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Più tagli per la scuola


Il 10 ottabre 2009 Giordano Bruno Guerri ha pubblicato nel suo blog un articolo con lo stesso titolo. Avrei voluto riportarlo qui ma, non sapendo se la legge sul copyright me lo consente, mi limito a riportare soltanto il mio commento e quello di alcuni altri lettori. La formattazione del testo è mia. Potete trovare l'articolo di Guerri a questo indirizzo:  

http://www.giordanobrunoguerri.it/gbgblog/default.htm


 

"È paradossale che protestino proprio studenti che - in gran parte - sognano di studiare all’estero, magari in una delle università inglesi o americane in testa alla classifica del Times: università che, non a caso, sono tutte fondate sul mercato".

E, non a caso, non sono dello stato.

10 Ottobre 2009 


 

Condivido pienamente quanto sopra esposto. Come ex insegnante, vorrei anch’io esporre alcune mie considerazioni sul penoso stato del nostro sistema formativo. Quasi presagendolo, esattamente vent’anni fa, pubblicai su “Prospettive settanta” un articolo intitolato “La lunga agonia della scuola italiana”. Col mio scritto criticavo quelli che la pedagogia di allora spacciava come nuovi contenuti, nuove metodologie e nuova didattica delle materie letterarie. In realtà, di nuova c’era solo un’ottusa ideologia che buttava al macero l’insegnamento logico-consequenziale di nozioni fondamentali e basilari, e lo sostituiva coi cosiddetti “centri di interesse”… Degli insegnanti ovviamente, non degli allievi! A ciò si era giunti travisando le giuste aspirazioni dei giovani usciti dal ’68, che auspicavano il rinnovamento dei programmi didattici, anche alleggerendo il loro peso nozionistico. Non chiedevano affatto lo scardinamento della concatenazione delle nozioni fondamentali, finalizzate alla comprensione del presente e delle sue radici. Nel caos delle idee e delle disposizioni ministeriali che seguirono la contestazione, la maggior parte degli insegnanti, più o meno in buonafede, interpretò il bisogno del nuovo dei giovani, liberandoli non tanto dal nozionismo del programma ministeriale, ma dalla sua organicità e dalla sua completezza, specie nelle sue parti conclusive e finali. Da allora, gli studenti di scuola secondaria sarebbero stati costretti a sottili e noiose esegesi di testi poetici, o a pesanti approfondimenti di parti di un tutto storico o letterario sconosciuto. Per ironia della sorte, aumentava così il nozionismo, che coinvolgeva nella sua repulsione anche le necessarie nozioni, percepite dallo studente come inutili, perché sganciate da un “prima” e da un “dopo”.

Era naturale quindi che, se gli insegnanti elementari e medi avessero rubato metodi e contenuti ai docenti universitari, a questi ultimi sarebbero rimasti i contenuti e i metodi dei maestri elementari. Ed è proprio quello che sta succedendo. Se, infatti, molte università hanno deciso di attivare dei corsi di “alfabetizzazione”o di “recupero” per le matricole, vuol dire che sanno di aver a che fare con studenti semianalfabeti o comunque privi di nozioni basilari.

La diversa denominazione dei corsi non attenua la gravità di quanto sta sotto gli occhi di tutti, da più di vent’anni; e cioè che almeno la metà dei diplomati non sa scrivere. Di chi la colpa? Non certo degli studenti: non è neppur pensabile che il 50% di loro sia costituito da ipodotati o fannulloni. Non c’entrano neppure le strutture inadeguate o le mancanze di fondi: per imparare a scrivere, allo studente può bastare anche una tenda sopra il capo, ovviamente riscaldata d’inverno. Gli è, invece, assolutamente necessario un bravo docente, uno di quelli che popolavano le nostre scuole, prima del ‘68. Certamente quegli insegnanti faticavano meno dei docenti d’oggi, liberi com’erano da fotocopie e da mille altre incombenze metodologiche, inventate dalla pedagogia sessantottarda, per eludere il vero problema: quello degli elaborati scritti.

Prima delle riforme che hanno distrutto il sistema formativo italiano, il docente di lettere di scuola secondaria era tenuto ad assegnare ai suoi alunni un tema da svolgere, almeno ogni venti giorni. La correzione di ogni singolo elaborato veniva riproposta, in modo anonimo, all’intera classe perché ogni studente, assistendo alla correzione degli errori grammaticali altrui, in futuro, li potesse evitare. Dopo ripetute visualizzazioni di grammatica applicata e di errori da evitare, tutti gli allievi della classe imparavano a scrivere…. e a pensare!

Oggi, invece, i ragazzi vanno a scuola ingobbiti da tonnellate di libri di cui, per mancanza di tempo, possono leggere solo qualche paginetta qua e là. È naturale quindi che, quando scrivono, producano solo improbabili minestroni futuristici… Ovviamente se hanno la ventura di imbattersi nell’insegnante d’italiano coscienzioso, che assegna loro qualche tema da svolgere!… Parlando con alcuni diplomati, non ho faticato a trovare chi, in cinque anni, non si è mai cimentato in compiti scritti. Ma quelli che beneficiano della correzione di un compito non sono più fortunati. Una buona fetta di loro non si vede valutata per quello che scrive e per come scrive, ma sulla base della propria vicinanza ideologica al professore, così come appare dai suoi elaborati. Ecco spiegata l’estrema soggettività dei voti e dei giudizi, spesso addirittura opposti, con cui molti allievi si vedono giudicati nella stessa disciplina, ma da insegnanti diversi.

E questo perché oggi, negli elaborati non si controlla quel che andrebbe controllato; e cioè la correttezza formale del compito e la sua LOGICA INTERNA.

Si ficca il naso, invece, nelle convinzioni morali e politiche dello studente che, per evitare un voto negativo, è costretto a far violenza a se stesso, scrivendo quello che non condivide e non pensa.

Fortunatamente una considerevole minoranza di insegnanti non è stata contaminata dal fall-out sessantottesco. Conosco anche gli allievi di alcuni di questi docenti: sono autonomi, preparati, pieni di interessi; soprattutto sanno scrivere bene. Non è possibile che i loro insegnanti, sempre loro e solo loro, abbiano la fortuna di capitare nelle classi dei normodotati e dei volenterosi! Quando si visitano i vari blog presenti in rete, non è difficile imbattersi in sedicenti insegnanti che, dei vari segni di interpunzione, al massimo conoscono la virgola. Da sola, assolve anche la funzione del punto fermo, dopo del quale, pochi mettono la maiuscola. Ciò premesso, non è difficile immaginare come scriveranno i loro allievi.

Questi insegnanti sono comunque da capire! A loro volta, sono “figli” dei docenti descritti sopra, che, come tutti sanno, erano superimpegnati ad inseguire i fumi delle ideologie. È naturale, quindi, che in classe non trovassero il tempo per insegnare ai propri alunni che la punteggiatura ha funzione sociale, perché, se non la si usa correttamente quando si scrive, è difficile comunicare agli altri il proprio pensiero, in modo chiaro ed immediato.

A questo punto, risulta evidente che è inutile continuare a fare la toeletta al morto, riformando e controriformando di continuo l’esame di maturità. È una prova che va abolita perché inutile, costosa e superata. Il filosofo Gentile, che l’ha “inventata”, non era così sprovveduto da non capire che uno scrutinio che tenga conto dell’intero percorso formativo dell’allievo, valuta più oggettivamente di un esame. Se si vanno a leggere le motivazioni che l’avevano indotto ad istituire gli esami di maturità e di abilitazione, si scoprirà che, con tale prova, intendeva sottoporre a controllo soprattutto l’operato degli insegnanti. Questi erano costretti a rendere conto ad una commissione esterna di aver svolto tutto il programma didattico, stabilito dall’alto fin nei dettagli, e comunque uniforme per tutto il territorio nazionale. Si trattava di un programma identificabile in nozioni fondamentali e in competenze ben precisate, quindi riconoscibili dai docenti e soprattutto dagli allievi. Questi affrontavano l’esame con apprensione, certo, ma non con lo stress che logora i loro colleghi di oggi, forniti di contenuti culturali frammentari, episodici e differenziati, anche in relazione alla libertà didattica e alla diversificazione dei percorsi formativi attuata in ogni istituto.

Oggi l’esame di maturità si è ridotto ad un’inutile tortura che non verifica un bel nulla. Del resto, si tratta di un controllo che avrebbe un senso se la terza prova scritta fosse predisposta dal Ministero e non dagli insegnanti dei singoli istituti, che giudicano se stessi sugli spezzoni inconclusi e inconcludenti del programma ministeriale da essi svolto. Senza un ripensamento sulla terza prova scritta, appare logico ascoltare il saggio ed illuminato consiglio del prof Panebianco, che propone di sostituire gli esami di maturità con prove di competenza oggettive, gestite dall’università stessa, per chi è intenzionato a frequentarla. In questo modo, i docenti delle superiori sarebbero impegnati a fornire ai loro allievi un minimo di nozioni e di competenze, universalmente riconosciute come necessarie, per proseguire gli studi. Non facendolo, saprebbero, per tempo, che potrebbero incorrere nel disprezzo e nelle critiche dei colleghi dell’università, ma anche nelle ire degli studenti che, a causa loro, si vedrebbero costretti a modificare obiettivi e percorsi di vita. In fondo, l’esame di ammissione alla vecchia media del latino, aveva lo stesso fine dell’esame di maturità; e cioè quello di indurre ad un maggior profitto gli allievi intenzionati a frequentarla, ma anche quello di impegnare il maestro di quinta elementare a fornire loro le nozioni e le competenze basilari, per affrontare i programmi di quel particolare tipo di scuola.

Con queste considerazioni, spero di aver dato anch’io un piccolo contributo alla conoscenza dei mali della scuola italiana e al ripristino della sua serietà. Allo scopo, non rimane che la scelta fra le due sole alternative rimaste. La prima riguarda la terza prova scritta dell’esame di maturità, che dovrebbe essere unica e uguale per tutte le scuole dello stesso ordine. A questo fine, la prova dovrebbe essere predisposta dall’alto e, per quanto riguarda la storia e la letteratura, dovrebbe prevedere quesiti relativi alla parte finale del programma ministeriale. In questo modo, gli studenti eviterebbero le frustrazioni a cui spesso vanno incontro, a causa delle gravi lacune accumulate lungo un percorso didattico frammentario ed episodico che, quasi mai, arriva a concludere il programma citato. La terza prova scritta centralizzata finirebbe anche per assolvere la funzione di controllo oggettivo sull’operato degli insegnanti, proprio come voleva Gentile con i suoi esami di maturità. In alternativa a quanto sopra proposto, rimane solo l’abolizione dell’attuale esame di maturità. La valutazione scolastica degli studenti che terminano le superiori andrebbe affidata ad uno scrutinio che tenga conto del loro impegno, durante tutto il corso di studi. All’università, invece, andrebbe lasciato il compito di selezionare e graduare chi desidera frequentarla.

Giordano Pieretti

11 Ottobre 2009 


 

Interessantissima l’analisi del Sig. Pieretti.

Oltre alle considerazioni tecniche sul tipo di esami, di cui non posso apprezzare la portata, mi piacerebbe avere un suo giudizio sulla opportunità di far cessare il monopolio statale sull’istruzione obbligatoria.

12 Ottobre 2009


 

Per il Sig. Liuprando.
Anzitutto La ringrazio per il suo benevolo commento.
Per quanto riguarda la scuola privata, Le dico subito che io, da sempre, la ritengo necessaria e in proficua competizione con la scuola pubblica di ogni ordine e grado. Molti dei problemi a cui sopra ho fatto cenno, potrebbero trovare soluzione se gli insegnanti pubblici e privati fossero costretti, di anno in anno, a procurarsi gli allievi con il loro impegno didattico. Il finanziamento statale alla scuola pubblica andrebbe ridotto notevolmente. A compensarlo interverrebbe l’assegno di studio fornito ad ogni allievo dal Ministero dell’Istruzione. Ogni singolo studente sarebbe libero di spendere tale assegno nella scuola che , assieme ai suoi genitori, ritenesse più seria. In questo modo, i numerosissimi docenti che, oggi, non arrivano mai a concludere il programma ministeriale, smetterebbero di riservare una parte considerevole del loro tempo all’indottrinamento politico unidirezionale. Insegnerebbero piuttosto i meccanismi della politica; soprattutto concluderebbero il programma di storia, privilegiandone il dopoguerra. Un corso di storia, pure approfondito, ma mancante della sua parte conclusiva, è paragonabile ad un immenso palazzo senza il tetto: vi piove dentro. I nostri studenti sono uomini prima che tecnici, e soffrono per quelle lacune che li rendono incapaci di interpretare, in modo autonomo, la realtà in mezzo alla quale vivono.

12 Ottobre 2009


 

ben venuto, giordano

12 Ottobre 2009


 

Trovo ottima l’idea di un “assegno di studio”. Da meritarsi. Il più ricco vada allo studente più capace.
Le Regioni potrebbero dare in affitto gli edifici scolastici a cooperative o a società di docenti che propongano metodi di studio in competizione con gli altri istituti.

13 Ottobre 2009


 

Grazie, Giordano Bruno, per il ben venuto. Congratulazioni per il blog e per i Suoi articoli, che condivido da sempre.

13 Ottobre 2009


 

Caro GB

Mi astengo dal commentare il tuo incipit: “Protestare, quando si è studenti, è bello, opportuno e persino doveroso”, dal quale dissento profondamente. Penso che, quando si è studenti, “è bello, opportuno e persino doveroso” studiare. E, dopo aver studiato, e magari con qualche esperienza di lavoro e di mondo alle spalle, forse si acquisisce la taglia intellettuale per giudicare in proprio il mondo in cui si vive e…sì, a questo punto, può diventare bello, opportuno e perfino doveroso pretendere di cambiarlo…con idee proprie e non prese a prestito da altri, come si fa, invece, a 18 o 22 anni. Specialmente oggi, con i giovani così omologati, omogeneizzati, ignoranti, maleducati e arroganti.

Vorrei invece dire la mia sul lungo intervento del Prof. Giordano Peretti. Sorvolo sul fatto che si limita a considerare l’italiano e le materie letterarie in genere. Il cultural gap, per dirla in inglese, del nostro paese, rispetto gli altri, è soprattutto nella cultura scientifica. Non in quella umanistica.

Ma l’analisi complessiva del Prof. Giordano, e le proposte fatte, hanno un difetto fondamentale. Si propongono nuovi metodi di verifica dell’efficacia dell’insegnamento. Il problema è metodologico, e sta proprio qui. Se trovi che l’insegnamento è inefficace, lo scopri a danno fatto, perché la verifica la piazzi a fine corso.

“All’università, invece, andrebbe lasciato il compito di selezionare e graduare chi desidera frequentarla”. Cosa può selezionare e graduare l’Università, se chi viene fuori dalle secondarie è un analfabeta?

Certo, si può sempre rimediare. Ma il sistema ha una sua inerzia: e chi ha subito il danno, purtroppo, se lo deve tenere.

Quindi il problema vero è quello che qualsiasi azienda high tech, e non, affronta quotidianamente: how to check now what we are doing today? Come verificare, oggi, non domani, ciò che si fa oggi?

Ecco, proviamo a rispondere a questa domanda. Proviamo a introdurre criteri quali: obbiettivi, misura degli obbiettivi, feedback, etc. Proviamo a introdurre questi criteri per analizzare temi quali: metodologia di insegnamento, contenuti, verifiche dell’apprendimento, verifiche dell’insegnamento.

Un anno e mezzo fa mi sono occupato del problema di trovare un’università per mio figlio. Guardando qua è là, sono capitato sul website della London School of Economics. Ci tornai varie volte. Chi vuole, può dare un’occhiata e troverà quel che ho trovato io. Faccio solo due esempi, per non farla troppo lunga.

Primo esempio: le ore di insegnamento cattedratico sono 10 massimo 15 a settimana (parlo del triennio, undergraduate). Ma. Lo studente è tenuto a frequentare 2 seminari a settimana. Questi seminari sono tenuti dai professori dell’università (fra cui 13 Nobel) su temi oggetto delle loro ricerche. Lo studente è tenuto a preparare un lavoro sugli argomenti trattati. E, se chiamato a illustrarlo, difenderlo contro le critiche del professore…e dei suoi colleghi studenti.

Lo studente, inoltre, è caldamente invitato a trovarsi un lavoro di qualche ora a settimana. La LSE li aiuta con le sue strutture.

Secondo esempio. L’Università si mantiene in contatto con i suoi ex studenti. A tutti chiede, periodicamente ogni sei mesi, cosa fa, dove lavora, quanto guadagna. Ma soprattutto chiede di esprimere un giudizio su quanto ha appreso nel suo corso, su quanto ciò sia stato utile nella sua vita professionale e, nel caso di insoddisfazione, cosa egli (lo studente – che però a questo punto è uno che lavora, cioè un professionista, cioè uno in campo) farebbe per cambiare il contenuto dell’insegnamento.

By the way. Dopo il triennio di studi in Economia, la statistica era questa (cito a memoria e potrei sbagliare qualche unità, ma il senso del discorso non cambia).

61% di studenti al lavoro (con la laurea corta). Reddito medio, dopo 6 mesi di lavoro, 40 000 Euro anno.
15% di studenti che lavorano e studiano
24,5 % impegnati nel master di specializzazione
0,5 % (dopo sei mesi dalla laurea triennale) ancora disoccupati.

98,5 % degli iscritti che terminano il corso.

Forse non occorre inventare ciò che altri hanno già ottenuto.

14 Ottobre 2009


 

Penso anch’io, come Giardini, che non c’è bisogno d’inventare quello che altri hanno già ottenuto.

A parte questo, qui sotto vi propongo una riflessione che mi ha comunicato un assistente universitario qualche tempo fa. Secondo me è interessante perché getta luce su un aspetto del problema che spesso viene trascurato. Eccola:

….. E poi c’è la crisi della scuola nelle società opulente. La scuola ha senso per i poveri o per i romantici che credono nell’accrescimento della loro personalità attraverso lo studio. Loro sanno che un futuro diverso da quello dei propri genitori dipende dallo studio. Ma chi ha già tutto, chi è viziato fradicio, chi è arrogante, se ne frega della scuola”.

17 Ottobre 2009


 

Confesso pubblicamente una mia pigrizia. La lunghezza del commento di Giordano Pieretti mi aveva finora tenuto lontano dalla sua lettura. Ma sbagliavo di grosso. In questi giorni sono finalmente riuscito a vincere l’inerzia iniziale e sono stato ricompensato abbondantemente. A parte i dettagli tecnico-pedagogici che non conosco, condivido tutto il contenuto del commento, in particolare il nesso strettissimo da lui messo in evidenza ed esistente tra il  SAPER SCRIVERE  e il SAPER COSTRUIRE RAGIONAMENTI  BEN CONCATENATI  LOGICAMENTE.

La parte “destruens” dell’ideologia sessantottarda invece considerava la FORMA dello scrivere eredità ammuffita della scuola nozionistica. Ho tre sorelle maestre quindi conosco bene il dileggio sprezzante al quale erano esposte da parte della maggioranza dei colleghi e delle colleghe quando si azzardavano a mettere in evidenza l’importanza dell'insegnamento della grammatica e della sintassi. Si sentivano sempre rispondere che l’importante era LASCIARE I BAMBINI LIBERI DI ESPRIMERE LA LORO CREATIVITÀ senza REPRIMERLI con l’AUTORITARISMO insito nelle regole da rispettare.

Il risultato di questa pedagogia è appunto quello denunciato da Pieretti. Basta leggere i blog e i commenti dei lettori dei giornali per convincersi che uno scritto SGANGHERATO dal punto di vista della FORMA lo è sempre anche da quello del CONTENUTO di pensiero.

Poiché non tutti hanno il tempo e la voglia di frequentare certi bassifondi, ecco un esempio concreto di queste PEPITE stilistiche e contenutistiche. Allacciarsi le cinture, si parte:


carissimo direttore grazie per aver avuto il coraggio di dire cio che non andava e non va nel nostro paese io avevo avuto il sentore che all’ora si era rotto qualcosa e che era un qualcosa di grave tante che poi ci sono stati altri casi come lei nella trsmissione di ieri notte ed in replica oggi delucidava dettagliatamente senza aver paura di fare nomi e cognomi dei parlamentari dell’epoca ed alcuni ancora oggi in parlamento ed a descritto con chiarezza cio chome i maggistrati aggirono ed purtroppo agigono anche oggi senza fare alcuni nomi ma descrivendo la loro carriera facilitata perche forse affigliati alla p2 di licio gelli ed quarda caso la provenienza e dove operavano ed operano ancora oggi quei maggistrati che buttano fango sui politici e giornalist che non si assoggettano alle loro idee e modo di operare all’ora ancora GRAZIE di aver fatto una trasmissione che a riabilitato il compianto (almeno per me che l’o conoscito televisivamente) ENZO TORTORA e fatto chirezza su come fu incriminato senza alcuna prova dei fatti a lui contestati e che ancora oggi gli vengono addebitati non anno alcuna vergogna ma non c’e da stupirsi perche i poteri occulti sono ancora operanti (la prova è i recenti avvenimenti) ora sono al governo spero che ne faccia altre di trasmissioni come questa su altri fatti GRAZIE GRAZIE E ANCORA GRAZZIE


Detto questo, vorrei aggiungere che secondo me la DISARTICOLAZIONE LOGICO-SEQUENZIALE che caratterizza gli scritti e i pensieri di molti giovani di oggi deriva anche da altre due cause importanti, oltre la scuola:

1). La TV le cui immagini saltano continuamente e repentinamente da un contesto all’altro infischiandosene dei nessi interni, tanto quello che conta sono i dati statistici degli ascolti. Effetto che lo “zapping” va ad aggravare ulteriormente.

2). Il “surfing” su Internet (quello che fa tanto orgasmare Alessandro Baricco). Il sistema dei collegamenti ipertestuali, cioè dei LINK, praticamente quasi costringe la mente del navigatore (il barbaro, secondo Baricco) ad abituarsi alla DISORGANIZZAZIONE del pensiero poiché consiste in un continuo passare da un argomento all’altro senza approfondirne nessuno. Ne esce immune solo chi ha saputo forgiare in precedenza una potente capacità di CONCENTRAZIONE. Gli altri si ritrovano con una mente ridotta a brandelli. Solo uno stravagante come Baricco poteva magnificare un approdo del genere. Gli yoghi orientali paragonano una mente ridotta in questo stato ad una scimmia impazzita che non smette mai di saltare da un ramo all’altro.

17 Ottobre 2009

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