressioni delle rivoluzioni che agli occhi dei reazionari rappresentavano il "pericolo rosso". Le maiuscole e la sottolineatura sono mie)

Più chiari di così si muore. Non sono necessarie tante elucubrazioni dotte e sofisticate. Il comunismo e i comunisti, pertanto, non solo non sono stati il MOTORE del processo di liberazione delle masse operaie oppresse e sfruttate, ma hanno rappresentato addirittura un OSTACOLO a quel processo e hanno addirittura contribuito a consolidare la grande industria perché hanno fatto sì che i nemici del progresso e delle riforme si coalizzassero rendendo così l'evoluzione della società più difficile e lenta. A confermare involontariamente questa tesi, del resto, sono gli stessi Marx ed Engels quando all'inizio del "Manifesto del partito comunista" scrivono :

Uno spettro s'aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate, per cacciarlo, in una santa crociata: il papa, e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.

Se il "nuovo" si fosse presentato nelle vesti di riforme graduali e ragionevoli anziché in quelle della RIVOLUZIONE PROLETARIA fiammeggiante e barricadiera, ai reazionari sarebbe stato molto più difficile difendere i loro privilegi intollerabili. A questo si aggiunga anche che prima o poi i "borghesi" si sarebbero resi conto che era loro interesse migliorare le condizioni di vita dei lavoratori perché altrimenti non avrebbero saputo a chi vendere la massa crescente delle merci prodotte nelle loro fabbriche.

Che le condizioni dei lavoratori potessero migliorare anche senza l'azione dei comunisti, che cominciassero anzi a migliorare già al tempo di Marx, è dimostrato da quanto scrive Eugenio Sbardella - sempre nella sua introduzione al "Capitale" - a proposito delle condizioni di vita dei lavoratori che allora vivevano in Inghilterra. Il fatto è che ai comunisti non interessava tanto il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori quanto la realizzazione della loro utopia millenaristica che promette il mondo della perfezione, della giustizia e dell'armonia su questa terra. È stato detto giustamente che il comunismo promette la versione secolarizzata del concetto di PARADISO.

La storia non si scrive con i se, d'accordo, ma io non mi propongo di scrivere la storia, mi limito a contestare la rivendicazione di un merito da parte dei comunisti. Per convincersi che non sto sostenendo una tesi tanto balorda, proviamo a spostare la nostra attenzione all'epoca moderna. In questo modo infatti le verifiche diventano più agevoli. A me sembra difficile negare che la paura prodotta dal PERICOLO DI UNA RIVOLUZIONE PROLETARIA sia stato il fattore determinante del successo ottenuto sia da Mussolini che da Hitler. Senza quel pericolo incombente, infatti, i due sarebbero stati condannati a rimanere quello che erano all'inizio cioè soltanto i capi di minoranze magari rumorose e intemperanti, ma incapaci di catalizzare-coagulare il consenso che invece li portò al potere.

Fino agli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, del resto, Hitler e i suoi accoliti rimasero convinti che l'Inghilterra e l'America avrebbero finito col fare fronte comune con loro per combattere il vero nemico dell'Occidente, cioè l'URSS di Stalin, il PERICOLO ROSSO, la RIVOLUZIONE PROLETARIA di cui parla appunto Eugenio Sbardella. Nella biografia di Hitler scritta da J. Fest viene ripetuto fino alla noia che, tra gli argomenti più efficaci usati da Hitler per far scoppiare gli applausi durante i suoi comizi, c'era appunto l'esortazione ossessiva a difendere l'Europa dal "PERICOLO ROSSO" e dalla "MINACCIA SOVIETICA".

Se Mussolini ha goduto di qualche consenso a livello internazionale, ciò era dovuto al suo proporsi come baluardo della civiltà europea contro la "barbarie rossa". È opinione condivisa da molti storici che lui, per ottenere dagli Alleati un trattamento benevolo alla fine della guerra, facesse affidamento sul fatto che Churchill apprezzava enormemente questo suo ruolo "anticomunista".

Se questa ipotesi è corretta, e a me sembra che gli argomenti a suo favore siano molti, i comunisti sovietici avrebbero il grande merito di avere sconfitto a Stalingrado la terribile minaccia nazista, certo, ma si sarebbe trattato di una minaccia che in precedenza loro avevano concorso in maniera determinante a far nascere e crescere per i motivi spiegati sopra.

Secondo la vulgata comunista, che abbiamo sentito ripetere milioni di volte, questa ipotesi è non solo inaccettabile, è addirittura blasfema, ma io vi invito lo stesso a ragionarci sopra con la vostra testa dimenticando per un momento le interpretazioni prefabbricate dalla propaganda. Vedrete che, dopo la prima reazione istintiva di rifiuto, l'ipotesi non vi apparirà più così stravagante e bizzarra. Altro che "comunisti SALE del novecento" come afferma Rossana Rossanda!

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Postilla

 

Recentemente ho avuto il piacere di trovare delle conferme autorevolissime alla mia tesi secondo la quale il continuo pericolo di una rivoluzione comunista è stato il fattore determinante del successo sia di Mussolini che di Hitler.

 

"Noi non accusammo mai i fascisti di produrre il bolscevismo. Affermammo sempre che i comunisti e i socialisti rivoluzionari, minacciando una rivoluzione che non erano in grado di fare, moltiplicando disordini senza capo ne coda, avevano reso inevitabile il movimento fascista". (1)

(1) - Ernesto Rossi - Gaetano Salvemini, "Dall'esilio alla repubblica. Lettere 1944-1957". A cura di Mimmo Franzinelli. Bollati Boringhieri, 2004, pag. 845.

Gaetano Salvemini non era un bieco reazionario. Nella 3ª di copertina, infatti, è presentato con queste parole: "Gaetano Salvemini (1873-1957), storico e uomo politico, fu uno strenuo antifascista. Arrestato e processato, riusci a espatriare prima in Francia, poi, nel 1933, negli Stati Uniti dove insegnò fino al ritorno in Italia nel 1949. Fu tra i fondatori di Giustizia e Libertà".

Se ancora non bastasse, ecco altre consistenti pezze d'appoggio per la mia tesi:

 

 

 

 

 

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