arco

Jihad

 Ascesa e declino

Storia del fondamentalismo islamico

Gilles Kepel

Carocci editore - 2001 - ristampa 2016


Dalla quarta di copertina del libro:

L’ascesa del fondamentalismo islamico nel secondo dopoguerra rappresenta senza dubbio uno dei fenomeni più significativi del secolo appena concluso, nonché una delle incognite maggiori del secolo che si apre. Questa sintesi originale a firma di uno dei maggiori esperti dell’argomento ne fornisce per la prima volta una ricostruzione complessiva, analizzandone le diverse dimensioni storiche, culturali e sociali e fornendo le chiavi per comprendere l’ampiezza di un movimento politico-religioso che si è esteso dall’Algeria all’Afghanistan, dalla Turchia all’Indonesia.

Di fronte alle sfide della modernità e della democrazia, sostiene Gilles Kepel sulla base di una ricca documentazione, l’ideale della guerra santa sembra oggi aver perso buona parte della sua forza e tutto indica che i movimenti integralisti sono destinati a svolgere un ruolo marginale nel futuro delle società musulmane.

Gilles Kepel è direttore di ricerca al CNRS e responsabile del programma di dottorato sul mondo musulmano all'Institut d'études politiques de Paris.

____________________________________________


Se volessi seguire la tentazione che proviene dalla mia pigrizia mentale potrei cavarmela con poco dicendo che il titolo stesso del libro e la sua quarta di copertina si commentano  da soli. Nel 2016, dopo tutte le terribili stragi che si sono verificate, è facile dirlo. Ma poche riflessioni sul contenuto del libro voglio farle lo stesso.

Il primo pensiero che mi viene in mente è che l'essere documentatissimi non è sempre sufficiente per evitare cantonate tremende. Una mole sterminata di dati serve a poco se poi se ne estrae una conclusione servendosi di un filtro troppo personale come fa Kepel il quale - analizzando gli avvenimenti tumultuosi verificatisi negli ultimi anni nei paesi musulmani - ha preso in considerazione la componente religiosa, ma ne ha sottovalutato il potenziale di violenza privilegiando invece i fattori economici, politici e culturali, considerati questi ultimi nel loro complesso ma escludendo la religione.

Possiamo ben dire che questa sottovalutazione è stata la responsabile dell'illusione che molti in Occidente nutrivano a proposito delle cosiddette "primavere arabe". Sembrava cosa fatta: le condizioni economiche erano migliorate, i giovani si erano istruiti andando a scuola, le comunicazioni diffuse ed immediate garantite da internet e dagli smartphone consentivano a tutti di "vedere" le migliori condizioni di vita di cui godono i paese dell'occidente. Era pertanto forte la tentazione di scambiare per realtà quella che invece era soltanto una speranza e un'illusione. In quei paesi infatti le "primavere arabe" non sono sfociate nella nascita della democrazia. 

Se vogliamo, per l'errore di valutazione commesso da Kepel c'è l'attenuante di avere scritto il libro quindici anni fa, ma si tratta di un'attenuante di poco conto perché basta guardare anche superficialmente la storia dei paesi musulmani per rendersi conto che in essi la componente religiosa ha spessissimo assunto la forma esplosiva della violenza fisica. Sarebbe facile obiettare che nemmeno i paesi cristiani, quanto a violenza fisica, hanno scherzato. Non c'è dubbio, è verissimo, ma da noi qualche secolo fa si è verificato un fenomeno che nei paesi musulmani è ancora di là da venire: il fattore "religione" non fa più parte integrante dello Stato, non ne rappresenta più addirittura il presupposto legittimante come invece è nell'Islam. Nelle conversazioni e nei confronti di opinione che facciamo quotidianamente, questo fatto viene ripetuto spesso, ma ho l'impressione che non sia percepito nella sua effettiva importanza. Per poterne realizzare davvero l'impatto decisivo nella vita dei popoli basterebbe chiedersi: "Chi oggi sarebbe capace di ipotizzare un cattolico o un protestante che si fa esplodere dentro una chiesa dell'altro culto per uccidere il maggior numero possibile di fedeli?". Questo purtroppo succede invece spesso tra sciiti e sunniti. Le nostre guerre di religione, poi, sono ormai soltanto un capitolo da studiare nei libri di storia.

C'è chi tenta di sminuire l'importanza che il fattore "religione" ha nei conflitti mediorientali dicendo che la religione non c'entra niente e che è solo un pretesto per mascherare interessi materiali e volontà di potere. Ci sono anche questi, non c'è dubbio, come avviene in tutte le vicende umane, ma chi sostiene questa tesi dimentica che si potrebbe sostenere anche il contrario cioè che l'Islam è una religione che fin dall'inizio ha usato la spada per diffondersi ed allargare la sua zona d'influenza. Anche il Cristianesimo l'ha fatto, certo, ma non lo fa più da parecchi secoli.

Ho l'impressione che Kepel nello sviluppare le sue considerazioni si sia lasciato condizionare troppo dalla sua convinzione che gli scontri che avvengono all'interno delle società trovino la loro composizione solo grazie al metodo democratico delle elezioni in cui vince chi ottiene la maggioranza. È per questo motivo che egli tiene sempre molto a sottolineare se un movimento politico oppure un determinato leader musulmano riesce o meno a "coinvolgere le masse". Perché solo nel caso che ciò avvenga quel movimento o quel leader otterranno la maggioranza alle elezioni. È evidente che l'universo mentale delle riflessioni di Kepel si mantiene sempre all'interno di questo quadro. Peccato però che nelle società gli scontri e le lotte possono a volte risolversi non sul piano di una civile competizione elettorale, ma su quello della violenza fisica nel quale contano solo la forza bruta, la ferocia e la determinazione ad usarle al servizio di una convinzione fanatica. In questi casi allora bastano anche poche persone fortemente motivate per conquistare il potere e gestirlo sulla pelle della maggioranza dei cittadini.

Secondo me, Kepel sottovaluta il potenziale dirompente contenuto nella motivazione religiosa perché lui, come modello di riferimento, ha in mente soprattutto quello rappresentato dalla democrazia la quale risolve gli scontri sociali mediante le competizioni elettorali. A suffragare questa mia ipotesi posso portare la conclusione del libro nella quale Kepel fa dipendere la nascita della democrazia nei paesi musulmani dalle riforme che dovrebbero attuare le nuove generazioni delle élite che avranno accesso al potere. Ora si possono attuare tutte le riforme possibili e immaginabili, ma saranno sempre vanificate se c'è una minoranza di fanatici che si impadroniscono del potere facendo ricorso alla violenza feroce e barbara. È da questa sottovalutazione del potenziale violento della religione che è nata, ripeto, l'illusione che le primavere arabe sarebbero sfociate nella nascita della democrazia nei paesi musulmani del medio oriente.

Chissà se Kepel oggi scriverebbe di nuovo lo stesso libro. Probabilmente no. Me lo sono chiesto anche a proposito di un altro libro di storia di cui ho parlato recentemente in queste mie recensioni.





Home page Torna all'indice