Dalla quarta di
copertina del libro:
L’ascesa
del fondamentalismo
islamico nel secondo
dopoguerra
rappresenta senza
dubbio uno dei
fenomeni più
significativi del
secolo appena
concluso, nonché una
delle incognite
maggiori del secolo
che si apre. Questa
sintesi originale a
firma di uno dei
maggiori esperti
dell’argomento ne
fornisce per la
prima volta una
ricostruzione
complessiva,
analizzandone le
diverse dimensioni
storiche, culturali
e sociali e fornendo
le chiavi per
comprendere
l’ampiezza di un
movimento
politico-religioso
che si è esteso
dall’Algeria
all’Afghanistan,
dalla Turchia
all’Indonesia.
Di
fronte alle sfide
della modernità e
della democrazia,
sostiene Gilles
Kepel sulla base di
una ricca
documentazione, l’ideale
della guerra
santa sembra
oggi aver perso
buona parte
della sua forza
e tutto
indica che i
movimenti
integralisti
sono destinati a
svolgere un
ruolo marginale
nel futuro delle
società
musulmane.
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Se volessi seguire la tentazione che proviene dalla mia pigrizia mentale potrei cavarmela con poco dicendo che il titolo stesso del libro e la sua quarta di copertina si commentano da soli. Nel 2016, dopo tutte le terribili stragi che si sono verificate, è facile dirlo. Ma poche riflessioni sul contenuto del libro voglio farle lo stesso.
Il primo pensiero che mi viene in mente è che l'essere documentatissimi non è sempre sufficiente per evitare cantonate tremende. Una mole sterminata di dati serve a poco se poi se ne estrae una conclusione servendosi di un filtro troppo personale come fa Kepel il quale - analizzando gli avvenimenti tumultuosi verificatisi negli ultimi anni nei paesi musulmani - ha preso in considerazione la componente religiosa, ma ne ha sottovalutato il potenziale di violenza privilegiando invece i fattori economici, politici e culturali, considerati questi ultimi nel loro complesso ma escludendo la religione.
Possiamo ben dire che questa sottovalutazione è stata la responsabile dell'illusione che molti in Occidente nutrivano a proposito delle cosiddette "primavere arabe". Sembrava cosa fatta: le condizioni economiche erano migliorate, i giovani si erano istruiti andando a scuola, le comunicazioni diffuse ed immediate garantite da internet e dagli smartphone consentivano a tutti di "vedere" le migliori condizioni di vita di cui godono i paese dell'occidente. Era pertanto forte la tentazione di scambiare per realtà quella che invece era soltanto una speranza e un'illusione. In quei paesi infatti le "primavere arabe" non sono sfociate nella nascita della democrazia.
Se vogliamo, per l'errore di valutazione commesso da Kepel c'è l'attenuante di avere scritto il libro quindici anni fa, ma si tratta di un'attenuante di poco conto perché basta guardare anche superficialmente la storia dei paesi musulmani per rendersi conto che in essi la componente religiosa ha spessissimo assunto la forma esplosiva della violenza fisica. Sarebbe facile obiettare che nemmeno i paesi cristiani, quanto a violenza fisica, hanno scherzato. Non c'è dubbio, è verissimo, ma da noi qualche secolo fa si è verificato un fenomeno che nei paesi musulmani è ancora di là da venire: il fattore "religione" non fa più parte integrante dello Stato, non ne rappresenta più addirittura il presupposto legittimante come invece è nell'Islam. Nelle conversazioni e nei confronti di opinione che facciamo quotidianamente, questo fatto viene ripetuto spesso, ma ho l'impressione che non sia percepito nella sua effettiva importanza. Per poterne realizzare davvero l'impatto decisivo nella vita dei popoli basterebbe chiedersi: "Chi oggi sarebbe capace di ipotizzare un cattolico o un protestante che si fa esplodere dentro una chiesa dell'altro culto per uccidere il maggior numero possibile di fedeli?". Questo purtroppo succede invece spesso tra sciiti e sunniti. Le nostre guerre di religione, poi, sono ormai soltanto un capitolo da studiare nei libri di storia.
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