Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure, passioni di un rivoluzionario

Giordano Bruno Guerri - Mondadori, 2009

Recensione di Mario Bernardi Guardi su "Il Secolo d’Italia", 13 febbraio 2009




C’era da scommetterci: dopo la biografia del Vate, Giordano Bruno Guerri ci avrebbe dato quella dell’Incendiario. Con ragione. Perché nel Novecento dell’esuberanza creativa, della vitalità spericolata, della geniale stravaganza, dell’esaltazione estetica, libertaria, libertina e patriottica, i due, pur tanto differenti, sono vincolati in fraterno sodalizio. Complici addirittura.

E così, nel 2008 Guerri ci ha raccontato Gabriele (“D’Annunzio. L’amante guerriero”, Mondadori) ed ora, nel centenario del Manifesto futurista, ci racconta Effetì (“Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario”, Mondadori, pp.335, euro 20).

“Come” ce lo racconta? Ovviamente da storico serio, che si documenta, ricostruisce un ambiente e un personaggio, offre suggestioni, riflessioni, spunti per un dibattito a un tempo vivace e sereno (possibile? Possibilissimo). Il che non esclude che GBG sia decisamente un “simpatizzante”, con tratti da sodale o addirittura da discepolo, e più che mai quando scrive di Effetì (che, trattandosi dell’estroso Marinetti, si potrebbe leggere anche Effètti: non ti sembra, Giordano?).

C’entra qualcosa l’affinità “ideologica”? Non diremmo proprio: se c’è un tipo post-ideologico, quello è GBG, e proprio perché nel Novecento delle roventi ideologie ama scavare da curioso cercatore, che magari si emoziona, senza però che questo gli impedisca di ragionare. Con il bell’intendimento di capire: impresa ardua, più di quel che si creda, visto che nel secolo breve e sterminato siamo tutti ancora maledettamente coinvolti.

Diciamo allora che l’impolitico ed eccentrico GBG (liberale ma “smoderato”, radicale “di destra” ma nemico di ogni destra radicale, pacifico ma non lagnosamente pacifista, patriota ma non nazionalista, europeo ma anche euroscettico, anticlericale ma non irreligioso, alfiere della Modernità e della Città, ma con rivendicati ancoraggi alla memoria contadina toscana, anzi etrusca, antifondamentalista ma, a suo modo, “fondamentalista” libertario), è affascinato dalla “dismisura”. Nel senso e nel segno di “genio & sregolatezza”, la gran bella coppia che feconda il guerresco (da Guerri) Novecento? Diremmo di sì, “esercizi di ammirazione” compresi. E attenuati dall’ironia e dal disincanto, che consentono di porre una certa distanza fra sé stessi e le cose che intrigano.

“Sguardo” etrusco, anche questo. Visto che GBG è originario di Iesa di Monticiano, nel Senese, una zona dove il DNA degli antichi Tirreni è intatto. E lui, come ci tiene a dire, è fatto di quella pasta: saporosa di boschi, cinghiali, pini, castagni e cavatori di ciocco. Con qualche condimento di eretico atavismo, visto il marchio di fabbrica “Giordano Bruno”.

Dal Senese, però, la famiglia - babbo Febo, mamma Gina, pargolo - spicca presto il volo. Contadini che si inurbano a Milano. Bruttina la vita a Bollate. Lui, che già da allora è “un po’ così”, indisciplinato, irregolare e ribelle senza causa, va a vivere da solo. E si mantiene con lavori saltuari. Fa il venditore di libri a domicilio, l’assicuratore e, quando non ha un soldo in tasca, l’accattone. Inizi “beat”, quasi da manuale. E i “beat” gli piacciono, come i “provo”. Dunque, all’appuntamento col ’68 - intanto, studiando da sé come un dannato, ha preso la maturità e si è iscritto a Lettere - c’è. Ma in mezzo ai creativi dell’immaginazione al potere, non ai dogmatici che straparlano in sinistrese quando non giocano a fare i “pistoleros” della Santa Inquisizione maoista.

Fuori da tutte le chiese, GBG, se non ha fame di certezze - ne diffida-, ha voglia di dubbi e di interrogativi - a quelli, sì, ci crede. Domanda tra le domande dello studente di Lettere, con indirizzo in Storia Contemporanea, che rifiuta le verità prefabbricate dai prof. politicamente corretti (dunque, scorrettissimi): che cos’è il Fascismo?

Nella sua avventura di ragazzo intelligente, GBG parte da questo quesito. Così semplice a formularsi, così difficile a risolversi. E siccome cerca davvero, ecco che trova. Venti anni d’Italia. Lo studente se ne interessa e vuole “intendersene”. Raccontarli nella tesi di laurea. Partendo da un protagonista: Giuseppe Bottai.

Miglior “incontro” per “capire” non poteva esserci: il gerarca Bottai è il regime, la sua organizzazione e direzione politica, le sue istituzioni; l’ex futurista e l’uomo di cultura Bottai è la fronda, le riviste, il dibattito. La critica nel (anche “del”?) Fascismo? Bottai, da “Critica Fascista” a “Primato”, il fedele/infedele, il 25 luglio, venti anni e un giorno: quel giorno. Storia e scandalo-verità.

Nasce “da” Bottai lo studioso post-ideologico, il militante libertario con la sua bella identità, il laicissimo ma non laicista (sarebbe un’altra caduta nel dogma), il “radicale di destra”, lo studioso fuori dalle scuole (anche da quella defeliciana) GBG. Il suo primo libro “Giuseppe Bottai, un fascista critico”, pubblicato dalla rossissima Feltrinelli nel 1976, è uno sviluppo della tesi di laurea ed ha l’imprimatur del prof. Ugoberto Alfassio Grimaldi, uno che di fascismo (anche di quello razzista), nonché di antifascismo (anche se un po’ tardivo), se ne intende.

Ed eccoci al “personale”. Incontro GBG per la prima volta sei anni dopo, nel 1982. Allorché il giovane e già apprezzato storico (bravissimo anche nella cura dell’immagine: un po’ “beatnik” e un po’ “dandy”, con quella faccia scolpita nel legno antico, tra il pirata, l’avventuriero, il sovversivo e lo spietato-impunito “tombeur de femmes”) torna a Bottai, pubblicandone per i tipi della Rizzoli il “Diario 1935- 1944”. Lo intervisto. Mi dice: “ Ecco, Bottai. La storiografia contemporanea se n’era sempre tenuta alla larga come da una mina vagante, misteriosa e pericolosa. Bottai era infatti un fascista intelligente, che aveva bazzicato e più che bazzicato con tutti gli intellettuali italiani. Adesso bisogna pur riconoscere che ha svolto un ruolo fondamentale non solo nel fascismo, ma nella storia e nella società italiana. Tu sai che concludo la mia prefazione al ‘Diario’ con questa frase: “ Giuseppe Bottai, fascista, è stato uno degli uomini politici e uno degli intellettuali più intelligenti, capaci, fattivi e onesti che l’Italia abbia avuto, dall’Unità ad oggi”. Beh, ormai sono uscite le recensioni su tutti i principali quotidiani italiani e nessuno, dico nessuno, mi ha contestato questa frase”.

Insomma, per GBG, nella prima metà degli anni Ottanta, la cultura italiana sta incominciando ad esorcizzare il fantasma dell’antifascismo. Lui è ottimista, e con qualche ragione, visto che, proprio in quell’anno, la Milano socialista di Tognoli organizza la Mostra sugli anni Trenta. Che fa dire, con convinzione, a chi la visita: “Formidabili quegli anni”. GBG si occupa della sezione dedicata alla vita politica e sociale, e la sigilla con una frase mussoliniana del giugno 1943: “Venti anni di fascismo non sono passati invano nella vita italiana ed è umanamente impossibile cancellarli”.

GBG, l’abbiamo detto, li vuole raccontare. Acquisire alla memoria nazionale. E’ così - ripensando, ricostruendo, dicendo tutta la verità, nient’altro che ecc. ecc. - che si supera la logica illogica, il ridicolo condizionamento passatista, il bla bla bla facinoroso della mummificata contrapposizione fascismo/antifascismo.

GBG, già allora, già prima di occuparsi di Marinetti, è un “futurista”. L’intelligenza cercatrice è quella che spara dinamismo, libertà intellettuale e provocazione. Ne dà una prova dirigendo “Storia Illustrata” come se fosse una rivista di attualità, senza mai banalizzare, ma sempre vivacizzando, in nome della critica, della polemica - ma non astiosa - del dibattito, ma aperto e fecondo. Ne darà un’altra prova - e questa è esperienza di quattro anni fa - col suo “Indipendente”: un quotidiano che sprizza da tutti i pori goliardia intelligente, creatività rissosa, provocazione multicolore. Nel mezzo c’è la carriera dello storico e del giornalista. Con mille altri interessi sventagliati sull’universo mass-mediatico: teatro, cinema, tv, informatica e, come sempre, politica-antipolitica estrosa ed antibigotta.

Ora, c’è un vecchio proverbio, rozzo e sintatticamente sconnesso, che recita: “Non si nasce imparato”. GBG non è nato imparato: evidentemente un po’ di vocazione ce l’aveva, poi ci ha messo di suo la cerca al di là del bene e del male manualisticamente intesi, dunque la voglia di quel goccetto di vero cui tutti i non-astemi aspirano, la copiosa lettura, la gaudiosa scrittura, gli effervescenti viaggi-vagabondaggi, la vita delibata con enorme piacere, le donne con e senza gonne,e alla fine una donna e un figlio con cui costruire una famiglia (senza obliare l’amatissima mamma).

Ci ha messo il suo spirito libero e i suoi spiriti liberi, quelli che ha biografato, tutto di loro rendendo conto, senza fare mai sconti, pane al pane e vino al vino. Bene, noi lo ringraziamo del pane e del vino - buoni, schietti, saporiti - con cui ha raccontato Bottai, Balbo, Malaparte, Benito, Edda e Galeazzo. E d’Annunzio. E questo straripante Marinetti, con le sue invenzioni, avventure e passioni di “rivoluzionario”. Artista, poeta, romanziere,saggista. Scopritore e animatore di talenti, dissacratore, “inventore” di un Novecento che lui e i suoi futuristi “moltiplicano”, mandandolo all’assalto della città attraverso la pittura, la scultura, l’architettura, il cinema, il teatro, la grafica, la pubblicità, la gastronomia, la musica e tutti i rumori, i colori, gli odori partoriti dalla vita e dall’arte-vita.

Soldato, Effetì, che si fa tutte le guerre, da volontario, l’ultima a sessantasei anni, in Russia. Fascista, ma più del dubitare-disobbedire-dibattere che del credere-obbedire-combattere, ma fedele fino alla fine - compresa Salò, salutata in punto di morte con il “Quarto d’ora di poesia della X Mas”- al “compagno” Mussolini, quello che bene o male un po’ di Futurismo lo aveva fatto, e dunque anche un po’ d’Italia.

Com’è bello questo Marinetti, allegro incendiario, con la sue vita “esagerata”! GBG non sta lì a dargli sempre ragione, per carità, anzi spesso e volentieri lo bacchetta per le sue scelte. Ma come fai a sottrarti alla fascinazione di fronte a uno che non solo è convinto che “nella carne dell’uomo dormono delle ali”, ma che quelle ali le tira fuori, e vola, vola, anche impallinato, anche spennato dall’età e dai disincanti, ottimista nella disperazione, sempre con quel “futuro” in canna da sparare perché l’Italia viva?

Ci ha regalato un bel ritratto, Giordano, e partecipato fino alla commozione,ad esempio quando racconta l’ultimo Marinetti, prosciugato dall’amarezza ma non domo, tra Venezia e quel lago di Garda che sembra un manto funebre, a colloquio col Duce, anche lui al limite e “in limine”, eppure con sparse braci di incendio vitale. Ci ha regalato un bel ritratto di quel Novecento italiano che s’inerpicò su per il cielo, armato di ali e di fuoco, e magari bruciò e precipitò, un po’ Prometeo e un po’ Icaro. E tuttavia seminando qualcosa che somiglia, sì, all’inquietudine, ma anche alla speranza, e ti dice che l’azzardo/assurdo dell’Italia e della libertà è ancora da giocare e che il gioco è tuo, forse più di prima.

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