Genesi
Il
grande
racconto delle
origini
Guido
Tonelli
Feltrinelli
- 2019
Se
fossi stato io
a scegliere il
titolo del
libro ne avrei
scelto uno
diverso perché
quello che c'è
adesso mi
sembra
alquanto
fuorviante.
L'autore, del
resto, sembra
confermare in
due modi
questa prima
impressione:
1) Definendo
"racconto" il
suo libro. 2)
Suddividendo
il tempo nei
canonici sette
giorni
descritti nel
racconto
biblico. È un
espediente
narrativo,
d'accordo, ma
sembra voler
suggerire che
esiste una
corrispondenza
tra il
racconto
biblico della
genesi e le
spiegazioni
scientifiche
dell'origine
dell'universo.
Il che sembra
alquanto
ardito.
Detto
questo, il
racconto fatto
dal professor
Tonelli è
affascinante
anche perché
descrive le
varie
componenti
dell'universo
attribuendo
loro vere e
proprie
qualità
"umane". Ecco
allora che "la
gravità si
infuria; le
particelle si
accoppiano;
esistono buchi
neri educati,
altri che sono
feroci, altri
ancora che
sono draghi
simpatici che
dormono
placidamente
oppure sono
presi da una
frenesia
alimentare,
ecc.".
Evidentemente
l'ha fatto per
rendere meno
arida la
descrizione
dei fenomeni
cosmici e
secondo me c'è
riuscito in
pieno.
Il
profano di fisica
e astrofisica
rimane
sconcertato
quando tenta
di affacciarsi
timidamente su
questi due
mondi rispetto
ai quali
quello della
vita
quotidiana
delle persone
comuni sembra
essere un mondo
di mezzo
che però è ben
altra cosa
rispetto a
quello di
mafia
capitale.
Questo
succede perché
gli scienziati
usano
categorie
mentali che
contraddicono
quelle
abituali di tempo,
spazio
e causa.
Per esempio, e
per usare lo
stesso
linguaggio
fantasioso
usato da
Tonelli, lo
spazio e il
tempo si
accoppiano
fino a
diventare una
cosa sola cioè
la dimensione
spazio-tempo
che è
addirittura
capace di
incurvarsi per
effetto della
gravità. È
proprio il
caso di dire
che si entra
in una
dimensione che
definire
insolita è
troppo poco.
Mentre
leggo questo
tipo di libri,
allora, provo
una doppia
sensazione. Da
una parte c'è
l'ammirazione
incondizionata
e stupita per
i cervelli che
hanno saputo
concepire
pensieri così
audaci
liberandosi
dalla gabbia
solidissima
rappresentata
dal pensare
comune
costruito
sulla base
delle
esperienze che
facciamo tutti
i giorni come
individui e
come specie da
migliaia di
anni. Da
un'altra parte
della mia
mente c'è però
una vocina
impertinente
che osa
permettersi
qualche dubbio
e farsi
qualche
domanda. Da
qui in avanti,
allora, voglio
dare spazio
proprio a
questa vocina,
anche se
probabilmente
sarà capace di
esprimere
soltanto
banalità. Ma
voglio
ugualmente
condividere
con voi questo
spazio. Oggi
non è forse di
moda
condividere?
Comincio
subito.
- Che
senso ha dire:
"Il vuoto
della fisica
non è vuoto"
?
Se c'è
qualcosa
significa che
non è un vero
vuoto. In
questo caso,
allora, il
problema si
trasforma in:
da dove viene
questo
"qualcosa"? E
diventa chiaro
che i fisici
hanno soltanto
usato un gioco
di parole.
- Che
senso ha dire:
"All'inizio
non c'era il
tempo" ?
Nel momento
stesso in cui
usi la parola
"inizio", il
concetto di
tempo l'hai
già dato per
implicito e
necessario.
- Che
senso ha dire
che l'universo
si espande in
uno spazio che
prima non
esisteva e
che si viene
creando nel
momento stesso
in cui avviene
l'espansione?
Anche qui
sembra proprio
di trovarsi
davanti a un
semplice gioco
di parole.
- Nel
momento stesso
in cui ti
chiedi: "Da
dove viene
tutto questo?"
dai per
implicito il
concetto di
spazio.
C'è poco da
fare, non si
sfugge. È
impossibile
venirne a capo
utilizzando le
solite
categorie
mentali basate
sulle coppie
di
opposti/contrari.
Gli scienziati
sembrano non
rendersene
conto. Almeno
così sembra a
me.
- Quando
gli scienziati
dicono: "Noi
possiamo fare
un viaggio
indietro nel
tempo,
tanto è vero
che lo
facciamo tutti
i giorni negli
acceleratori
producendo le
stesse
particelle
prodotte al
momento del
big bang",
dicono una
cosa non vera
perché non
vanno indietro
nel tempo, ma
si limitano a
produrre nel
presente i
fenomeni che
si sono
prodotti nel
passato al
momento del
big bang. E
questo non è
per niente la
stessa cosa
che viaggiare
nel tempo!
- Nel
capitolo "Vuoto
o nulla?"
Tonelli usa
l'artiglieria
pesante: cita
La Genesi
biblica, il
filosofo
Parmenide, la
matematica
indiana, il
buddismo
tibetano e la
cosmogonia
indiana. Con
le spalle così
ben coperte dà
l'impressione
di avere spiegato
perché "il
vuoto
come sistema
fisico è....
il contrario
del nulla".
In realtà non
l'ha fatto, si
è limitato ad
affermarlo. È
proprio qui
che la mente
discorsiva
mostra la
propria
incapacità di
concepire una
cosa senza
concepire
contemporaneamente
il suo
contrario.
Tonelli
perdonerà la
mia
limitatezza
ma, per me, un
vuoto che
contiene
qualcosa
continua ad
essere un
ossimoro anche
dopo avere
letto il suo
bel libro.
In
conclusione,
non era forse
più sincero I.
Kant quando
rinunciava a
definire lo
spazio e il
tempo e si
accontentava
di dire che
sono "forme a
priori? Gli
scienziati di
oggi invece
sembrano non
rendersi conto
che la mente
razionale di
cui si servono
nelle loro
spiegazioni è
inesorabilmente
costretta
dentro la
gabbia
rappresentata
dalle coppie
dei contrari:
buono-cattivo,
sopra-sotto,
prima-dopo,
alto-basso,
buio-luce,
ecc.
Il vero,
insondabile
mistero non è
rappresentato
dall'energia
oscura o
dalla materia
oscura di
cui parlano
gli
astrofisici,
ma da quel
calderone -
enigmatico e
indefinibile a
parole perché
anteriore a
ogni
differenziazione
(anche quella
dei concetti)
- che gli
antichi greci
chiamavano ἒν
τὸ Πᾶν
(l'uno il
tutto). Il suo
simbolo, cioè
il drago che
si morde la
coda, non
significa
infatti
soltanto
l'andamento
ciclico dei
fenomeni, il
loro continuo
cominciare-finire-ricominciare,
come invece si
è soliti dire.
La lettura del
libro risulta
comunque
affascinante,
anche se a
volte si
farebbe
volentieri a
meno di alcune
ripetizioni di
concetti già
spiegati in
precedenza.
Da psicologo
mi piacerebbe
poter capire
se alla
familiarità
con la quale i
fisici e gli
astrofisici
usano concetti
come miliardi
di anni luce,
milioni di
gradi
centigradi,
miliardi di
masse solari
può
corrispondere
nella loro
mente una
reale,
concreta
percezione. Ne
dubito
fortemente. È
più probabile
che li
avvertano come
naturali, ovvi
e scontati
solo perché li
ripetono
continuamente.
Non potrebbe
essere
diversamente,
d'altra parte,
trattandosi di
concetti
astratti
costruiti
senza una
corrispondente
esperienza
sensoriale
concreta.
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