La propaganda nel dominio politico

Carmelo Modica

 

 

Indice

  1. Problematicità del quadro complessivo di riferimento
  2. Il potere: soggetto attivo del processo di persuasione
  3. Dalla persuasione alla propaganda
  4. La folla stupida e (è) l’origine del potere. Il destinatario del processo di persuasione
  5. La propaganda è il "manganello" utilizzato con altri mezzi
  6. La Postdemocrazia: l’ennesimo imbroglio
  7. Conclusioni con una nota pessimistica finale
  8. Bibliografia essenziale

 

1.  Problematicità del quadro generale di riferimento

Analizzare la propaganda politica significa rispondere ad una serie di domande del tipo: "Cosa è la propaganda in generale?", "Cosa la distingue dalla persuasione o dalla informazione?", "Come nasce il problema?", "Quali scopi si prefigge?", "Chi la utilizza?", "A chi è destinata?". Da ciò nasce la necessità di tratteggiare un quadro di riferimento complessivo. Se si vuole dare un minimo di scientificità a quello che andremo a dire, non si può fare a meno di individuare le relazioni che l’argomento ha con tutti i domini culturali che trattano la natura dell’uomo, anche per rendere chiari aspetti altrimenti non indagabili, specie in un argomento come questo del quale si intuisce la grande incidenza che ha nel determinare la qualità degli Stati, la qualità della vita, il modo di essere dell’uomo.

L’indagine richiede di definire il significato di propaganda perché da essa può andarsi ad individuare il limite oltre il quale dalla pura informazione si passa a qualcos’altro. La propaganda appartiene al dominio dell’informazione, ma da essa si differenzia perché non si prefigge solo lo scopo di portare a conoscenza di una persona o di una folla l’avvenimento di un fatto o l’esito di una ricerca o di un comportamento. La propaganda è qualcosa in più perché utilizza una certa insistenza, come a dire che, nella sua maniera più semplice, carica l’informazione dello scopo di persuadere.

 

Ai fini dello studio è estremamente importante l’analisi del soggetto attivo del processo di persuasione perché dalla sua intrinseca natura dipende anche la qualità della propaganda. Nel settore commerciale, tale soggetto attivo è ben identificato nel venditore di un prodotto o di un servizio. Nella propaganda politica, il soggetto attivo si identifica nel potere che, invece, non ha analogamente una identità chiara, netta e condivisa. Questa è una differenza importante,perchè l’oggetto della propaganda politica intacca direttamente e pesantemente il modo di intendere la vita e principi fondamentali come la libertà, la giustizia e non la qualità di una saponetta o di un pacchetto di grissini. Non bisogna dimenticare che è in atto un processo di (con)-fusione dei due soggetti attivi del processo persuasivo (politico e commerciale) con la conseguente identificazione di potere economico e potere politico.

Tanto ci sembra sufficiente sia per inquadrare il tema scelto nello scenario generale della vita moderna sia per introdurre la definizione del potere e delle sue finalità come elemento propedeuticamente necessario alla trattazione del nostro argomento principale.

 

2.  Il potere: soggetto attivo del processo di persuasione

Definire il soggetto attivo della propaganda politica significa definire il potere, la sua natura, le sue origini il suo scopo e significa prendere atto anche della sua necessarietà. Esiste un’ampia letteratura che indaga ed analizza lo Stato, il suo modo di essere, i suoi elementi e le sue forme. Una letteratura sterminata in cui Stato, Società, Popolo, Nazione, Comunità Nazionale, Paese, Potere vengono sezionati e relazionati fra loro con le lenti del diritto, della filosofia, delle teorie politiche dei valori etici e metafisici, della sociologia; alla ricerca di chiavi di lettura a volte inconciliabili come inconciliabili appaiono modelli di sviluppo contrapposti e filosofie diverse. Per più di duemila anni i filosofi politici, da Platone a Marx passando per Aristotele, San Tommaso d’Aquino, Machiavelli, Loke, Rousseau, Jefferson e Nietzche, si sono occupati di grandi temi etici quali la sovranità, il contratto sociale, i diritti dell’uomo, la natura corruttrice del potere, l’equilibrio tra libertà ed ordine. Andando oltre tutto questo, esiste un dato di fatto incontrovertibile: lo Stato esiste quando esiste un popolo stanziato in un territorio e con una potestà. Nel suo livello elementare lo Stato è una necessità perché è l’esito di una tendenza naturale che hanno i componenti di una Comunità di affidare ad una parte terza la potestà di regolare tutti i rapporti della loro vita sociale.

In natura esiste una tendenza all’equilibrio secondo logiche e criteri che determinano ecosistemi. In tali ecosistemi, in termini sociologici, l’uomo obbedisce al richiamo ancestrale di costituirsi in Comunità in cui vengono ad organizzarsi naturalmente una serie di ceti sociali tra i quali spicca il gruppo dei dominanti e quello dei dominati, con alcune fasce intermedie tutte funzionali al mantenimento di un certo equilibrio fondamentale alla sopravvivenza della Comunità stessa.

Nelle varie famiglie animali il rapporto tra dominanti e dominati è affidato alla pura azione di forza in un contesto generale caratterizzato da rapporti istintuali ed automatici. Nelle comunità umane, tale rapporto, per l’intervento di canoni extraistintuali (intelligenza, sentimenti, emozioni, passioni, dimensioni spirituali e metafisici), risulta più problematico anche se non è difficile constatare che esso si è evoluto dalle forme più semplici del puro atto di forza delle società più antiche e meno evolute a quelle più recenti che sembrano privilegiare la ricerca del consenso.

Confrontando, nelle grandi distanze, le antiche forme di Stato ed i moderni stati attuali (tra questi, quelli democratici) si coglie, andando oltre le enfatizzazioni, che esiste, in tutte le forme di Stato, un filo conduttore nel modo di manifestarsi del potere, la cui natura non sembra abbia avuto, nella sostanza, una evoluzione pari a quella che ha avuto l'evoluzione delle sue forme. Questo è l’oggetto delle nostre riflessioni. Un esaustivo aiuto nella riflessione sulla genealogia e natura del potere lo fornisce Popitz Heinrich (1925 – 2002) che ha in pratica sistematizzato, cogliendone tutte le relazioni, il pensiero di Vilfredo Pareto (1848- 1923) Gaetano Mosca (1858 – 1941) e Max Weber (1864.- 1920) che non possono assolutamente essere trascurati in analisi di questo tipo. Il Popitz descrive in maniera impietosa i meccanismi di formazione del consenso e gestione del potere presentando casi simbolici veramente illuminanti e di rara efficacia divulgativa per materializzare genealogia ed esercizio del potere.

Il primo caso simbolico è quello più illuminante. In esso ipotizza un lungo viaggio di una nave dove sono disponibili solo un terzo di sedie a sdraio rispetto al numero dei passeggeri presenti. Un gran numero di viaggiatori sale e scende in ciascun porto, determinando un gran trambusto. Nei primi giorni la mobilità dei passeggeri fa si che le sedie sembrano quasi sufficienti per tutti, ma nei giorni successivi e con un inesorabile crescendo si verifica che alcuni passeggeri cominciano ad esercitare un possesso duraturo delle sedie. Il processo si stabilizza attraverso una serie di rituali simbolici e con evidenti azioni intimidatorie contro tutti coloro che tentano di impossessarsi di esse "senza titolo". Vengono così a stabilizzarsi due classi di passeggeri: i possessori di sdraio ed i nullatenenti. Successivamente si forma una classe intermedia tra le prime due: sono i delegati che esercitano il ruolo di custodi delle sedie per conto dei possessori "legittimi". Non è spiegabile, ma è accaduto che una minoranza è riuscita con relativa facilità ad assumere il dominio nei confronti di una maggioranza.

In un altro caso, Potpitz ipotizza un campo di prigionia dove vengono internati in maniera casuale dei reclusi. La iniziale indifferenziazione determina la cooperazione tra di loro, ma ben presto nasce un gruppo molto coeso, formato da quattro persone che, utilizzando le proprie capacità e lavorando alacremente con una precisa divisione dei compiti, riescono a costruire un fornello a gas e ad offrirsi come fornitori di altri servizi utili a tutti: nasce così negli altri la dipendenza. Anche in questo caso si forma un gruppo intermedio di clientela privilegiata che viene oggettivamente associata al gruppo dei quattro. Si determina così uno scaglionamento in tre gruppi oltre a quello dominante: gli associati, che sono i clienti privilegiati, le persone che assistono al processo come spettatori neutrali ed un terzo gruppo di esclusi, di veri e propri servi della gleba. Ogni tentativo di costruire un secondo fornello e di eliminare il monopolio viene di fatto impedito come atto sovversivo. Anche in questo caso il dominio si è creato con il consenso ed è stata la superiorità produttiva connessa al monopolio della produzione a determinare il nuovo ordine.

Col primo esempio Popitz mostra che la fruizione di risorse limitate genera una distinzione tra privilegiati e non privilegiati che si radicalizza per la superiore capacità organizzativa dei privilegiati, maggiormente disposti, per interesse, a difendersi reciprocamente. Inoltre la reciproca legittimazione dei privilegiati opera attivamente affinché lo status del privilegio si imponga e si mantenga. Col secondo esempio Popitz mostra come, in uno stato di necessità, la presenza di un gruppo di individui fra loro solidali e dotati di competenze renda il gruppo stesso particolarmente efficiente, produttivo, e capace di imporsi sul contesto sociale. Una volta acquisita una certa leadership, il gruppo la manterrà attraverso la politica della divisione, creando intorno a sè gruppi beneficati a livelli diversi. Con tale sistema, chi ha il potere si assicura un gruppo di sostegno e crea un gruppo di diseredati. Il rischio di essere declassati a quest’ultimo gruppo rappresenta una minaccia capace di dissuadere chi volesse ribellarsi tra coloro che, anche solo potenzialmente, possono appartenere al gruppo dei beneficati.

Risulta così individuato l’itinerario che il potere segue per trasformarsi da dominio sporadico ed occasionale a quello standardizzante e ripetitivo e poi a quello posizionato, dominante. Poi si istituzionalizza consolidandosi mediante apposite strutture o apparati di dominio fino a giungere al dominio sovrano dello Stato. Così la visione di Popitz confluisce in una prospettiva radicalmente pessimista circa il ruolo che la violenza esercita nelle vicende umane. Essa non può essere eliminata, anzi tende ad espandersi oltre ogni limite. La violenza alimenta il cerchio diabolico della repressione ed ogni ordinamento, benché proiettato ad eliminare la violenza, non fa altro che alimentarla. Questi esempi, che non sono solo scolastici, ci sembrano adeguati per dimostrare l’intima natura del potere che, occorre dirlo senza riserve, è per sua natura violenta.

Nel campo della politica, tentare di definire l'entità "potere" sta divenendo sempre più complesso, ma nei momenti attuali ancora si identifica in quella entità più vicina a noi che è il potere dello Stato, ovvero quell’elemento che per i manuali di diritto costituzionale identifica uno Stato quando esso (potere) ha la capacità e la potestà di esercitarsi su un popolo stanziato su un determinato territorio. La funzione e gli scopi che il potere si prefigge nell’ambito dello Stato ne determinano anche la natura che è sempre sintetizzabile nella capacità di essere forza fisica o comunque idonea ad ottenere i comportamenti necessari alla "civile convivenza".

Nel diritto appare abbastanza condiviso che lo Stato, per esistere, richiede la coesistenza dei tre elementi fondamentali e cioè popolo, territorio e potestà (o potere); non richiedendo alcuna qualità particolare o altra formalizzazione del potere sia in ordine alla sua eticità sia in ordine alla sua legittimità. Lo stesso riconoscimento di un Stato non è mai avvenuto sulla scorta di determinati requisiti non essendo mai esistita una entità internazionale dotata di potere inquisitivo sugli Stati, come dimostra il fallimento della vecchia Società delle Nazioni e la crisi dell’attuale ONU le cui risoluzioni vengono enunciate, applicate e sostenute solo in funzione dell’utilità che ne traggono le singole nazioni coinvolte.

Nella sua intima natura, il potere si estrinseca in una capacità di esprimere forza ed una capacità di esercitarla attraverso l’azione fisicamente violenta o attraverso la minaccia. E se è vero che il modo di essere del potere ha una sua evoluzione nella storia, è altrettanto vero che esso non poteva che mantenere intatta la sua natura: lo impone la sua genesi e la sua funzione. Il potere, avendo come scopo sociologicamente necessario di far convivere un popolo in un territorio, realizza con la sua azione un controllo delle masse orientando le stesse ad ottenere comportamenti complessivi equilibrati ed armonici. Nel tempo questo controllo delle masse ha avuto una sua evoluzione svolgendosi dal puro atto di forza delle società primitive ed elementari e più antiche alla ricerca del consenso delle società attuali.

Nel corso della storia, l'evoluzione degli stati e quella delle teorie politiche si sono distinte in funzione del concetto di forza che, collegato all’obiettivo di realizzare la giustizia intesa come inveramento del giusto, si è arricchito di valenze metafisiche. La ricerca del consenso per eliminare o mitigare il ricorso alla forza diveniva, quindi, lo strumento indicato da tutti i movimenti politici come essenza fondamentale delle nuove forme di Stato. Man mano nel tempo si è avvertita sempre più l’esigenza che lo Stato fornisse una giustificazione della sua autorità, unico modo per porsi ad un livello superiore rispetto al semplice esercizio della forza. Il potere statale cercava una sua legittimità e, da un punto di vista ordinamentale, nella tradizione occidentale sin dall'antichità greca e Romana acquisiva nel "diritto" il proprio criterio di legittimazione. Solo ora il pensiero politico moderno si chiede se la giustificazione del potere e della forza da parte dello Stato possa essere trovata anche oltre il diritto ed oltre l'ordinamento giuridico, considerato che ogni Stato in quanto tale, proprio per la generale espansione delle sue leggi, finisce per essere sempre uno stato di diritto. Siamo in presenza di problemi complessi e controversi. Ne è la prova la vastissima letteratura esistente sul potere, sulla sua genealogia, sulla sua natura, sulla sua eticità, sul suo rapporto con il popolo e con il territorio, sulla sua filosofia e, a volte, sui suoi presupposti di ordine religioso. A questo travagliatissimo concetto sono dedicate intere biblioteche che spesso, però, soddisfano soltanto le esigenze di una masturbazione intellettuale che poi, nei fatti, non risulta essere di molta utilità per spiegare e capire. Si è molto filosofeggiato sul concetto di potere, potenza, autorità, legittimità, ma tutto ciò non ha impedito a Elias Canetti di affermare, sintetizzando il pensiero di Weber, Mosca, Pareto e Machiavelli: "Il potere non è mai legittimo. Esso è forza bruta che perdura nel tempo. Il potere è più ampio della forza. La forza è il gatto che afferra il topo; il potere è il gatto che gioca con il topo, tanto sa che può mangiarlo in ogni momento" (1).

 

3.  Dalla persuasione alla propaganda

Tratteggiando il potere abbiamo dato un volto al soggetto attivo del processo di persuasione. Ma se vogliamo ora parlare delle tecniche di persuasione ai fini del controllo della popolazione, occorre riflettere sul problema già accennato, ovvero sulla differenza tra persuasione e propaganda. Ciò che caratterizza i tempi moderni è un serrato dibattito attorno al trionfo della democrazia come sistema che realizza il massimo di libertà. Dibattito al quale ci si dedica con una determinazione da "fine della storia" e con coinvolgimenti che assumono a volte aspetti quasi religiosi.

Le sensazioni che potevano scaturire dalle celebrazioni liturgiche dei totalitarismi del XX secolo non dovevano essere molto diverse da quelle che scaturiscono oggi dalle celebrazioni dedicate alla democrazia, nè la mistica fascista doveva essere diversa da quella democratica dal momento che entrambe sembrano cercare e trarre autorevolezza e legittimazione più dalla demonizzazione del nemico (prima accuratamente ben definito) che da una intrinseca qualità propria. Somiglianze, queste, che non vengono percepite in quanto l’alto livello tecnologico raggiunto dagli strumenti mass-mediologici (tra i quali primeggia la televisione) ed il loro massiccio utilizzo danno a tutti la sensazione di partecipare alle decisioni pubbliche.

La propaganda politica è, come già scritto, uno strumento per la ricerca del consenso, attraverso il quale definire democraticamente la leadership che è capace di prendere le decisioni necessarie in nome e per conto del popolo del quale è legittima espressione. Da questa definizione deriva che la democrazia e la collegata ricerca del consenso sono basate interamente sulla qualità della propaganda, per indagare la quale occorre partire dalla definizione che si dà della persuasione. Massimo Piattelli Palmarini propone un'accezione della persuasione che ci sembra fondamentale. Egli sostiene che: ".… La persuasione non è un'opera di convincimento che si prospetta di "spingere" qualcuno ad agire contro la propria volontà, ma si tratta invece di un atto che permette sempre una scelta, un esercizio di libera volontà. Persuasione significa indurre un mutamento nell'opinione altrui solo per mezzo di un trasferimento di idee, un passaggio di contenuti mentali. Non si può persuadere uno, che so io, a vedere, a sapere, ad arrivare. Lo si può persuadere, però, a guardare, a studiare, a partire. Persuadere implica che la persona sia libera non solo di volere, di agire, ma anche di pensare, di credere, di decidere. .... quando una volontà, un'intenzione, una credenza o una decisione devono trasferirsi da una mente a un'altra, allora si devono innescare, sul momento stesso, moti convergenti nell'una e nell'altra. .… , per sua natura intima, l'arte della persuasione è un esercizio lieve. Aborrisce i mezzi pesanti. È lecito esercitare un certo ascendente, ma non fare appello al principio di autorità" (2).

Il problema è, quindi, quello dei limiti oltre i quali la persuasione cede il passo alla violenza. Per il momento ci limitiamo a definire la propaganda come il tentativo di manipolare l’opinione pubblica allo scopo di promuovere o nuocere a una particolare causa, a un individuo, a un gruppo. Appare evidente che i propagandisti ricercano più il controllo che l’informazione.

La possibilità di influenzare le interazioni umane attraverso le pratiche discorsive ha fatto sì che, nel corso dei secoli, le classi dominanti e i ceti emergenti abbiano cercato rispettivamente di detenere in esclusiva o di conquistare il monopolio dello strumento linguistico, sottraendolo a coloro che avrebbero potuto usare la parola per finalità diverse. Nella propaganda politica più che in quella commerciale è stato possibile constatare come questo limite sia incerto e come sia stato difficile definirlo specie là dove sono intervenute passioni politiche, nazionalismi, ideologie e convinzioni religiose. Nella storia recente, il periodo in cui si è maggiormente risentito degli effetti di questo genere di politica è senz'altro quello delle grandi dittature europee nella prima metà del XX secolo, ma tutte hanno avuto un maestro in Gustave Le Bon che ha analizzato i meccanismi che sovrintendono ai comportamenti delle folle (3).

 

4.  La folla stupida e (è) l’origine del potere. Il destinatario del processo di persuasione

Se Weber, Mosca, Pareto e, ultimamente, Popitz sono estremamente utili per definire il soggetto attivo e dominante del processo persuasivo, chi ha ben definito il destinatario di tale processo, cioè la folla, è certamente Gustave Le Bon. Il suo "Psicologia delle folle" è fondamentale e oggi ha anche il vantaggio di essere stato testato sul campo con risultati che sono molto discussi. A noi sembra che, nonostante l'evoluzione degli studi in materia, non ne vengano tratte le giuste conclusioni. In questa sede ci limiteremo a fornire solo qualche indicazione del saggio di Le Bon che, pur non essendo esaustive, daranno certamente l’idea della sua importanza.

 

Questo quadro sintetico e certamente non entusiasmante delle caratteristiche possedute dalla folla è la traduzione in termini psicologici del progetto di manipolazione che si riscontra anche nelle analisi che si propongono di studiare le qualità sociologiche delle masse. Analisi che erano state elaborate già da altri antichi ed autorevoli autori.

 

5.  La propaganda politica è un "manganello" utilizzato con altri mezzi

Da una rapida ricerca su Internet chiunque può verificare che il personaggio che più di tutti viene posto in relazione al libro di Le Bon "Psicologia delle folle", in quanto utilizzatore delle indicazioni in esso contenute per la manipolazione (delle folle), è certamente Hitler. Di lui, infatti, viene riportato quanto ha scritto in materia nel suo 'Mein Kampf': "Le masse non sanno cosa farsi della libertà e, dovendone portare il peso, si sentono come abbandonate. Esse non si avvedono di essere terrorizzate spiritualmente e private della libertà e ammirano solo la forza, la brutalità e i suoi scopi, disposte a sottomettersi. Capiscono a fatica e lentamente, mentre dimenticano con facilità. Pertanto la propaganda efficace deve limitarsi a poche parole d'ordine martellate ininterrottamente finchè entrino in quelle teste e vi si fissino saldamente. (4) Si è parlato bene quando anche il meno recettivo ha capito e ha imparato. Sacrificando questo principio fondamentale e cercando di diventare versatili si perde l'effetto perché le masse non sono capaci di assorbire il materiale, nè di ritenerlo".

Questo massivo riferimento ad Hitler quando si discute di le Bon e del suo libro è sintomatico. Qui non si discute la fondatezza delle argomentazioni che da tale riferimento scaturiscono, ma nasce il sospetto che si voglia realizzare, con la unicità del riferimento, un’associazione automatica tra tali tecniche ed Hitler per fissare a livello incoscio l’idea che solo un Hitler poteva utilizzarle e che, quindi, esse sono legate alla sua ideologia mentre sono estranee alla democrazia. Si crea così una cortina fumogena che consente al sistema di non farsi osservare. Operazione resa facile dal fatto che nessuna azione negativa attuale può essere minimante paragonabile alla demonia hitleriana. Ma le cortine fumogene sono destinate a diradarsi con il tempo e qualche segno comincia già a vedersi.

L’applicazione di queste tecniche di manipolazione non sono una prerogativa di Hitler e dei suoi contemporanei colleghi dittatori. Ce lo dice Noam Chomsky (5) il qualehe dimostra come gli americani furono i primi ad utilizzare i precetti di Le Bon in maniera sistematica, tanto da suscitare l’attenzione dello stesso Hitler che rimase tanto impressionato dalla propaganda angloamericana da manifestare l'ipotesi, non senza merito, che fosse stata la propaganda ad aver fatto vincere loro la prima guerra mondiale, mentre il suo ministro della propaganda, Goebbels, fu un ammiratore di Edward L. Bernays, "inventore", nei primi anni 20, delle relazioni pubbliche.

Chomsky è fondamentale anche perché - con una chiarezza, efficacia e completezza fuori dal comune; con un lavoro scientifico di sistematizzazione operato (6) con invidiabile capacità attraverso documenti di commissioni, seminari e convegni accademici - ha creato, di fatto, una scuola di analisti dei media attraverso la quale per migliaia, forse milioni di persone nel mondo è divenuto quasi un assioma che nelle democrazie del "libero mercato" l’opinione pubblica è fabbricata proprio come un qualsiasi altro prodotto del mercato di massa: sapone, interruttori o pane a fette. Mettendo a nudo un mondo in cui, al capitalismo fondato sull’accumulazione del capitale, si è andato sostituendo un capitalismo neoliberista basato sull’accumulazione del potere (per qualcuno), sull’accumulazione della libertà (per qualcuno) e sulla erosione della libertà per i molti. E naturalmente quelli che possono permettersela, usano la libertà di parola per fabbricare il tipo di prodotto, confezionare il tipo di opinione pubblica, che meglio soddisfa i loro propositi.

Noam Chomsky ha smascherato l’universo turpe, manipolatore, spietato, che sta dietro la meravigliosa, solare, parola "libertà". Lo ha fatto sul piano logico e sul piano empirico. La massa di prove, che ha messo insieme per costruire il suo processo, è formidabile. Veramente terrificante. La premessa di partenza del metodo di Chomsky non è ideologica, ma è profondamente politica. Inizia il suo percorso di indagine con l’istintiva diffidenza di un anarchico nei confronti del potere. Ci porta in giro per la palude dell’istituzione USA e ci conduce attraverso il vertiginoso labirinto dei corridoi che mettono in comunicazione il governo, il mondo del grande business e il business della manipolazione dell’opinione pubblica (7).

Quello che sorprende in tutta la letteratura prodotta, segnalata o commentata da Chomsky è il constatare che quanto la storia rimprovera, in materia di manipolazione dell’opinione pubblica, ai grandi dittatori del XX secolo è realizzato nelle democrazie attuali dai "nobili vincitori della barbarie nazista e comunista". Ripercorrendo le sue analisi, si riscontra l’attualità dei giudizi sprezzanti sulle masse già espressi all’inizio del secolo scorso e le tecniche suggerite da Le Bon.

Si materializza anche la protervia del totalitarismo che è consapevole della propria forza e potenza, tanto che: "…. non c'è bisogno di speculare su quello che il sistema fa perchè i suoi gestori sono abbastanza gentili da dircelo, nelle pubblicazioni del settore e anche nella letteratura accademica" (8). Per coglierne le dimensioni riportiamo una selezione di tale letteratura che abbiamo diviso in due grandi categorie, il disprezzo delle masse e le tecniche di manipolazione:

 

a) Il disprezzo delle masse

".… in una democrazia ci sono due funzioni: quella dirigenziale, svolta dalla classe specializzata, dagli uomini responsabili, che pensano, pianificano e comprendono gli interessi comuni, e quella svolta dal gregge smarrito, la funzione dello spettatore, di colui che non partecipa all'azione…" (9).

Lasswell: ".… E poiché noi siamo persone nobili e meravigliose, la useremo (la propaganda) per il bene, per assicurarci che le masse stupide ed ignoranti rimangano emarginate e prive delle responsabilità di prendere decisioni".

Bernays: "Lasciare che le persone che devono manovrare i fili lo facciano senza nessuna interferenza dalla massa della popolazione, che non ha nessun ruolo nella vita pubblica.... I membri più intelligenti di una comunità possono trascinare il popolo in tutto ciò che essi desiderano…" (10).

".… gli interessi comuni sfuggono completamente all'opinione pubblica e possono essere compresi e amministrati soltanto da una classe specializzata di uomini responsabili, abbastanza intelligenti da capire come vanno le cose…. solo una ristretta élite… è in grado di comprendere gli interessi comuni, che riguardano tutti e che sfuggono al popolo…" (11).

"…. poiché la gente è troppo stupida e ignorante per comprendere i propri interessi, per il loro bene - perché noi siamo dei grandi benefattori - dobbiamo emarginarli e controllarli. Il modo migliore per farlo è la propaganda.…" (12).

Lasswell: ".… non dobbiamo soccombere al dogmatismo democratico secondo cui gli uomini sono i migliori giudici dei propri interessi, perché è infondato. Noi siamo i migliori giudici degli interessi pubblici.… In quelli che oggi sono chiamati stati totalitari o regimi militari, è facile: basta impugnare il manganello e colpire chi esce dai ranghi. Ma quando la società è più libera e democratica occorre rinunciare a questa opportunità e adottare le tecniche della propaganda...." (13).

 

b) Tecniche nell’uso dei Media e della televisione in particolare

Lippmann: "Noi possiamo fabbricare il consenso attraverso la propaganda.

Lasswell: "… La propaganda non ha niente di negativo in sè, è moralmente neutra, come la maniglia di una pompa. La si può usare per il bene o per il male (14).

"… Se si esaminano i programmi trasmessi dalla televisione si vedrà che non ha molto senso interrogarsi sulla loro veridicità. L'industria delle pubbliche relazioni non spende miliardi di dollari all'anno per gioco. L'industria delle pubbliche relazioni è un'invenzione americana che è stata creata all'inizio di questo secolo con lo scopo, dicono gli esperti, di controllare la mente della gente, che altrimenti rappresenterebbe il pericolo più forte nel quale potrebbero incorrere le grandi multinazionali. Questi sono i metodi per attuare questo genere di controllo.…" (15).

Lippmann: "… Se si possono controllare le persone con la forza, non è molto importante controllare quello che pensano e che sentono. Ma se si perde la capacità di controllare le persone con la forza, diventa più necessario controllare atteggiamenti ed opinioni" (16).

"Gli investitori pubblicitari non pagano per fare ragionare le persone, ma per fare in modo che siano passive e obbedienti..… In un qualsiasi periodico considerato serio e autorevole, quando i pezzi grossi si riuniscono alle quattro del pomeriggio per decidere la struttura del giornale, per prima cosa impostano la distribuzione delle inserzioni pubblicitarie nelle varie pagine. Solo dopo questo passaggio si occupano di quelle che vengono definite le "news holes", vale a dire i buchi nella pubblicità in cui possono essere inserite le notizie.… Nell’industria televisiva la divisione è tra… "contenuto" e "riempitivo". Dove la parte più importante è rappresentato dalla pubblicità, mentre il riempitivo è ciò che tiene lo spettatore incollato al televisore tra un blocco pubblicitario e l’altro… I soldi, la creatività, l’energia e gli sforzi che vengono dedicati all’elaborazione della pubblicità superano di gran lunga quelli investiti nell’informazione e nei programmi.… " (17).

"… Quando la maggioranza "ignorante e deficiente" sta insieme può capitare che si faccia venire strane idee.… Se invece si tengono gli individui isolati, non è interessante se pensano e quello che pensano… bisogna tenere la gente isolata, e nella nostra società significa incollarla alla televisione. Una strategia perfetta. Sei completamente passivo e presti attenzione a cose completamente insignificanti, che non hanno alcuna incidenza.… Sei obbediente. Sei un consumatore. Compri spazzatura della quale non hai alcun bisogno…" (18).

"…. È necessario inoltre falsare radicalmente la storia. È un'altra strategia per sconfiggere le assurde inibizioni: far apparire le cose in modo tale che, quando gli Stati Uniti attaccano e distruggono un paese, sia chiaro che lo stanno proteggendo da mostruosi aggressori" (19).

Bernays: "... Controllare le persone attraverso una filosofia della futilità, cercando di farli concentrare sulle cose superficiali della vita, come il consumo dettato dalla moda…. (20).

"… La verità resta sepolta sotto un enorme castello di bugie. Per scongiurare la minaccia della democrazia, in condizioni di libertà, si è dimostrata una strategia molto efficace; a differenza di quanto avviene negli stati totalitari, in cui si ricorre alla forza, questi risultati sono ottenuti in condizioni di libertà" (21).

"… Se comprendiamo il meccanismo mentale e le motivazioni dei gruppi è possibile controllare e irreggimentare le masse secondo la nostra volontà e senza che queste se ne accorgano" (Bernays chiamò questo controllo scientifico delle opinioni "ingegneria del consenso)

".... La manipolazione consapevole e intelligente dei costumi e dell'opinione delle masse è un elemento importante della società democratica.… Coloro che manipolano questo meccanismo occulto delle società costituiscono un governo invisibile che è la vera forza che governa questo paese… è la minoranza intelligente quella che deve fare un uso continuo e sistematico della propaganda. Noi siamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri gusti vengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate da uomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare. Questo è il logico risultato del modo in cui la nostra società democratica è organizzata. Un vasto numero di esseri umani deve cooperare in questa maniera se si vuole vivere insieme come società che funziona in modo tranquillo. In quasi tutte le azioni della nostra vita, sia in ambito politico o negli affari o nella nostra condotta sociale o nel nostro pensiero morale, siamo dominati da un relativamente piccolo numero di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la mente delle persone.…" (22).

Al termine della lettura di questa selezione nasce spontanea la domanda del come sia possibile che tutto ciò sia accaduto ed accada ancora adesso. Come sia possibile che vengano adoperate queste tecniche alla luce del sole senza che ciò provochi una qualche reazione. Nel titolo di questo centrale capitoletto abbiamo indicato la propaganda come simile al manganello (Chomsky parla di randello), ma dobbiamo aggiungere che, mentre quest’ultimo provoca nel destinatario una reazione con la fuga, oppure riparandosi o reagendo anche fisicamente al poliziotto che lo malmena, la propaganda, invece, non provoca nessuna reazione, anzi sembra addirittura che induca l’uomo ad assumere l’atteggiamento mentale più adeguato per ricevere meglio le "manganellate". Una qualche giustificazione a questa incapacità di percepire la violenza della propaganda la fornisce Franco Cardini quando sostiene che "i nostri parametri di libertà-non libertà sono rimasti fermi o quasi al vecchio conflitto tra libertà demoliberale e demoparlamentare e totalitarismo nazista o comunista.… Abbiamo difficoltà ad individuare i tratti del totalitarismo liberistico espressione del quale sono "pensiero unico" o political correctness (23) … la libertà sta morendo anche come fatto individuale, circondata, condizionata e svuotata dal di dentro dai mass media, dalle sollecitazioni esterne, dalla pubblicità, dall'imposizione di "mode" che diventano costumi, dallo smarrirsi generale del senso della tradizione, dello stato e del limite. Solo che si tratta di un'eutanasia. Il cittadino occidentale ridotto a consumatore abdica alla sua libertà: ma, dal momento che non vi sono né partito unico, né polizia politica, né apparato propagandistico-repressivo a condizionarlo, si sente libero.… (24).

 

Noi aggiungiamo che lo stile di vita che conduciamo sembra pensato appositamente per rientrare nella logica del controllo delle menti cioè movendoci all’interno dei nostri giorni in modo meccanico e frenetico, non lasciando spazio a particolari momenti di relazione sociale. Gli orologi sono per noi strumento di vita indispensabile; le nostre giornate sono scandite da appuntamenti e programmi televisivi, siamocompletamente slegati da qualunque processo naturale. L’unica "compagnia" ci viene fornita dal mezzo televisivo, per cui è pressoché automatico entrare nella sua logica, utilizzare i suoi vocaboli, credere alle sue notizie, scegliere e poi vivere una delle vite lì proposte. Ma qualche reazione comincia a manifestarsi. Il prof. Assunto Quadrio dell’università Cattolica di Milano, nella presentazione al saggio di Robert B. Cialdini psicologo americano, scrive:

… Ogni volta che mi sono state rivolte delle richieste di consulente per qualche campagna propagandistica di tipo commerciale o politico, non ho potuto evitare un certo disagio. Mi sono sentito colpevole di truffa ai danni delle persone da persuadere. Ogni volta, poi, che, a posteriori, mi sono stati illustrati i risultati efficaci di qualche azione o campagna persuasiva, mi sono trovato nuovamente a disagio perché, in sostanza, mi disturba dover constatare che, negli anni 2000, l'umanità così esperta e tecnologicamente progredita continui a manifestare tanta ingenuità e tante debolezze.... Probabilmente l'illusione razionale che mi porto dietro sin dai tempi del liceo ha resistito bene a tutta la psicologia che ho studiato e praticato; ha esorcizzato tutte le diavolerie regressive di cui parla la psicologia sociale o clinica: conformità, imitazione, suggestione, identificazione, plagio e via dicendo.… Così io continuo a pensare che millenni di storia, di filosofia, di cultura non siano passati invano e che l'umanità debba pure decidersi a mostrare che ha imparato a riconoscere quei meccanismi che ha visto tante volte rappresentati in tragedie o commedie.… (25).

Altri segni li intravediamo anche nella politica, dove si manifestano con una critica alla democrazia. La storia dei giorni presenti dimostra che il muro di Berlino ebbe due funzioni, altrettanto importanti. La prima di nascondere all’uomo libero il fallimento di una filosofia, di una visione del mondo e il sangue, tanto sangue, e tanta violenza. La seconda di cristallizzare per alcuni decenni l'ordine mondiale su un equilibrio militare ed una cultura politica bloccata sul mito della democrazia parlamentare, che manteneva il suo valore non per un suo intrinseco valore ma per il sostegno che gli forniva la memoria del sangue della seconda guerra mondiale con l’olocausto hitleriano e la miseria materiale, culturale, politica ed istituzionale che specularmene e contestualmente i paesi comunisti di oltre cortina testimoniavano in diretta tutti i giorni. Il crollo del muro di Berlino non rendeva visibili soltanto tutte le vergogne che aveva inutilmente cercato di nascondere, con il conseguente crollo delle tragiche ultime illusioni di chi aveva tramandato la speranza ingannevole di un possibile "paradiso dei lavoratori", ma anche la rimessa in discussione del sistema democratico che aveva vissuto di rendita. Tale processo, che ha tutte le caratteristiche dei mutamenti epocali, sta percorrendo i consueti itinerari della storia, con alcune avanguardie culturali che fanno da battistrada utilizzando argomentazioni che al momento sono solo timide incursioni in un campo che però preannuncia ampi spazi di libertà di analisi perché si coglie la sensazione di vistosi cedimenti nel mito della democrazia quale sistema unico di governo. La democrazia è ormai oggetto di critiche da ogni direzione. In Italia ne hanno scritto, in modo piuttosto severo e da sponde opposte, un cattolico liberalconservatore come Domenico Fisichella e un marxista leninista come Luciano Canfora, entrambi autorevoli studiosi. Ma l'attenzione è da rivolgere soprattutto all'ultimo libro del sociologo Sabino Acquaviva il quale, fra l'altro, sostiene che "l'involucro vuoto della democrazia continua e continuerà ad esistere. La democrazia muore ma gli individui restano liberi perché muore la libertà come fatto sociale ma non come evento individuale" (26).

Le analisi continuano a soffrire di pigrizie mentali e culturali. Ci sono, per esempio, anche quelli che, in maniera semplicistica, truffaldina, stucchevole e compassionevole inseriscono nel grandissimo calderone del ben demonizzato fascismo ogni cambiamento che non sia in linea con i loro orientamenti ideologici, impedendo di fatto ogni analisi disincantata (27).

 

6.  La postdemocrazia: l’ennesimo imbroglio

Ma se ormai questi sono giudizi e analisi scontati, logica conseguenza di una ideologia malata e schizofrenica, l’altro fronte ci sembra veramente inquietante. Il capofila di questo schieramento è Colin Crouch (28) che riesce a conciliare tutto con un’operazione "culturale". Egli conia il termine "postdemocrazia" per indicare i caratteri dell’epoca moderna (29). Questo saggio ha degli obiettivi "occulti", visto che siamo in tema, perché da un lato, per apparire credibile, cavalca il tema generale della messa in discussione del mito della democrazia con un’opera di efficacissima sistematizzazione degli elementi che indicano il grado di logoramento del sistema e che sono oggetto di accesissime polemiche nei dibattiti politici e culturali. Dall’altro lato persegue lo scopo nascosto di dare un corpus culturale o comunque giustificativo ad un sistema che critica solo apparentemente. Il teorema del Crouch è molto semplice e (come tutte le trovate diaboliche) geniale. Stabilisce il principio che un sistema in cui si svolgono le elezioni non può essere definito un sistema dittatoriale anche se:

 

Per tutto questo, il Crouch conia il neologismo "postdemocrazia", nonostante esista già il termine "totalitarismo" per definire la realtà da lui minuziosamente descritta. Non potendo invocare, tra l’altro, alcuna attenuante né in ordine alla possibilità che il sistema rinsavisca né che all’ordinamento sostanzialmente totalitario del sistema corrisponda un benessere materiale delle Comunità. Infatti anche le conseguenze pratiche dell'attuale sistema di potere sono la distruzione dello stato sociale il quale viene sostituito solo da aiuti per i bisogni estremi e con un divario tra ricchi e poveri che nessuna epoca nella storia dell’uomo ha mai registrato.

La postdemocrazia del Crouch è qualcosa di indefinibile, è un barcamenarsi tra il non volersi identificare con la grande idiozia del "ritorno al fascismo" - che solo alcuni residuati vetero-comunisti possono ancora sostenere (pensate: Berlusconi come Mussolini!) - e la incapacità di prendere atto che quanto si sta realizzando è la vera democrazia, quella più matura, perché tale è divenuta per sua naturale ed intrinseca natura e non per colpa di altri. Egli non ha il coraggio di definirla un nuovo tipo di totalitarismo e viene utilizzato un termine tipo "quasi gol" cioè "quasi democrazia".

Dobbiamo dare atto che nella sua analisi il Crouch non fa alcuno sconto quando descrive i mali della democrazia attuale. L’analisi è puntigliosa e molto articolata, ma mostra segni di parzialità o di secondi fini nella parte finale, là dove indica i modi in cui è possibile rallentare, se non proprio fermare, lo slittamento verso la postdemocrazia. Tali conclusioni provocano nel lettore una vera e propria delusione perché, rispetto alle analisi certamente di alto valore speculativo, sono di una banalità così alta da trascinare in un giudizio negativo complessivo l’intera opera, fino a far nascere il legittimo sospetto che lo scopo vero della pubblicazione sia un altro. Le grandissime banalità sono queste:

1). Limitare il potere delle grandi aziende multinazionali diminuendo la loro influenza sulle procedure democratiche degli Stati. Questa azione dovrebbero realizzarla proprio quelle lobby economiche che hanno il potere di decidere senza curarsi minimamente dei cittadini che non hanno alcun potere effettivo. Lo afferma esplicitamente nella prima parte della sua analisi.

2). I cittadini facciano pressione sui partiti dall’esterno, in modo che questi non divengano interlocutori esclusivi delle lobby economiche, ma debbano restare in qualche misura ancorati alla rappresentanza della società civile.I cittadini, pertanto, dovrebbero premere su partiti che sono gestiti da un’elitè "chiusa e lontana dalla base".

3). Decentramento amministrativo, il quale implica una maggiore vicinanza del potere politico ai cittadini e, di conseguenza, una maggiore permeabilità alle loro istanze. Azione che dovrebbe realizzare sempre quel sistema che detiene il potere il quale più decentra le istituzioni più accentra il sistema di scelta degli amministratori, realizzando dentro il partito una sorta di gerarchia assoluta che ha il potere di scegliere come candidati i ministri e gli assessori che dovrebbero obbedire ad una logica generale.

Significherà qualcosa il fatto che un piccolo saggio sviluppato in maniera così schizofrenica tra analisi e proposte, il quale verrebbe sicuramente bocciato all'esame di stato di qualunque liceo, invece finisce con il "fare scuola"? Ma il Crouch non finisce di stupire e non sembrandogli sufficienti le proprie proposte banali suggerisce anche quelle bizzarre di altri, in particolare quelle di Philippe Schmitter che al posto del finanziamento pubblico dei partiti propone che ogni cittadino assegni ogni anno al proprio partito una piccola somma fissa e l’istituzione di un’assemblea di cittadini scelti a caso che, in carica per un mese, possano rivedere un piccolo numero di disegni di legge proposti da una minoranza di membri del Parlamento (1/3) con il diritto di approvarli o respingerli.

Abbiamo fatto riferimento a questo saggio di Crouch perché riteniamo che esso sia emblematico di come il sistema, quando la propria azione devastatrice provoca una qualche reazione che lo mette in discussione, si cauteli inviando tra le avanguardie culturali uomini del proprio mondo per orientare da subito le nuove teorie. Crouch è uno di questi (30). Tutte le proposte del Crouch, quando non sono banali, sono ingenue perché la loro realizzazione viene affidata a quel potere che nella prima parte egli stesso ha definito, nei fatti, onnipotente. Avrebbe fatto meglio a spiegarci perché questo potere dovrebbe autolimitare la sua potenza il cui sviluppo, invece, obbedisce alla tendenza studiata dalla sociologia dell’uomo e dei gruppi dominanti.

Le elezioni non possono essere considerate la cartina di tornasole della democrazia. Essa, invece, può essere misurata soltanto analizzando in che modo viene costruito il consenso, vale a dire come si articola e si struttura la decisione individuale, e se essa è davvero libera e criticamente sorvegliata. Una democrazia di cittadini condizionati non è una democrazia. È veramente ridicolo che, proprio mentre i risultati politici e sociali descritti da Crouch dimostrano che le elezioni sono divenute semplici "ludi cartacei" (come li definiva un noto dittatore), lo stesso Crouch affidi a questi "ludi" il compito di rappresentare l'ultimo residuo di democrazia del sistema.

7.  Conclusioni con una nota pessimistica finale

Volendo trarre delle conclusioni operative, pensiamo che esse debbano scaturire dalla constatazione del come - a fronte di mezzi, strumenti e tecniche di manipolazione psicologica delle masse chiaramente codificati ed applicati sia nella politica sia nel commerciale - non esista un’adeguata definizione di tale tipo di propaganda. Noi riteniamo, infatti, che esiste un problema di definizione di questo tipo di propaganda che ottiene, in maniera non occulta, risultati da persuasione occulta. Una propaganda che è talmente strombazzata come libertà da finire per aggirare sistematicamente la consapevolezza e l’attiva partecipazione del destinatario del messaggio. Una propaganda che usa sistematicamente l'applicazione scientifica di quelle tecniche manipolative che sfruttano le caratteristiche negative della folla che sono state studiate e messe in evidenza dalle scuole di psicologia applicata. Una propaganda che potremmo definire "Pavloviana" (31) dal nome del notissimo premio Nobel russo.

L’operazione, per esempio, di indicare il prezzo di un prodotto con 99,99 euro anziché 100 non può definirsi propriamente propaganda "occulta", ma è evidente che, se i pubblicitari ricorrono a tale tecnica, vuol dire che essa dà un risultato utile, quindi è legittimo sospettare che l’inganno ci sia anche se il prezzo di 99,99 euro è palese. Invitare a votare il referendum sulla procreazione assistita esibendo il volto della Ferilli è una tecnica subdola, proprio quanto manifesta è la incapacità che ha il volto della Ferilli di informare sul contenuto dei referendum. Il problema da risolvere, quindi, è trovare una definizione che susciti gli stessi timori che è capace di suscitare il termine "persuasione occulta" e di creare, poi, una scuola di pensiero attorno a questa definizione.

La letteratura cui abbiamo fatto riferimento - in particolare quella che ha prodotto Chomsky e che abbiamo riportato nel capitolo "La propaganda politica è il "manganello" utilizzato con altri mezzi" - nel suo insieme disegna un progetto chiaro ed inequivocabile che a nostro avviso possiede una componente sotterranea proprio per la sua ostentata pubblicità. Un progetto che consente ad un Costanzo di dileggiare "impudicamente" il culto del capo riferendosi a Mussolini e poi permettere al visitatore del suo sito di cliccare la sua immagine per avere il privilegio di ricevere la sua foto firmata.

La letteratura in argomento, inoltre, costituisce il fondamento della visione complottistica della storia che non riesce a liberarsi dalla paranoia di fantasiosi gruppi radicali ed antagonisti, di destra e di sinistra, che vedendo dappertutto ebrei, massoni, comunisti e fascisti (a seconda del soggetto) rendono vano qualsiasi tentativo di alimentare un progetto cognitivo responsabile e documentato, capace di dare vita ad una visione antagonista seria. Ma è qui che occorre agire, secondo noi. Così come esiste un’autorità che tutela il "libero mercato" impedendo il declino della concorrenza e un'autorità che ci protegge dalla violazione della privacy, dovrebbe essercene un'altra che vigili sull’applicazione truffaldina di quelle tecniche psichiatriche che possono servire per guarire un malato, ma anche per rovinare una persona sana di mete. Sappiamo quanto sia difficile un simile progetto proprio perché abbiamo acquisito la consapevolezza della onnipotenza del potere che certamente si opporrà a qualsiasi reazione. Sappiamo pure, perché la storia ce lo insegna, che anche tempi più tenebrosi di quelli presenti hanno trovato adeguate reazioni. Ma questo potrà essere l’oggetto di un seminario.

Abbiamo la consapevolezza che quanto abbiamo scritto può provocare forme di rassegnazione e di inerzia. Ancor più se pensiamo che nel nostro libero computer possono arrivare sullo schermo, attraverso la porta seriale e come un tam tam lanciato duemilaquattrocento anni fa, le parole di Trasimaco: "Non poté più reggere, e ravvoltosi in se stesso come una fiera, si slanciò su di noi come per sbranarci. Io e Polemarco dalla paura restammo agghiacciati; ed egli nel mezzo urlando: 'Che sciocchezze andate dicendo da un pezzo, o Socrate?' gridò. Affermo dunque essere il giusto non altro che l’utile del piú forte" (32).

 

Note

(1) Canetti, Elias., Massa e potere, Adelphi, Milano, 1981 L`intenzione di Canetti è di trattare la massa come fenomeno a sé, regolato da leggi proprie e diverse da quelle che regolano il singolo individuo e di effettuare una precisa analisi di molte forme del potere. Per ribadire le sue osservazioni Canetti si serve di una immensa mole di materiali di natura etnologica e antropologica oscillando fra le più disparate scienze e discipline, dalla filosofia alla sociologia, dalla religione alla mitologia,…dando così vita a pagine assolutamente suggestive e originali.

Il concetto di "elite" secondo Pareto si è dimostrato di grande efficacia nonostante gli attacchi e le detrazioni che nel corso del tempo l’autore ha dovuto subire.

Antecedenti del Canetti sono gli studi di Pareto il quale sostenne, influenzato da Mosca e Weber, che ogni società si regge sempre sull’equilibrio di due strati sociali, quello inferiore della classe non eletta e quello superiore della classe eletta, dell’élite, di cui la più importante, dice Pareto, è quella di governo, l’élite politica è questa idea di equilibrio l’idea di fondo del pensiero di Pareto. La storia è una perenne lotta fra élite che aspirano al potere per soddisfare le proprie passioni e i propri interessi e l’equilibrio di una società si mantiene solo grazie al ricambio e alla continua circolazione di queste élite. Gli scopi oggettivi che gli uomini realmente perseguono nella storia sono sempre gli stessi: la ricchezza, il potere, le eterne passioni umane mosse dalla forza degli istinti. C’è nella storia una parte variabile e più visibile – le teorie, le ideologie e c’è una parte più nascosta, ma costante – le passioni, gli istinti, i "residui "– ciò che rimane una volta tolto il velo alle ideologie, alle "derivazioni". ". ( G. Mosca, Elementi di scienza politica, Laterza, 1953 prima edizione 1896). Prima di Pareto Machiavelli introdusse il principio che è solo la forza ad assicurare la funzionalità dello stato e cercò realisticamente di distinguere i vari tipi di stato, proprio sulla base dei diversi modi in cui la forza viene esercitata.

(2) Piattelli Palmarini, Massimo, L'arte di persuadere, come impararla, come esercitarla, come difendersene, Mondadori, Milano, 1996

(3) Gustave le Bon, Psicologia delle folle, un classico che per la prima volta venne pubblicato nel 1895

(4) Hitler in un discorso di 40 minuti ha ripetuto 26 volte, la stessa frase semplice; che strappava gli appalusi, eccitava gli animi e proiettava su di lui i propri latenti desideri. La frase, anzi la parola era sempre: il "Popolo" vuole, il "Popolo mi ama", Il "Popolo brama", il "Popolo aspetta", il "Popolo è impaziente", il "Popolo pretende", il "Popolo desidera", il "Popolo è pronto", il "Popolo lotterà fino alla morte".

(5) Cromsky Noam. È la persona vivente che può vantare il più elevato numero di citazioni nelle pubblicazioni di tutto il mondo. Ha scritto più di settanta libri e oltre un migliaio di articoli, spaziando dalla linguistica alla filosofia, dalla politica alla scienza cognitiva alla psicologia. È stato nominato professore associato al Massachusset Institute of Technology all’età di 29 anni ed ordinario a 32. Ha rivoluzionato la linguistica. Ha mantenuto per tutta la vita posizioni politiche "radicali", e ciò ha portato moltissima gente, negli Stati Uniti e all’estero, a considerarlo, a seconda dei casi, un punto di riferimento o un traditore, un persona comunque della quale discutere, anche accanitamente.

(6) Autori di riferimento di Cromsky Noam

Walter Lippmann, L'opinione pubblica, Prefazione di Nicola Tranfaglia, traduzione di Cesare Mannucci, pp. 420, Donzelli Editore srl (1889 – 1974) decano dei giornalisti e scrittore statunitense grande critico della politica interna ed estera del paese)

Reinhold Niebuhr autorevole teologo ed esperto di politica estera, guru di George Kennan (1904 – 2005), inventore della "guerra fredda".

Edward L. Bernays, il Padre della persuasione. nel suo trattato "Propaganda", prese le idee di suo zio Sigmund Freud e le applicò alla scienza emergente della persuasione di massa. Invece di usarle, come Freud, per scoprire i temi nascosti dell' umana coscienza, Bernays usò le stesse idee per mascherare i piani elaborati per creare illusioni ingannevoli e distorte per ragioni di marketing. Nel 1919 aveva aperto un ufficio a New York.Durante la I Guerra mondiale aveva fatto parte dell'U.S. Committee on Public Information (CPI), l'apparato propagandistico americano creato nel 1917 per pubblicizzare la guerra come atto che avrebbe "salvato il mondo e la democrazia".

Harold D. Lasswell (1902-1978), politologo americano, è stato uno dei primi studiosi di questioni istituzionali e politiche ad interrogarsi in modo sistematico sul ruolo dei mezzi di comunicazione di massa. In particolare, Lasswell ha analizzato le strategie di propaganda, ritenendo che il linguaggio della politica fosse un indice diretto delle dinamiche di potere. La sua ricerca appartiene quindi ad un'epoca di studi sui media molto condizionata (a partire dagli anni trenta) dall'utilizzo che dei media (e soprattutto della radio) veniva fatto da parte degli apparati politici e militari.

Edward Herman, professore emerito della Wharton School, della University of Pennsylvania, è co-autore insieme a Noam Chomsky del testo di riferimento "La fabbrica del consenso". È inoltre autore di numerosi altri libri, inclusi: "The Real Terror Network", "The Washington Connection and Third World Fascism" e "Corporate Control, Corporate Power". Amy Goodman, presentatrice del programma radiofonico Democracy Now, lo ha definito come "uno dei più importanti intellettuali della nazione".

Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki, "The Crisis of Democracy: Report on the Governability of Democracies to the Trilateral Commission", New York University Press, 1975 studio realizzato per la Trilaterale lo studio. In tale studio si sosteneva che il matenimento delle democrazie rappresentative e delle istituzioni a base popolare non è più facile garantirlo in un’epoca in cui l’imposizione di misure di austerità "richiede" regimi post-democratici e non-democratici.

(7) Arundhati Roy, The loneliness of Noam Chomsky, 1 settembre 2003 in http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=11&ItemID=4116, La solitudine di Noam Chomsky traduzione di Giancarlo Giovine

(8) (Chomsky Noam, Linguaggio collaterale intervista di David Barsamian, 25 luglio 2003 in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-collaterallanguage.htm)

(9) Noam Chomsky, Atti di aggressione e di controllo, Marco Tropea Editore

(10) Noam Chomsky, Linguaggio collaterale. intervista di David Barsamian, 25 luglio 2003 in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-collaterallanguage.htm

(11) Noam Chomsky, Atti di aggressione e di controllo, Marco Tropea Editore

(12) Noam Chomsky, Linguaggio collaterale. intervista di David Barsamian, 25 luglio 2003 in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-collaterallanguage.htm

(13) Noam Chomsky, Atti di aggressione e di controllo, Marco Tropea Editore

(14) Noam Chomsky, Linguaggio collaterale. intervista di David Barsamian, 25 luglio 2003 in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-collaterallanguage.htm

(15) Noam Chomsky, Il potere dei media, Vallecchi

(16) Noam Chomsky, Linguaggio collaterale. intervista di David Barsamian, 25 luglio 2003 in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-collaterallanguage.htm

(17) Chomsky: Una conversazione con Noam Chomsky (29/01/2004). http://www.zmag.org/Italy/ramella-intervistachomsky.htm

(18) Noam Chomsky, Il potere dei media, Vallecchi

(19) Noam Chomsky, Atti di aggressione e di controllo, Marco Tropea Editore

(20) Noam Chomsky, Linguaggio collaterale. intervista di David Barsamian, 25 luglio 2003 in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-collaterallanguage.htm

(21) Noam Chomsky, Atti di aggressione e di controllo, Marco Tropea Editore

(22) Edward L. Bernays, Crystallizing public opinion, Boni & Liveright, New York 1923; Propaganda, Boni & Liveright, New York 1928: due libri che Goebbels (Ministro di Hitler, teneva sul comodino

(23) "politically correct" e "political correctness" definiscono idee, atteggiamenti, approcci culturali conformi a una "ortodossia progressista", radical o liberal che senza distinzioni troppo sofisticate sarebbero promossi dalla egemonia della sinistra nelle istituzioni, nelle scuole, nelle università, nei mass media..

(24) Franco Cardini, Democrazia e postdemocrazia, in "Rocca", 15 novembre 2002]

(25) Robert B. Cialdini Le Armi della Persuasione, Giunti - Saggi, 1999. pp. 228

(26) Fisichella D., Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, Carocci editore 2002; Canfora L., Critica della retorica democratica, Laterza, Bari 2002; Acquaviva S., La democrazia impossibile Monocrazia e globalizzazione nella società, Marsilio editore, 2002]

(27) Ci sembra davvero singolare definire fascista questa attuale e radicalmente nuova evoluzione dei sistemi politici democratici, quando essa è decisamente avversata da ogni organizzazione parlamentare ed extraparlamentare, centri culturali, riviste periodici, avanguardie culturali della destra radicale e quant’altri si definiscono, o sono definiti, custodi intransigenti dei principi della dottrina fascista: praticamente il sistema diviene sempre più fascista ed i suoi custodi più fedeli non se ne stanno accorgendo.

(28) Crouch Colin è direttore dell’Institute of Governance and Public Management all’University of Warwick Business School in Gran Bretagna, dopo aver insegnato al Department of Political and Social Sciences dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze e al Trinity College dell’Università di Oxford. Dirige la rivista "The Political Quarterly". In lingua inglese ha pubblicato testi di sociologia europea comparata e di relazioni industriali e, in italiano, Relazioni industriali nella storia politica europea (Roma 1996) e Sociologia dell’Europa occidentale (Bologna 2001).

(29) Crouch Colin, Postdemocrazia, Laterza, 2003

(30) Queste nostre considerazioni non possono essere definite velleitarie ed irriverenti, almeno dall’ottica del Crouch, perché se egli riconosce l’autorità di sindacare gli atti del Parlamento a gente scelta per caso, non avrà nulla da ridire a che uno sconosciuto, che si è autoscelto per caso, a sindacare le sue proposte.

(31) Ivan Petrovich, premio del Nobel per la medicina del 1904 ipotizza che il comportamento umano si basa anche su una serie infinita ed estremamente complessa di "riflessi condizionati" cui viene sottoposto, così come aveva sperimentato con successo sui i cani.

(32) Frr. 85 A 10 DK (Platone, Repubblica, I, 336 b, 338 c) e 85 B 8 DK (Hermias Alexandrinus, In Platonis Phaedrum, ed. Couvrer, pag. 239, 21) Trasimaco nacque a Calcedone in Bitinia, una colonia di Megara e fu attivo soprattutto negli ultimi tre decenni del secolo V. La data di nascita potrebbe collocarsi intorno al 450, 460 a.C. Trasimaco è presentato come persona irruente, irriverente, antipatica, che nemmeno ama perdersi in chiacchiere. Dopo un primo passaggio, attacca frontalmente Socrate, sfidandolo a dire qualcosa di concreto anzichè perdersi in lunghi giri di parole sulla giustizia.

 

8.  Bibliografia

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