Dal XXI capitolo della "Storia del pensiero filosofico e scientifico" (7 volumi)

Ludovico Geymonat

Garzanti, 1972

 

Si stenta a crederlo ma, nelle 28 pagine che formano il capitolo, Geymonat cita addirittura 30 volte Marx, Engels, Lenin, il materialismo dialettico, la scienza "borghese" schiava del capitalismo, la libera scienza "proletaria", gli scienziati sovietici, l'URSS, la Cina, la rivoluzione culturale di Mao. Si ha l'impressione di leggere un opuscolo di propaganda politica rozza e grossolana (qualunquista, appunto) anziché una ponderosa opera di filosofia. Infatti il nostro "filosofo" arriva a scrivere cose allucinanti come queste:

Sono uno psicologo perciò in questa sede non mi interessa tanto l'aspetto "politico" del fenomeno quanto la sua dimensione "psicologica". Mi chiedo come sia possibile che una mente poderosa come quella di Geymonat, allenata a costruire ragionamenti rigorosi e analisi sofisticatissime, una mente che si richiamava di continuo alla precisione del metodo scientifico, non abbia avvertito l'incongruenza e perfino il ridicolo delle affermazioni riportate sopra. Il quesito è tanto più intrigante in quanto si pone anche quando si prenda in considerazione tutta la schiera sterminata di intellettuali che accorsero nelle fila del marxismo-leninismo per diventarne i banditori e gli acritici corifei.

Qualcuno potrebbe farmi la solita obiezione: "È facile parlare col senno di poi!". No, non si tratta del senno di poi. Loro sapevano, sapevano eccome! Lo dimostra, tra l'altro, anche questa intervista  rilasciata dal leader politico Pietro NENNI (*) a un noto settimanale di sinistra. L'intervista è riportata nel libro di Luigi De Marchi "Repressione sessuale e oppressione sociale", Sugar, 1965. Vale la pena di sottolineare che Geymonat ha scritto le stupefacenti righe riportate sopra quando il libro contenente l'intervista di Nenni era in circolazione già da sette anni. Cioè quando quelle notizie erano ormai di dominio pubblico. Forse non a livello degli iscritti di base, ma sicuramente a quello dei quadri dirigenti e degli intellettuali. Ecco l'intervista:

"Durante i nostri anni giovanili tutti demmo per sicuro e provato che fosse sufficiente abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, abolire le classi, perché si raggiungesse una democrazia piena, una libertà fresca e completa al posto di quelle borghesi, in gran parte fittizie. Ma oggi bisogna ammettere che la realtà storica non consente una così semplicistica identificazione. In Russia.... la proprietà privata dei mezzi di produzione è certamente stata abolita, la borghesia, almeno nel significato tradizionale del termine, è stata tolta di mezzo.... La Russia è ormai, già da parecchi anni, la seconda potenza industriale del mondo.... Le condizioni economiche affinché le sovrastrutture politiche siano democratiche sembrerebbero dunque esistere.... Perché un paese che si trova in queste condizioni non riesce a darsi una vita politica democratica?.... Perché la partecipazione delle masse alla vita politica è di fatto inesistente, rasentando addirittura un rassegnato o indifferente qualunquismo? Ecco gli interrogativi ai quali bisogna rispondere con franchezza".  (Le evidenziazioni sono mie).

(*) Nenni Pietro (1891-1980) . Segretario del Partito Socialista Italiano dal 1943 al 1946, e dal 1949 al 1963. Deputato dal 1946. Nominato senatore a vita nel 1970.

Adesso, alla luce di questo esempio, forse apparirà meno strampalata e meno contraddittoria la mia affermazione che l'intellettuale di sinistra può essere anche QUALUNQUISTA. Perché anche lui può costruire ragionamenti rozzi, semplificati, fuorvianti. E si può aggiungere che, quando lo fa, il suo qualunquismo è ancora più grave di quello che prospera a destra in quanto non ha l'attenuante dell'ignoranza.

Da un punto di vista psicologico, la domanda più interessante da porsi è questa: "Perché l'intellettuale di sinistra non provava almeno un po' di fastidio, se non proprio di ripugnanza, quando rinunciava ad usare anche il più elementare criterio di logica e di verità?". Mettiamo pure da parte tutti quelli che si comportavano così per convenienza e calcolo. Ce ne furono sicuramente, ma di loro non merita parlare. Per tutti gli altri, l'ipotesi che a me sembra più convincente è che lo facessero per almeno tre motivi:

Conclusione: io credo che l'intellettuale vero sia quello che riesce a convivere con il DUBBIO, anzi quello che lo ricerca e lo coltiva nella fase in cui costruisce le sue convinzioni. Una volta che si è creato queste convinzioni, poi, deve essere sempre pronto a riconsiderarle se qualcuno gli prospetta punti di vista che in precedenza gli erano sfuggiti. Appena l'intellettuale non si accontenta più di avere OPINIONI, appena si lascia possedere dalle convinzioni ASSOLUTE, abdica al suo compito e si trasforma, da meravigliosa macchina per pensare, in fanatico propagandista di una ideologia. Per favorire la quale non si tira più indietro nemmeno di fronte ad operazioni mortificanti e mistificatorie come quella che ho cercato di descrivere in questa pagina.

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