Comunicazione visiva e pubblicità nella storia

Giuseppe Nativo

 

Il termine "comunicazione" deriva dal latino "communicatio", a sua volta derivato dal verbo "communicare", che significa mettere in comune qualcosa, passare qualcosa da uno all’altro. La comunicazione si distingue in "verbale", caratterizzata dall’uso delle parole, e in "non verbale", di cui fanno parte i gesti, le espressioni del volto, le intonazioni della voce, gli atteggiamenti, le immagini. Queste ultime costituiscono, sin dai tempi più remoti, uno dei più diffusi ed efficaci mezzi di trasmissione. Esse definiscono la cosiddetta comunicazione visiva, intesa come processo di comunicazione che raggiunge la sua massima espressione attraverso il canale visivo.

I graffiti preistorici costituiscono un esempio emblematico di come, sin dall’antichità, l’uomo abbia sentito la necessità di comunicare messaggi ai suoi simili. In forma graduale si passa poi allo sviluppo di una comunicazione orale appannaggio degli uomini di cultura i quali non hanno ancora a loro disposizione i libri stampati, medianti i quali, sin dal XVI secolo, la cultura si trasforma in un bene "comune".

Nel XIII e XIV secolo i libri sono scritti a mano ed è per questo che si trasformano ben presto in oggetti artigianali unici, rari e preziosi. Aumentare la "tiratura" di una pubblicazione significa copiarla in proprio o pagare un copista per provvedere a ciò. Il fatto che i libri siano pochi e molto costosi in quell’epoca non comporta alcun problema: la quasi totalità della popolazione risulta analfabeta e pertanto trova risposta al suo bisogno di immaginare, di conoscere e svagarsi, attraverso canali, per così dire, alternativi alla parola scritta. Infatti i sentimenti collettivi, più o meno immaginari, sono espressi e plasmati in gran parte dal linguaggio delle immagini che raggiungono la loro massima espressione negli affreschi e nei bassorilievi delle chiese dove trovano giusta collocazione le storie della Bibbia, le raffigurazioni di gioie e pene dell’aldilà.

Anche la comunicazione orale svolge la sua azione. Durante le celebrazioni liturgiche, le prediche accendono il sentimento religioso suscitando paure e speranze dei fedeli. Lo stesso linguaggio architettonico delle strutture chiesastiche, adottato nei secoli XI e XII, diventa espressione di quella fusione tra l’eredità colta dell’arte classica e i modi costruttivi d’impronta popolare. Le chiese si presentano massicce, potenti e con strutture molto robuste. Il fedele che vi si addentra è accompagnato ad ogni piè sospinto da immagini scolpite e dipinte facenti parte di un organico discorso visivo. La sequenza di episodi dell’Antico e Nuovo Testamento, le scene dell’Inferno e del Paradiso, i demoni e gli animali mostruosi in esse raffigurate si imprimono saldamente nella mente e nella fantasia del popolo. Chiese e palazzi, al di là del loro fine primario, devono servire a comunicare le idee ed il ruolo del committente. I "media" dell’epoca sono costituiti, dunque, dalle facciate e dagli affreschi che si rivelano quali concreti libri aperti (1).

La pubblicità si inserisce come una tecnica di comunicazione intenzionale, persuasoria, di massa, finalizzata – attraverso una serie di strumenti e strategie – alla commercializzazione di prodotti e servizi. Essa può anche essere veicolo di comunicazione di interesse sociale o mirare ad ottenere l’adesione a un sistema ideologico (propaganda politica e religiosa). Il termine "pubblicità" in lingua italiana deriva da "pubblico" ed assume quindi il semplice significato di "rendere noto" ciò che fino a quel momento non lo era. La pubblicità nel senso stretto del termine si potrebbe dire sia nata quando è nato il commercio nel mondo civilizzato. Non è certamente facile poter stabilire il luogo e il tempo della sua nascita. Dal passato, però, ci è giunto qualcosa che può essere definito, a grandi linee, "pubblicità".

Da un punto di vista antropologico la pubblicità, come forma comunicativa, rientra nella sfera del "mythos". È nota la contrapposizione essenziale tra "mythos" e "logos" nel mondo greco e in quello occidentale. Il Logos è il discorso razionale che si sviluppa attraverso principi "logici". Il Mythos è il discorso che convince, affascina, narra ed incanta. Lasciando da parte, anzi opponendosi alla dialettica del logos, il mythos porta l’ascoltatore ad aderire quasi inconsapevolmente al racconto fatto da chi invia il messaggio convincente ed ammaliante. Il mythos è usato da Nestore (2) che cerca di fare "propaganda" tra i re affinché si armino e partano per la guerra di Troia. Il mito, in questo caso, non è certamente portatore di menzogna, è piuttosto finalizzato a vincere le resistenze dell’interlocutore (3).

Originariamente la pubblicità svolge un ruolo soltanto informativo, cioè quello di far conoscere l’esistenza di un prodotto. Esempi di pubblicità in questo senso si possono anche trovare nell’antichità. In epoca romana, un metodo molto adottato dai produttori di laterizi romani (4) è quello di apporre i loro marchi (a volte un vero e proprio logo formato da lettere elaborate graficamente) (5) su alcuni mattoni collocati in punti strategici della costruzione in modo da poter essere facilmente notati da coloro che apprezzavano il tipo di materiale e, nel contempo, in modo da rendere velocemente memorizzabili il nome o il marchio di chi li produceva (6).

Tenendo conto dell’alto grado di analfabetismo, la maggior parte della pubblicità è affidata alle insegne recanti immagini dipinte. L’insegna, d’uso antichissimo, è un segno distintivo. Essa è costituita da una targa o tabella o altro oggetto affisso alla parete o sporgente da essa. In quest’ultimo caso reca degli elementi figurativi che rappresentano o uno strumento del mestiere esercitato dal commerciante (per es. le forbici), o un oggetto della sua produzione (per es. una scarpa), o un simbolo o raffigurazione fantastica qualsiasi (per esempio la sirena). Quasi sempre l’insegna, dipinta (7) oppure lavorata in ferro, in rame battuto o dorato, ha pretesa artistica. Numerosissime nel Medioevo e fino al sec. XIX (8), s’ispirano anche, per i soggetti, ad avvenimenti storici o a circostanze locali (9). L’osteria all’insegna della "Luna Piena" (10) ricordata da Alessandro Manzoni nel suo celeberrimo capolavoro letterario, offre un vivido esempio di questa struttura e della sua originaria funzione di segno distintivo.

Stante l’esteso analfabetismo, la pubblicità scritta è dunque rara anche se non mancano testimonianze della sua esistenza sin da epoca remota. Un papiro egiziano, risalente a circa un millennio A. C., proveniente dagli scavi di Tebe e conservato al British Museum di Londra, rende pubblica la fuga di uno schiavo. In tale documento si promette una mancia a chi lo riconsegnerà al padrone, un utilizzo questo che va al di là della pubblicità commerciale, ma rientra comunque nella categoria del rendere pubblico (11). Nell’antica Roma poi, le aste, le pubblicazioni di nuovi libri, gli spettacoli, etc. sono annunciati su tavolette incise o graffite mentre da Ercolano e Pompei provengono affissioni ed iscrizioni in rosso e nero in cui sono annunciate spettacoli, assemblee pubbliche, etc. Numerose le iscrizioni parietali costituite da testi ufficiali redatti su commissione da appositi scriptores (12) sulle pareti esterne di un edificio, per dare pubblicità ad una comunicazione di interesse pubblico. Molto spesso queste iscrizioni sono dipinte con bella calligrafia (13). Le iscrizioni dipinte di Pompei hanno un vario contenuto. Si tratta di manifesti elettorali, avvisi di affitti, avvisi di oggetti perduti, acclamazioni, etc. In questa occasione ci soffermiamo in modo particolare sui cosiddetti manifesti elettorali pompeiani (14). Ecco qualche esempio:

Bruttium Balbum II vir(um) / Gen[ialis] / r[og(at)]. / Hic aerarium conservabit

Traduzione: Geniale invita a votare Bruttio Balbo duoviro. Conserverà la cassa municipale.

Commento: Un tale Geniale invita a votare come duumviro Bruttio Balbo, vantando la sua competenza e probità nell’amministrazione delle finanze.

C. Iulium Polybium / aed(ilem) o(ro) v(os) f(aciatis), panem bonum fert

Traduzione: Vi prego di eleggere C. Giulio Polibio edile, fa del buon pane (15).

Commento: L’anonimo scriptor ricorda che il candidato all’edilità C. Giulio Polibio avrebbe fatto del buon pane. In effetti uno dei compiti principali degli edili municipali è quello di assicurare i rifornimenti alimentari della città. Per convincere gli elettori indecisi, si rendeva necessario ricordare nel manifesto elettorale qualche autorevole sostenitore di un candidato. Talvolta quest’arma propagandistica è sfruttata in modo indiretto. Il manifesto elettorale era messo sul muro della casa di un qualche influente personaggio lasciando così agli elettori l’impressione che questi appoggiasse il tal candidato. In altre occasioni si riusciva a strappare una vera e propria dichiarazione di voto. In tal modo lo sponsor appariva esplicitamente nell’iscrizione come soggetto del verbo "rogat", che può essere tradotto con "(il tale) invita a votare":

C. Gavium Rufum II vir(um) o(ro) v(os) f(aciatis) / utilem r(ei) p(ublicae), Vesonius Primus rogat

Traduzione: Vi prego di eleggere C. Gavio Rufo duoviro, (si renderà) utile alla municipalità, Vesonio Primo invita a votarlo.

Commento: Vesonio Primo invita a votare per la carica di duumviro C. Gavio Rufo; da notare che il manifesto fu approntato sulle mura della casa dello stesso Vesonio Primo (16).

 

L’esempio più emblematico ed interessante, ritrovato ad Ercolano nel 1897, è costituito da una colonna ancora ricoperta di papiri incollati con gomma arabica che veniva utilizzata come un moderno quadro di affissione (17). Nel corso del Medioevo la pubblicizzazione di qualcosa è praticata in forma verbale a cura degli "araldi", detti in latino preacones i quali arrivano nei villaggi a determinate ore del giorno facendosi precedere da un suono di tromba o campanaccio, gridando i messaggi dei commercianti. L’araldo agisce comunque a livello persuasivo anche se in maniera molto grossolana. Tale forma pubblicitaria, usata dal Medioevo fino a tempi relativamente recenti, è praticata dai "banditori" o "vanniaturi" il cui compito è quello di "abbanniari", cioè di propagandare ad alta voce la merce da vendere. L’abbanniata è l’atto di "abbanniari". Tra le grida con cui i venditori ambulanti, fino ai primi decenni del secolo scorso, pubblicizzavano la loro merce è quella dell’acquaiolo:

 

Ch’è bella quann’è frisca! S’’un è frisca, ‘u nni vuogghiu ‘ranu! Sciala-curuzzu! Arriccia-cuori! Va pigghiativi ‘u gilatu! Airettu, acqua cc’è!...

Traduzione: Com’è bella quando è fresca! Se non è fresca (la mia acqua) io non voglio grano (cent. 2 di lira, cioè non la voglio pagata). Sciala-cuore! Ricrea-cuore! Venite a prendere il gelato: agretto, (limonata), qui c’è acqua (18).

 

L’arte del "vanniaturi" consiste nel saper coinvolgere la gente in maniera tale da convincerla ad acquistare un determinato prodotto della terra, ad esempio i fichi:

Fi – cu pa – su – lu – na fi – cu Ah li be – ddi fi – cu!

Non è un canto, tranne nelle ultime sei note che fanno un dolce motivo, ma un grido quasi cantato, emesso un po’ minaccioso e poi modulato. Nel venditore sembra manifestarsi non so che di tracotanza unita a millanteria e vanagloria (19). La funzione del "banditore" è anche divulgativa, quella cioè di rendere pubblica una normativa governativa o degli avvisi alla cittadinanza (20). Uno degli strumenti utilizzati è il "tammuru" (tamburo) il cui suono serve ad attirare l’attenzione degli astanti (21).

 

Dal Medioevo in poi, la pubblicità continua ad essere affidata agli "araldi" o "banditori" mentre nel comparto commerciale si assiste ad un cambiamento importante in relazione al valore della merce. Fiere e mostre assumono un’importanza a livello di spettacolarizzazione e di processo produzione-consumo di beni mai raggiunto prima (22). Dall’analisi dei documenti visivi come quadri, tavole ed affreschi si coglie tale aspetto. Trattandosi di comunicazione per immagini in stretto rapporto con un committente, essi costituiscono una "messa in scena" più diretta che qualsiasi rappresentazione letteraria. La merce, ancora prima di essere soggetto della rappresentazione, viene collocata all’interno del quadro in relazione a qualcos’altro, artatamente disposta come un segno in un sistema iconografico già codificato. La funzione svolta dal bene è mezzo espressivo di valori di cui ha ereditato il senso ponendosi come loro "sostituto" e veicolandone il significato. Esempio di come avvenga questa sostituzione simbolica all’interno di una raffigurazione è dato dalla Sant’Anna Metterza (23) di Masolino e Masaccio in cui alcuni angeli, posti alle spalle del gruppo principale composto dalla Madonna, Sant’Anna e Gesù bambino, reggono un prezioso drappo su cui sono ricamati dei fiori e fogliame stilizzati in rosso. Da un esame rappresentativo dell’opera emerge che il drappo sostituirebbe simbolicamente l’hortus conclusus (24) che all’epoca rappresentava metaforicamente il Paradiso. La collocazione del drappo, collocato al posto dello sfondo, suggerisce la sua importanza come bene prezioso tanto da poter esser preso a sostituto simbolico del Paradiso che è, in questo caso, il suo referente. La rappresentazione di un bene in funzione simbolica, come il drappo in questione, non è finalizzata alla vendita ma alla valorizzazione della produzione e dell’importanza che questa dà alla vita cittadina e di conseguenza il prestigio della committenza (25).

La celebrazione della quotidianità nella attività produttive e commerciali, congiuntamente alla loro spettacolarizzazione, stanno alla base di tutto un genere di dipinti in cui sono rappresentate scene di mercati e fiere intese come positività apportata dalla prosperità di una società che funziona in quanto gestita da una struttura pubblica solida o perché caratterizzata da un "buon governo". Esempio rappresentativo di questo genere è il gruppo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti (26). Si tratta di una delle prime opere di carattere totalmente laico che si riscontrano nell’arte di quel tempo. In pratica il partito al potere nella città di Siena degli anni ’30 del XIV secolo vuole che l’artista rappresenti da una lato l’Allegoria del Cattivo Governo con gli effetti che esso avrebbe prodotto (carestia, saccheggi, violenza, povertà, ecc.), dall’altro l’Allegoria del Buon Governo con i suoi effetti (città prospere, campagne coltivate, benessere, ricchezza, gioia, ecc.). L’intento è ben chiaro: solo se l’amministrazione della cosa pubblica avviene su principi di giustizia sociale, il popolo trae beneficio dalla cosa pubblica (27).

L’invenzione nel XV secolo della stampa a caratteri mobili pone le basi per una maggiore diffusione delle notizie (28) attraverso i "bandi" e "manifesti" di affissione. Questi sono privi di illustrazioni ad eccezione dello stemma reale, che contraddistingue l’autorità dell’emittente, e delle lettere decorate all’inizio del testo o i fregi ornamentali che lo decorano (29). La loro potenzialità a scopo politico di propaganda costituisce il motivo di una rigida regolamentazione che ne permette un utilizzo limitato al potere dei governanti. Ciò fino al XIX secolo. Gli avvisi di chiamata alle armi ed alcuni manifesti clandestini di movimenti politici apparsi durante la rivoluzione francese in modo massiccio, dovendo richiamare l’attenzione in maniera immediata, utilizzano immagini fortemente comunicative segnando una svolta nell’utilizzo di questo mezzo e rivelando per la prima volta le sue potenzialità persuasive oltre che informative (30).

Il primo annuncio stampato è esposto nel 1480 in Inghilterra per facilitare la vendita di un libro. Il primo annuncio su giornale appare in Germania nel 1525. Un annuncio a pagamento è inserito da un medico nel 1651 sul sesto numero della "Gazette" (31), fondata dal medico francese T. Renaudot. Un secolo dopo appare in Francia quello che diventerà il più celebre giornale di pubblicità commerciale: "La petite affiche" dell’abate J.-L. Aubert. In Inghilterra lo sviluppo della pubblicità sui giornali procede quasi di pari passo con quello francese (la "London Gazette" fa uscire nel 1666 un supplemento pubblicitario). La tassa per gli annunci o inserzioni lievita in modo tale da renderli quasi impossibili. Dopo la soppressione della tassa in questione (1833), la pubblicità registra in Inghilterra grande incremento. Negli anni ’30 del XIX secolo appaiono i primi "cartelloni" illustrati. I primi cartelli murali sono piccoli, in bianco e nero, calligrafici, quasi elementari. Verso il 1836, con l’apparire della cromolitografia (32), il manifesto diviene colorato. Dapprima è di due colori: rosso e azzurro. Successivamente i colori aumentano di numero e si perfeziona gradualmente il sistema di stampa. In Italia i primi cartelloni artistici fanno la loro prima apparizione nel 1902. È lo sviluppo della produzione industriale a determinare una trasformazione della pubblicità che è portata a richiamare l’attenzione del pubblico su un determinato prodotto, mettendone in luce le caratteristiche che lo differenziano dai prodotti concorrenti. In relazione a ciò, gli investimenti pubblicitari subiscono un forte incremento con una conseguente esigenza di introdurre e realizzare analisi di mercato (33). La scelta intuitiva del messaggio da comunicare cede così il passo ad una scelta ragionata in cui le nuove strategie di comunicazione richiedono un sempre maggiore approfondimento di tecniche, strumenti e specializzazioni, creando quello che è il complesso mondo della pubblicità moderna (34).

 

Note


(1)
M. Cellamare, D. Porcelluzzi, F. Raffaele, "La comunicazione visiva", in http://www.digilander.libero.it/mogent/cm/comunicazvisivaC/ ; G. Nativo, "La comunicazione visiva nel Medioevo", in "La Pagina", rivista quindicinale, n. 1 del 12/01/2004, pag. 4.

(2) Omero, "Iliade", libro II.

(3) A. Lacerenza, "La pubblicità tra Mythos e Logos. Uno studio psico-antropologico", in http://www.psiconline.it, "Psicologia e psicologi in rete";

U. Curi, "Mythos e logos", Rai-Educational, Enciclopedia multimediale delle Scienze Filosofiche, in http://www.emsf.rai.it/aforismi;

"Il mythos nel mondo greco", in http://www.sfi.it/cf/articoli/mythos_logos/mondo_greco.htm.

(4) Vedasi: E. De Minicis (a cura di ), "I laterizi in età medievale dalla produzione al cantiere", in "Atti del convegno nazionale di Studi", Roma, Università La Sapienza, 4-5 giugno 1998, pubblicazione a stampa per le Edizioni Kappa, Roma 2001.

(5) I marchi dei tagliatori di pietra si ritrovano su edifici monumentali religiosi e civili sin dall’età classica. La loro pressoché totale assenza nel periodo alto-medievale è dovuta alla contrazione di committenza ed alla drastica riduzione del numero di cantieri, con la conseguente minore circolazione di manodopera specializzata. Dal XII secolo si ritrovano una quantità numerosa di segni in quanto tale periodo è caratterizzato da un fermento edilizio non indifferente mentre le scuole lapicide si ripopolano e gruppi di artigiani attraversano l’Europa da un cantiere all’altro. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: G. Bianchi, "I segni dei tagliatori di pietre negli edifici medievali. Spunti metodologici ed interpretativi", Edizioni all’Insegna del Giglio, Siena 2002, pagg. 1-13; Idem, "Trasmissione dei saperi tecnici e analisi dei procedimenti costruttivi", in "Archeologia dell’Architettura", I, 1996, pagg. 53-64; F. Guerrieri, "Considerazioni sulle tecniche del cantiere edilizio medievale", in "Tecnica e società nell’Italia dei secoli XII-XVI", Atti del convegno internazionale, Pistoia 28-31 ottobre 1984, Bologna, pagg. 229-242; S.E. Hobel, "Pietre segnate e marche muratorie. Testimonianza delle confraternite iniziatiche e di mestiere", in "Actes International du VI colloqui International de Glyptographie de Samoèns", 5-10 luglio 1988, Braine-le-Chateau, pagg. 263-290; V. Zoric, "Alcuni risultati di una ricerca nella Sicilia Normanna. I marchi dei lapicidi quale mezzo per la datazione dei monumenti e la ricostruzione dei loro cantieri", in "Actes du VI Colloqui International du Glyptographie de Samoèns", 5-10- luglio 1988, Braine-le-Chateau, pagg. 565-604.

(6) L. Andreani, "La pubblicità tra arte e persuasione", tesi di diploma, Accademia di Belle Arti di Carrara, Corso di Pittura, Prof. A. Granchi, Relatore Corso di Mass Media, Prof. T. Tozzi, anno accademico 2000-2001, pp. 71.

(7) Un considerevole numero di insegne dipinte o a mosaico sono state trovate a Pompei. Esse rappresentano iscrizioni o immagini simboliche facilmente comprensibili per gran parte della popolazione, all’epoca del tutto priva di istruzione. Per ulteriori approfondimenti: M. Bernat, "La pubblicità nel tempo: dai manifesti ad internet", tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Architettura, Corso di Laurea Disegno Industriale, anno accademico 1999-2000.

(8) In Italia e in Germania si dipingono anche intere facciate di case. Alcune parti di decorazione possono costituire l’insegna.

(9) "La Piccola Treccani", dizionario enciclopedico, Istituto della enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.A., Milano-Roma 1995, alla voce "Insegna", vol. V, pag. 997; "Novissimo Digesto Italiano", diretto da A. Azzara e E. Eula, III Edizione, Utet 1957, alla voce "Insegna", pag. 723.

(10) "… entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva l’insegna della luna piena …", A. Manzoni, "I Promessi Sposi", Cap. XIV.

(11) L. Andreani, op. cit..

(12) I materiali esecutori dei manifesti sono i programmatum scriptores: si tratta di un impiego part-time che è espletato solo in periodo di campagna elettorale da persone che nei rimanenti periodi dell’anno esercitano mestieri diversi. Il lavoro degli scriptores si svolge prevalentemente di notte, quando la città è tranquilla, potendo così eseguire i manifesti con tutta calma. Non è infrequente il caso in cui lo scriptor è accompagnato da una squadra di assistenti: un dealbator che deve preparare la parete prescelta per il manifesto intonacandola; un lanternarius il cui compito è quello di reggere la lanterna per illuminare il lavoro notturno dello scriptor; infine un adstans, un aiutante senza compiti specifici.

(13) A. Cristofori, "Le iscrizioni parietali: introduzione" (le iscrizioni latine come fonte per la ricostruzione storica), in http://www.telemaco.unibo.it/rombo/iscriz/parintro.htm.

(14) Le diverse comunità cittadine facenti parte del mondo romano presentano un’ampia autonomia amministrativa a livello locale. I magistrati municipali sono dotati di grandi poteri e godono di alto prestigio all’interno delle loro comunità. Per questa ragione le contese elettorali sono accanite e le elezioni rappresentano un evento di grande rilevanza e molto seguito. Nell’imminenza del voto le pareti degli edifici cittadini, in particolare quelli situati nelle zone più frequentate, sono ricoperte di propaganda elettorale.

(15) A. Cristofori, "Qualche iscrizione parietale da Pompei" (le iscrizioni latine come fonte per la ricostruzione storica), in http://www.telemaco.unibo.it/rombo/iscriz/par1.htm.

(16) A. Cristofori, "Qualche iscrizione parietale da Pompei", op. cit.; M.A.N.N. (Museo Archeologico Nazionale Napoli), "Insegna di bottega ed iscrizioni elettorali", in http://www.archeona.arti.beniculturali.it/sanc_it/mann/it07/14.html.

(17) L. Andreani, op. cit..

(18) "Vocabolario siciliano-italiano", Biblioteca delle tradizioni popolari, Brancato Editore, Catania 2000, alla voce "abbanniata", pag. 2.

(19) C. Ferrara (impressioni di), "La musica dei vanniaturi o gridatori di piazza notigiani", Off. Tip. Di Fr. Zammit, Noto 1896, pag. 9.

(20) Il Tribunale della S. Inquisizione siciliana di rito spagnolo utilizza i "banditori" al fine di "pubblicizzare" le giornate in cui dovranno svolgersi gli "auto da fé" (solenni celebrazioni in cui sono lette le condanne dei singoli imputati). A suono di tamburo i "banditori", all’uopo incaricati, invitano "tutti e singuli fideli cristiani de qualsivoglia stato, gradu, dignità, preheminenza et condizioni" ad assistervi assicurando "ultra quaranta jorno de indulgencia" (cfr. C. A. Garufi, "Contributo alla storia dell’Inquisizione di Sicilia nei secoli XVI e XVII", in "Archivio Storico Siciliano", anno XL, pag. 338; G. Nativo, "Inquisizione, questa sconosciuta. Approccio ad una esplorazione documentaria. Sancta Inquisicion de Ragusa", La Biblioteca di Babele Edizioni, Modica 2004, pag. 63).

(21) "Vanniaturi: ... sintiti, sintiti… zoccu cumanna lu nostru gran conti FRANCISCU VINTIMIGGHIA

Tammuru

Vanniaturi: Lu Conti si marita! ! ! !

Tammuru

Vanniaturi: Lu Conti Franciscu lu vintunu d' Agustu di l'annu milli tricientu quinnici si marita cu la nobili Custanza Chiaramonte Figghia di Manfredi Chiaramonte Conti di Modica e signuri di Ragusa, di Caccamu e di Scicli; e di Donna Isabella Musca

Tammuru

Vanniaturi: Lu matrimoniu sarà celebratu primuliddu di l'ura nona ntà la chiesa ranni di Jraggi alla presenza di lu Re di Sicilia Pietru D'Aragona e di tutti li gran nobili di la Sicilia.

Tammuru

Vanniaturi: Pi' festeggiari lu grandi eventu lu Gran conti Franciscu Vintimigghia

Ordina

a tutti li cristiani di li so terri di esseri presenti alla Giostra ca si fa a Jraggi lu vintidui d'Agustu a lu campu di la SS Trintà.

Tammuru

Vanniaturi: Lu Cavaleri...farà onuri a stu paisi e ssi farà bona figura avrà lu premiu che lu Gran Conti Franiscu Vintimigghia stanziau pi li provi di la Giostra.

Tammuru, in "Bannu storicu" nei paesi della Contea partecipanti alla Giostra, http://www.members.virgilio.it/_xoom/giostravent/bando%20storico.html.

(22) L. Andreani, op. cit..

(23) Opera pittorica databile intorno agli ’20 del XV secolo, Firenze, Uffizi. Nel gruppo della Madonna col Bambino di mano del Masaccio, l’artista afferma nella forte consistenza plastica e nel gioco della luce, la nuova concezione dello spazio, la stretta relazione o meglio identificazione della figura con lo spazio prospetticamente inteso. (cfr. "La Piccola Treccani", op. cit., vol. VII, pag. 263; M. C. Prette, A. De Giorgis, "Il linguaggio dell’arte. Epoche e stili dalla preistoria alla fine del XIX secolo", Editrice La Scuola, Brescia 2000, pagg. 166-167).

(24) Termine latino "giardino chiuso". Espressione del "Cantico dei cantici" (IV 12).

(25) L. Andreani, op. cit.,

(26) Si tratta dell’ "Allegoria del Buono e del Cattivo Governo", grandioso ciclo di affreschi che il Lorenzetti realizza, tra il 1337 e il 1339, nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena.

(27) Il piano iconografico dell’opera si struttura in quattro momenti fondamentali: nel primo si trova l’Allegoria del Cattivo Governo che è rappresentata come un uomo vestito di nero e con le corna in testa (personificazione del diavolo), che si attornia di figure allegoriche quali la Crudeltà, la Discordia, la Guerra, la Perfidia, la Frode, l’Ira, la Tirannide, l’Avarizia e la Vanagloria. Il secondo momento è quello degli Effetti del Cattivo Governo in Città ed in Campagna: in tale affresco è rappresentata appunto la città ed il territorio limitrofo, dove dominano campi incolti, rovine e scene di violenza. Il terzo momento del ciclo dell’Allegoria del Buon Governo: qui campeggia la figura di un vecchio e saggio monarca che siede sul trono, circondato dalle figure allegoriche della Giustizia, della Temperanza, della Magnanimità, della Prudenza, della Fortezza e della Pace. Sul suo capo vi sono le personificazioni delle virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Il quarto ed ultimo momento pittorico del ciclo, nonché il più bel affresco di tutta la composizione, è l’Effetto del Buon Governo in Città e in Campagna: in questo caso è rappresentata una veduta in prospettiva della città di Siena e del contado, in cui si nota un clima di serena fattività. Sono raffigurate persone intente a costruire case, a svolgere mestieri, a coltivare i campi. Il tutto in sinergica cooperazione. Da un punto di vista artistico è d’obbligo far notare che, con tale ciclo di affreschi del Lorenzetti, per la prima volta nell’arte italiana compare il paesaggio in un’opera di carattere esclusivamente politico e laico.

(28) Per la Contea di Modica vedasi: A. R. Sciorini, tesi di laurea, "Cautele" Vol.VI – 73 (1543-1686), Università degli Studi di Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Storia e Filosofia, anno accademico 1975-1976. Il volume di "Cautele" è un registro cartaceo in cui sono raccolti centinaia di documenti di periodi diversi, compresi in ambito temporale che va dal 1543 al 1686. Si tratta di una miscellanea di registrazioni di affari diversi, riguardanti tutti l’amministrazione comitale. È uno spaccato di storia sociale, burocratico-amministrativa della Contea. Vi si trovano bandi relativi all’ordine pubblico ed alla difesa delle coste nonché dati che si riferiscono alla gestione frumentaria, copie di contratti e "giuliane". Il cospicuo carteggio esaminato dall’Autrice proviene dal fondo archivistico denominato "ex Contea di Modica", custodito presso l’Archivio di Stato di Modica. Recentemente la tesi è stata censita in occasione del "Genius Loci 2003 – Modica nelle tesi di laurea", catalogo edizione 2003, a cura dell’Associazione "Ciaria" di Modica, sede organizzativa presso "La Biblioteca di Babele" (http://www.labibliotecadibabele.it).

(29) Il "bando" è un documento sia di un foglio, ma anche in più carte, che notifica alla popolazione degli stati pre-unitari decisioni di carattere amministrativo-giuridico emesse dall’autorità politico territoriale, o decisioni di carattere religioso ad opera della diocesi o di varie autorità religiose. Per "manifesto" si intende un documento in una sola carta, stampato solo sul recto e destinato all’affissione. Lo stesso, talvolta, circola liberamente anche in una pubblicazione in più carte (in tal caso non più destinata all’affissione). Infine, si riscontrano avvisi anche come "foglio volante": documento in una sola carta, stampato su una o su entrambe le facciate e non destinato all’affissione. [cfr. S. Migliardi, "I Bandi: sviluppi e linee di una normativa catalografica", in "Il Corsivo", libro antico e censimento delle edizioni italiane del XVI secolo, ICCU (Responsabile C. Leoncini), Roma 1991, N. S. n. 1, pagg. 41— 44].

(30) L. Andreani, op. cit..

(31) Divenuta poi "Gazette de France".

(32) Stampa litografica a colori ottenuta per sovrapposizione di più immagini di diversi colori.

(33) "La Piccola Treccani", op. cit., alla voce "pubblicità commerciale", vol. IX, pag. 789.

(34) Per maggiori approfondimenti:

AA. VV., "Dizionario della Pubblicità, storia, tecniche, personaggi", Zanichelli, Milano 1994; M. Baldini, "Storia della Comunicazione", Edizioni Newton tascabili, Roma 1995; A. Mattelart, "L’invenzione della comunicazione", Il Saggiatore, Milano 1998, pagg. 295-309; V. Codeluppi, "La pubblicità, guida alla lettura dei messaggi", Franco Angeli, Milano 1997; V. Packard, "I persuasori occulti", Einaudi tascabili, Torino 1959-1989; E. Grazioli, "Arte e Pubblicità", Bruno Mondatori, Milano 2001; S. K. Reed, "Psicologia Cognitiva: teoria e applicazioni", Il Mulino Edizioni, Bologna 1989; J. S. Bruner, "La mente a più dimensioni", Laterza, Bari 1986; R. Ghiglione, "La comunicazione è un contratto", Liguori, Napoli 1988; E. Katz & P. Lazarsfeld, "L’influenza personale nelle comunicazioni di massa", ERI, Torino 1968; M. McLuhan, "Gli strumenti del comunicare", Il saggiatore, Milano 1964; Ch. R. Wright, "La comunicazione di massa", Armando Edizioni, Roma 1970; B. Zani et al., "La comunicazione. Modelli e contesti sociali", La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994.

 

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