Corriere
della sera, 15
febbraio 2017
Il
movimento
giovanile
Sogni,
errori,
libertà. Il
nostro ‘77 fu
diverso
di
Carlo Rovelli
L’idea
che il mondo
andava
cambiato è
stata
sconfitta ma
non fu
inutile. Quei
valori sono
rimasti
radicati in
noi
Leggo
in questi
giorni diversi
articoli sul
movimento
giovanile che
è passato
sull’Italia
nel 1977,
quarant’anni
fa, breve e
intenso come
una folata di
vento. Non mi
riconosco in
questi
articoli. Mi
sembra non
parlino di
quanto ci
dicevamo,
pensavamo e
sentivamo io e
i miei amici
in quegli anni
lontani. Io
non so fare
analisi
storiche e
sociologiche e
non voglio
confondere la
mia esperienza
personale, mia
e di qualche
amico, con un
fatto storico.
Ma allora
erano molti
gli amici
intorno a me
che sentivano
come me, e da
qualche parte
ci sono
ancora. Scrivo
qualche riga
per loro, i
miei tanti
amici di
allora, e
anche per chi
magari è
curioso di
sentire un
ricordo
diverso.
Magico
e mitico. Il
ricordo
Alcuni
di quegli
amici hanno un
ricordo magico
e mitico di
quegli anni.
Un momento
intensissimo
di scambio,
sogni,
entusiasmo,
voglia di
cambiare,
voglia di
costruire
insieme un
mondo diverso
e migliore; lo
ricordano con
nostalgia
intensa, fino
a rendere
grigia
l’immagine di
quella che è
stata la vita
poi.
Per
me non è così.
Avevamo
vent’anni, e a
vent’anni la
vita è spesso
splendida e
rovente,
almeno nel
ricordo. Non è
il profumo
della storia,
è il profumo
della
giovinezza.
Per me quegli
avvenimenti
sono stati sì
magici e
bellissimi, ma
perché sono
stati
l’inizio,
perché ne ho
tratto delle
cose. Hanno
aperto un
percorso. Non
hanno reso la
vita
successiva
meno colorata:
sono stati la
scoperta
collettiva di
colori che
sono rimasti
con me. Certo,
l’anno
successivo al
1977 è stato
vissuto da
molti di noi
come una
disfatta. La
voglia
luminosa di
cambiare il
mondo, che ci
era sembrata
per un attimo
aprire
possibilità
vere, si
scontrava
contro la
realtà.
Naufragava,
prima colpita
dalla reazione
delle
istituzioni,
quella che
allora
chiamavamo la
repressione;
poi
sconcertata
per la
violenza di
quello che
adesso
chiamiamo
terrorismo.
Eravamo in
tanti a dirci
e sapere bene
che la lotta
armata in
Italia non
avrebbe
portato a
nulla di
buono, che era
solo una
reazione
estrema e
sciocca, in
realtà
disperata, a
sogni che si
chiudevano. I
«compagni che
sbagliano», lo
sapevamo in
tanti, erano
ragazze e
ragazzi con un
senso
morale più
assoluto degli
altri
(!!!) e, come
purtroppo
spesso accade,
accecati
da questo.
Noi
volevamo
altro, e per
un momento,
insieme, in
tanti, avevamo
pensato fosse
possibile. Che
fosse
possibile
andare in
quella
direzione.
Rivoli
della storia
Quale
direzione? I
grandi sogni
hanno la
caratteristica
che quando
svaniscono
sembrano
inconcepibili.
Talvolta nella
storia i sogni
più
inconcepibili
si realizzano:
contro ogni
aspettativa
dei realisti,
la rivoluzione
francese
abbatte il
predominio
dell’aristocrazia,
il
cristianesimo
conquista
l’impero
romano, un
allievo di
Aristotele
conquista il
mondo e i suoi
amici fondano
biblioteche e
centri di
ricerca, i
seguaci di un
predicatore
arabo cambiano
l’ordine del
pensiero di
centinaia di
milioni di
persone,
eccetera
eccetera.
Più
spesso, grandi
sogni si
scontrano
contro la
forza del
quotidiano,
durano
pochissimo o
poco,
crollano,
vengono
dimenticati.
Sono i tanti
rivoli della
storia che,
bene o male,
non portano da
nessuna parte.
I movimenti
del Trecento
per una chiesa
povera, le
comunità
utopiche del
XVIII secolo,
o il sogno
egualitario
del comunismo
sovietico;
oppure le
fantasie
naziste che
appassionavano
tanto la
gioventù,
forse oggi il
Califfato…
Ma
più spesso
ancora quello
che succede è
più complesso,
e la storia
segue percorsi
tortuosi. Il
Direttorio
elimina
Robespierre,
Wellington
batte
Napoleone, e
il re di
Francia torna
sul trono: la
rivoluzione ha
perso… Ma ha
perso davvero?
Il movimento
delle
suffragette
per il diritto
di voto alle
donne è
sconfitto al
tempo della
prima guerra
mondiale. Ma
ha perso
davvero? I
movimenti
storici sono
fatti di idee,
giudizi etici,
passioni, modi
di vedere il
mondo. Spesso
non vanno da
nessuna parte.
Talvolta però
lasciano
tracce che
continuano ad
agire in
profondità sul
tessuto
mentale della
civiltà, la
cambiano. La
nostra
civiltà,
l’insieme dei
valori in cui
crediamo, è il
risultato di
molti sogni,
di molti che
hanno saputo
sognare
intensamente
al di là del
presente.
Sogni
e speranze
Il
movimento del
‘77 italiano
non è
comprensibile
da solo. È
stato
un’espressione
tarda, non
certo
l’ultima, ma
una delle
ultime,
consapevole di
questo, e per
questo
intensa, di
uno di questi
grandi sogni
che ha
spazzato non
l’Italia ma il
mondo intero
per un breve
ventennio che
va dagli anni
Sessanta alla
fine degli
anni Settanta.
Sono stati
anni in cui
una parte
considerevole
della gioventù
del mondo
intero ha
sognato e
sperato
intensamente
di poter cambiare
la
realtà sociale
in modo molto
radicale.
Non è stato
certo un
movimento di
pensiero
strutturato e
coerente,
anzi, era
disperso in
mille rivoli.
Ma nonostante
le grandi
diversità,
tutti questi
rivoli
sentivano con
assoluta
chiarezza di
appartenere
allo stesso
fiume, dalle
piazze di
Praga alle
università di
Città del
Messico, dal
campus di
Berkeley a
Piazza Verdi a
Bologna, dalle
comuni hippie
rurali e
urbane della
California ai
guerriglieri
sudamericani,
dalle marce
cattoliche per
il Terzo mondo
agli
esperimenti
dell’anti-psichiatria
inglese, da
Taizé a
Johannesburg,
nella
strepitosa
differenza di
atteggiamenti
specifici,
c’era un
reciproco
intenso
riconoscimento
di appartenere
allo stesso
grande fiume,
di condividere
uno stesso
grande sogno.
Di «lottare»,
come si diceva
allora, per un
mondo molto
diverso.
Era
il sogno di
costruire un
mondo dove:
·
non
ci fossero
forti
disparità
sociali,
·
non
ci fosse
dominio
dell’uomo
sulla donna,
·
non
ci fossero
confini,
·
non
ci fossero
eserciti,
·
non
ci fosse
miseria.
·
Era
il sogno di
sostituire la
collaborazione
alla lotta per
il potere,
·
di
lasciarsi alle
spalle i
bigottismi, i
fascismi, i
nazionalismi,
gli
identitarismi,
che avevano
portato le
generazioni
precedenti a
sterminare
cento milioni
di esseri
umani durante
le due guerre
mondiali.
·
I
sogni si
spingevano
lontano: un
mondo senza
proprietà
privata, senza
gelosia, senza
gerarchie,
senza chiese,
senza stati
potenti, senza
famiglie
chiuse, senza
dogmi, libero.
Dove non
avevamo
bisogno degli
eccessi del
consumismo, e
si lavorava
per il piacere
di fare, non
per lo
stipendio.
Solo
a nominare
oggi queste
idee sembra di
parlare di
delirî. Eppure
eravamo in
tanti a
crederci, in
tutto il
mondo. In
quegli anni ho
viaggiato
molto, in
diversi
continenti, e
ovunque
incontravo
giovani con
questi stessi
sogni. Di
questo
parlavamo i
miei amici ed
io in
quell’anno, il
1977. Non
certo della
paura del
precariato. Se
vogliamo
ricordare
qualcosa di
quelli anni, è
questo che io
ricordo.
Una
grandissima
famiglia
·
Vivevamo
in case
aperte. Si
dormiva un po’
qui e un po’
là. Sapevamo
bene che
l’eroina è
pericolosissima
e chiunque
avesse un po’
di cervello se
ne teneva
lontano.
·
Ma
sapevano anche
che marijuana
e Lsd non lo
sono, e si
offriva uno
spinello con
la semplicità
con cui si
offre un
bicchiere di
vino. L’Lsd
era
tutt’altro:
un’esperienza
potente e
importante, da
trattare con
attenzione e
rispetto, ma
che poteva
insegnare
molto.
·
L’occupazione
principale,
come è d’uso
per ogni
gioventù, era
innamorarsi e
disperarsi per
amore; ma il
sesso era
moneta
quotidiana, un
modo per
incontrarsi e
conoscerci con
tutti,
dell’altro
sesso come del
proprio. Era
preso sul
serio, come il
centro della
vita, quasi
con religione.
E come per
ogni
religione, di
sesso e amore
si voleva
riempire la
vita. E di
amicizia, di
musica, di
inventarsi
modi di essere
insieme,
diversi da
quelli grigi e
competitivi
delle
generazioni
precedenti.
·
Si
provava a
vivere in
comune, si
provava a non
essere gelosi,
si provava a
condividere.
Ci si
azzuffava e ci
si disperava
come in ogni
famiglia, ma
il senso di
essere una
grandissima
famiglia
sparsa per il
pianeta, era
forte: un
grandissima
famiglia che
si adoperava
insieme, come
esploratori
delle stelle,
a costruire un
mondo nuovo,
molto diverso…
·
Io
mi sono sempre
immaginato che
le comunità
quacchere dei
primi coloni
europei in
America, i
compagni di
Gesù in
Palestina, i
primi
cristiani, i
giovani
italiani del
Risorgimento,
i compagni di
Che Guevara in
Bolivia o gli
allievi di
Platone
nell’Accademia…
si sentissero
un po’ così…
Quel
mondo non
l’abbiamo
costruito, non
c’è ombra di
dubbio. La
disillusione è
arrivata
presto. Alcuni
dei progetti
li abbiamo
abbandonati
perché ci sono
sembrati sbagliati.
Molti altri
semplicemente
perché sono
gli altri che
hanno vinto.
La
plausibilità
di quei sogni
si è sciolta
per la mia
generazione
come neve al
sole. Ci siamo
separati,
ciascuno è
andato nella
vita seguendo
una sua
strada.
·
È
stato inutile
sognare? Non
credo. Per due
motivi. Il
primo è che
per molti di
noi quei sogni
hanno
rappresentato
il nutrimento
fertile su cui
costruire la
vita. Alcuni
di quei valori
sono rimasti
radicati
dentro di noi
e ci hanno
guidato.
·
La
libertà
di
pensiero
estrema di
quegli anni,
in cui tutto
sembrava
possibile ed
esplorabile e
qualunque
idea sembrava
modificabile,
è stata la
sorgente per
cui molti di
noi hanno
fatto quello
che poi hanno
fatto nella
vita. Il
secondo motivo
non so se sia
credibile o
no. Ma esiste
lo stesso.
Spesso nella
storia i sogni
di costruire
un mondo
migliore sono
stati
sconfitti. Ma
hanno
continuato a
lavorare
sotterraneamente.
E alla fine
hanno
contribuito a
cambiare
davvero. Io
continuo a
credere che
questo mondo
sempre più
pieno di
guerra, di
violenza, di
estreme
disparità
sociali, di
bigottismo, di
gruppi
nazionali,
razziali,
locali, che si
chiudono nella
propria
identità gli
uni contro gli
altri,
continuo a
credere che
questo mondo
non sia
l’unico mondo
possibile. E
forse non sono
il solo.
L'articolo
originale si
trova
qui:
Articolo
di Rovelli
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