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Non è un mondo per vecchi

Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere

Michel Serres

Bollati Boringhieri -2013


"Le tecnologie digitali sconvolgono il quadro antropologico finora noto. Virtualità, connettività universale e libero accesso alle fonti di informazione stanno riplasmando le facoltà cognitive dei ragazzi e dislocando altrimenti il sapere. Non è più là fuori, remoto, scosceso, paludato e spesso respingente; adesso sta tutto in tasca, a portata di mano, senza mediazione. Mentre i grandi mediatori - il sistema scolastico, ma anche gli istituti della politici e della società-spettacolo - si ostinano a brillare come stelle morte da tempo, ignare della propria fine. Il mondo non sarà più un posto per vecchi. L'ultraottantenne Michel Serres, epistemologo tra i più originali, registra sorridente quell'ineluttabile obsolescenza. Non trema, lui, di fronte al crollo di gerarchie e privilegi secolari, anzi rimane incantato dai suoi effetti più tellurici e si schiera incondizionatamente dalla parte dei ragazzi, capaci di un'intelligenza inventiva che è forza di svincolamento, nel corpo e nella mente. L'era che spezza le catene è iniziata, e Serres le porge il saluto".

Michel Serres
Membro dell'
Académie Française, insegna "Storia della scienza"  alla Stanford University, in California

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Come sono solito fare, qui sopra ho riportato la quarta di copertina del libro per dare modo di farsene un'idea anche a chi non l'ha ancora letto. Sono  settantasette pagine soltanto, ma ricchissime di spunti interessanti anche se non ho problemi a riconoscere che non sono riuscito a capire alcuni passaggi del libro, probabilmente a causa delle mie limitazioni o forse perché sono pensieri troppo poetici, ispirati. Ma il succo del ragionamento di Serres l'ho capito e dico subito che non lo condivido in alcuni punti fondamentali che elencherò più sotto.

Mentre sto scrivendo mi sento un po' a disagio perché qualche annetto sulle spalle ce l'ho anch'io perciò, secondo Serres, dovrei essere incluso nel gruppo di quelli che non hanno più un mondo nel quale vivere con pieno diritto. Se ci rifletto meglio però mi sfiora il sospetto che l'autore si sia fatto trascinare un po' troppo dall'entusiasmo nel descrivere il mondo attuale il quale, secondo lui, apparterrebbe solo ai giovani. Intanto bisognerebbe chiedersi: "Chi ha costruito questo mondo e l'ha lasciato in eredità ai giovani? Se l'hanno costruito quelli che non sono più nel fiore dell'età, per quale imperscrutabile motivo essi ne dovrebbero essere esclusi?". Se è così ricco di opportunità, come dice Serres, perché queste opportunità dovrebbero essere precluse proprio a chi si è dato da fare per crearle? Qualche merito dovrà essere riconosciuto pure a chi si è dato molto da fare per costruirlo. È vero, ci sono molte diversità tra noi "vecchietti" e i giovani d'oggi (ci sono sempre state anche in passato), ma da qui a dire che il mondo non è più per noi "matusa" ce ne corre. Io, tanto per dire, non mi sento per niente fuori luogo qui e adesso. Per giunta, quando mi capita di parlare con i giovani ho l'impressione che questo mondo non sia nemmeno per loro, come invece vorrebbe far intendere il titolo del libro.

E vengo ai punti del libro che non condivido:
  • Serres afferma con tono entusiastico che oggi il sapere è facilmente a disposizione di chiunque, dovunque e in qualsiasi momento. Questo è vero, ma allora resta da spiegare come mai i giovani di oggi (per lo meno quelli italiani) sono quelli descritti da P. Mastrocola nel libro "Togliamo il disturbo", Guanda, 2012. Libro da leggere e soprattutto da meditare. L'autrice è una professoressa di lettere che insegna da più di venti anni nei licei scientifici perciò parla a ragion veduta di questo argomento. Fatta salva una piccola percentuale, il 10%, i giovani di 14 anni sono inidonei a frequentare un liceo. Ecco cosa scrive la professoressa: 


"Da qualche anno, a settembre, subito, a partire dai primi giorni di scuola, in prima superiore, noi insegnanti d’italiano del biennio facciamo il test d’ingresso.... Una volta, diciamo una decina di anni fa, non ce lo sognavamo neanche il test d’ingresso, perché era ovvio che cosa i ragazzi sapevano e che cosa no. Tanto per dire, sapevano la loro lingua, l’italiano, mediamente bene: voglio dire che erano in grado almeno di scrivere correttamente le parole, e anche di fare l’analisi logica. Invece adesso nulla è più ovvio, e nessuno di noi sa che cosa sanno e che cosa no i ragazzi che arrivano al liceo. Quindi li testiamo. Ci mettiamo d’accordo, noi insegnanti di lettere del biennio, e confezioniamo un bel test uguale per tutte le classi prime, un meraviglioso composto di dettato ortografico, esercizi di punteggiatura, analisi grammaticale e analisi logica, che somministriamo (il verbo è questo) lo stesso giorno alla stessa ora in tutte le classi prime. Check-in collettivo, di massa. Risultato: neanche una sufficienza, su 25 allievi. Specifico meglio: risultato in una mia classe di prima scientifico (non vi dico di quale anno, tanto è uguale negli ultimi cinque o sei anni). Ragazzi quattordicenni, appena usciti dalla terza media, primi giorni di settembre: neanche una sufficienza. Su 25.

Chiedo un po’ in giro ai colleghi di altre scuole e di altre città, per sapere se capita solo a me, e scopro che più o meno l’esito è lo stesso: una o due sufficienze per classe. Perciò, se prendiamo un liceo che abbia più o meno dieci prime con circa venticinque allievi per classe, facendo una media generosa di una o due sufficienze per classe, dovremmo arrivare a dire che su 250 allievi che entrano in prima liceo scientifico più o meno dieci o venti sono le sufficienze in italiano. Facciamo 20 buon peso, e non se ne parli più. 20 su 250. Un 10% scarso.  Per curiosità, pare che ai colleghi di matematica capitino disastri equiparabili: in quarta ginnasio i ragazzi non sanno calcolare il minimo comune multiplo e il massimo comun divisore.

Non vorrei chiedermi perché succeda questo (anche se mi è difficilissimo non chiedermelo...). Dico solo che questi ragazzi arrivano da otto anni di scuola. Cioè, hanno passato a scuola otto anni della loro vita (senza contare la scuola materna e l’eventuale nido): cinque alle elementari e tre alle medie. Ripeto solo quel che vedo: 20 sufficienti su 250.

Scusate, mi soffermo ancora un momento perché non vorrei che il dato passasse inosservato. Vuol dire che solo 20 (buon peso!) su 250 a quattordici anni sanno la grafia corretta dell’italiano, mettono la punteggiatura, riconoscono un soggetto, un predicato verbale o nominale, un complemento oggetto, e distinguono un avverbio da una congiunzione. Non stiamo parlando di capacità superiori, quali capire il senso di un libro, tradurre Tacito, interpretare le metafore di una poesia di Rimbaud o analizzare criticamente un’opera di Shakespeare. Stiamo parlando delle conoscenze di base della lingua italiana, che è la nostra lingua, che usiamo da quando siamo nati e che impariamo a scuola da quando abbiamo sei anni. Ebbene, queste conoscenze sono: assenti.

Piccola considerazione: a rigor di logica, solo 20 su 250 potrebbero entrare al liceo, se il test d’ingresso valutasse davvero l’opportunità dell’ingresso al liceo. Ma non lo fa, perciò entrano tutti e 250. Benissimo. (Ma come si fa a frequentare un liceo non sapendo la propria lingua?) Però questo vuol dire (lo sottolineo solo per amor di logica) che almeno 230 allievi su 250 non sono idonei a fare quel che sono entrati a fare e dunque presumibilmente lo faranno malissimo. Chi li renderà idonei? Nessuno".


  • Se la situazione dei nostri ragazzi, allora, è quella descritta dalla professoressa Mastrocola e comprovata del resto anche dai dati OCSE, Serres come la spiegherebbe? A mio modesto avviso, il fatto che il sapere sia facilmente a disposizione di chiunque, dovunque e in qualsiasi momento non significa affatto che sia anche effettivamente utilizzato! E questo fatto sembra sfuggire completamente a Serres, forse perché si è lasciato trasportare troppo dal suo entusiasmo per i tempi nuovi. Lui infatti afferma che la lingua di oggi è stata arricchita da migliaia di termini nuovi. È vero, ma si tratta per lo più di termini tecnici che niente aggiungono alla terminologia che descrive gli esseri umani e i loro problemi.

  • Serres dice giustamente che oggi il sapere è già trasmesso grazie ai nuovi strumenti tecnologici. È vero, ma è stato anche ricevuto? A me sembra di no, soprattutto perché il sapere che conta veramente è quello astratto, descritto con le parole e assimilato con una riflessione profonda. Oggi invece prevalgono le immagini fugacissime trasmesse dalla TV, dai pc e dagli smartphone. Imperversano anche i collegamenti ipertestuali che sono, certo, una grande comodità, ma sono anche una spinta quasi irresistibile a passare continuamente ad altri argomenti senza quindi approfondirne nessuno, a meno che si appartenga proprio a quella mandria di matusa che Serres vorrebbe destinata alla rottamazione. Lo spiega bene il libro di G. Sartori "Homo videns".

  • Serres dice che per i giovani d'oggi il multiculturalismo è già la regola. Poiché l'edizione originale del suo libro è del 2012 e io scrivo questi commenti alla fine del 2015 cioè dopo le numerose stragi terroristiche compiute in Europa da musulmani giovani e nati in Europa, mi chiedo se oggi Serres se la sentirebbe di ripetere la stessa affermazione con tanta sicurezza.

  • Serres sostiene che i giovani d'oggi stimolano altri neuroni perciò non conoscono, non sintetizzano e non integrano come facciamo noi, loro genitori e nonni. A me sembra invece che i giovani spesso non integrino proprio, perché il flusso ininterrotto e incalzante di stimoli visivi al quale sono sottoposti glielo impedisce. L'integrazione richiede infatti del tempo, uno studio, una riflessione, un approfondimento e pure una fatica, ma i giovani d'oggi non hanno il tempo e direi neppure la voglia di fare tutte queste cose perché l'abitudine di ottenere tutto con un semplice clic li ha disabituati alla fatica. Oggi i giovani sembrano volere solo il divertimento. Non a caso, spesso la presentazione di un software si conclude con un emblematico "enjoy".

  • Serres dice che l'intermediazione degli insegnanti non è più necessaria poiché i giovani possono accedere direttamente al sapere. Mi sembra un'enorme sciocchezza perché è come affermare che un giovane può diventare un esperto liutaio semplicemento entrando in un laboratorio contenente tutti gli strumenti necessari per costruire violini. Lui affronta  in modo specifico questo problema e sostiene che le funzioni necessarie per apprendere il sapere, così distribuito grazie al supporto tecnologico, si trasformano grazie al supporto stesso. È vero, ma queste funzioni vengono anche apprese, oltre che trasformarsi? Ancora una volta, troppo entusiasmo acritico verso il nuovo. Ed anche un po' ideologico nel senso negativo del termine.

    Infatti scrive (riporto il senso):  "Il giovane che accende il computer trova davanti a sé la propria testa che è non solo ben fornita di informazioni, ma anche fornita di motori di ricerca che fanno a gara per trovargli testi e immagini. Ma non solo, ha anche diecine di software che riescono a trattare i dati più velocemente di quanto possa fare lui. Lui tiene lì, fuori di sé, la sua facoltà cognitiva che una volta aveva dentro (?!?) . Di recente siamo diventati tutti come lui. La nostra testa intelligente è fuoriuscita dalla testa fatta di ossa e neuroni. Infatti il computer contiene e fa funzionare ciò che un tempo chiamavamo le nostre "facoltà"..... I neuroni dei ragazzi d'oggi sono diversi da quelli che mettevano in gioco la scrittura e la lettura nella testa dei loro predecessori. I neuroni di quei predecessori oggi crepitano dentro il computer. Da qui la nuova autonomia dell'intelletto".

    Come è possibile che un epistemologo non  si renda conto che tutto quello che riescono a fare un computer e la rete di Internet non può costituire una "facolta cognitiva" perché altrimenti dovremmo concludere che un computer riesce a "pensare", cosa che almeno per il momento è solo una speranza proiettata nel lontano futuro? Il computer è un'estensione del nostro cervello allo stesso modo che un'automobile è un'estensione dei nostri piedi. Ma ci sogneremmo mai di affermare che l'automobile è la stessa cosa del viaggiare di cui sono capaci gli esseri umani, della loro capacità di scegliere le mete, le compagnie, la velocità e le soste lungo il viaggio? Evidentemente no. Eppure Serres è proprio questo che afferma, ed anche in modo perentorio e ultimativo, come se fosse una realtà evidente di per se stessa. Dove si dimostra ancora una volta che l'essere innamorati non garantisce l'obiettività e la capacità di giudizio.

  • Alla base delle convinzioni espresse da Serres c'è l'illusione eternamente riaffiorante che dalla quantità e dalla velocità possa emergere la qualità.

  • Alla base delle convinzioni di Serres c'è l'idea che il sapere richiesto dal basso, cioè dai giovani, sia migliore di quello offerto dall'alto, cioè dagli insegnanti nelle scuole. Come si spiega allora il fatto che i siti porno sono sommersi da valanghe di accessi mentre quelli di filosofia sono negletti dai più?

Mi fermo qui perché ho esposto l'essenziale delle mie riserve nei confronti del libro che è comunque ricchissimo di spunti interessantissimi per cui vale certamente la pena di leggerlo. A patto di tenere sempre presente che si tratta di un libro scritto da un "innamorato (lo dichiara lui stesso) perciò comprensibilmente non obiettivo.

 

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