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Riconciliazione nazionale

 

Qualche giorno fa era il 25 aprile e si è celebrata la liberazione dell'Italia dal fascismo. Nonostante i lodevolissimi e ripetuti appelli alla riconciliazione nazionale provenienti da molte parti - in primis  dal presidente della repubblica - abbiamo assistito alle solite polemiche che puntualmente ricompaiono ogni anno in questa occasione. Allora mi sono chiesto quali possono essere le cause di queste discussioni accese e ricorrenti. A me non interessa il problema "politico" in senso stretto, non è il mio campo e lo lascio volentieri ad altri più competenti di me in materia. Vorrei soltanto provare a mettere a fuoco i meccanismi psicologici a causa dei quali le encomiabili esortazioni all'unità nazionale naufragano regolarmente appena si lascia la zona epidermica delle frasi di circostanza e si va un po' più a fondo, là dove si agitano le emozioni. Ci proverò utilizzando come sempre il mio "metodo dell'alambicco" e quello del "sano qualunquismo" di cui ho parlato in precedenti articoli. In altre parole, mi terrò ugualmente lontano sia dalle citazioni erudite sia dalla superficialità di chi sputa sentenze senza prima essersi documentato e avere riflettuto a lungo. Ecco dunque qui di seguito il risultato delle mie "distillazioni".

La prima idea che viene in mente a chi si pone il problema della riconciliazione nazionale è che essa arriverà soltanto quando l'inesorabile legge del tempo che passa si porterà via i protagonisti dei due campi avversi, quelli che hanno vissuto nella propria carne la vicende storiche della guerra civile italiana. La chiamo guerra civile perché mi sembra che oramai anche a sinistra si sia d'accordo su questa definizione.

Non c'è dubbio che, una volta scomparsi gli attori del dramma, il coinvolgimento emotivo diminuirà notevolmente e sarà più facile giudicare con obiettività, ma io credo che questo non sarà sufficiente per eliminare le polemiche di cui sto parlando poiché da una generazione all'altra possono essere tramandate anche le EMOZIONI collegate ai giudizi ed ai valori che i padri trasmettono ai figli. A mio avviso, infatti, per arrivare a sentirci non più divisi non basta aspettare che il tempo passi. Non bastano neanche le esortazioni alla riconciliazione che pure sono utili e necessarie. Possiamo verificarlo puntualmente ogni anno alla scadenza del 25 aprile. Le esortazioni alle quali mi riferisco sono riconducibili ad argomenti di questo tipo: "Dobbiamo sentirci uniti perché siamo tutti figli della stessa terra, della stessa storia, della stessa cultura, parliamo tutti la stessa lingua".

Per arrivare ad una effettiva riconciliazione, secondo me la strada da percorrere è un'altra. Bisogna conquistare una posizione mentale dalla quale sia possibile vedere le RAGIONI e i TORTI delle due parti contrapposte (fascisti-antifascisti) a prescindere dalla propria simpatia per l'una o per l'altra. Fino ad oggi, invece, è stato fatto esattamente il contrario, ha prevalso l'atteggiamento di parte, quello fazioso, si sono negati i propri errori e sono stati evidenziati quelli dell'avversario, sono stati esaltati i propri valori positivi e negati quelli dell'avversario. È facile prevedere che alla fine di questa strada ci sarà solo la perpetuazione dello scontro. Per quanto mi riguarda, invece, ho cercato di valutare i fatti di quel periodo storico serenamente e con obiettività e sono arrivato alle seguenti conclusioni:

Per uscire dal generico, ecco due dei tanti libri che esprimono il suddetto atteggiamento unilaterale nel giudicare la lotta tra fascismo e antifascismo:

- "Dal fascismo alla democrazia, N. Bobbio, Baldini & Castoldi, 1997".
- "Le radici del fascismo, Enzo Erra, Settimo sigillo, 1998".

Una volta tributato il doveroso omaggio allo spessore culturale del personaggio Bobbio, non si può fare a meno di rilevare che egli riesce a vedere solo i lati negativi del fascismo - considerato il modello per antonomasia del male assoluto, del sonno della ragione, quel sonno che genera mostri come si è ripetuto tante volte - ed è invece totalmente cieco nei confronti dei lati negativi presenti nell'antifascismo, in particolare nel sistema liberale nei cui valori egli crede con convinzione.

Dalla parte degli antifascisti, tanto per fare un esempio, c'erano i comunisti che continuavano a ripetere imperterriti la favoletta secondo la quale essi erano democratici perché combattevano il fascismo (lo ripetono anche adesso!). Se l'argomento possedesse un minimo di logica, dovremmo considerare Stalin il prototipo dei democratici!

Non sono uno storico quindi mi limito semplicemente ad esprimere la mia (ma non solo mia) convinzione che il comunismo, lungi dall'avere acquisito meriti per avere combattuto il fascismo, ha la pesantissima responsabilità di averne permesso l'affermazione e il successo (ma non la nascita). Infatti è stata soprattutto la paura del comunismo e dei drammatici disordini sociali da esso provocati - oltreché la minaccia della rivoluzione bolscevica che oggi quasi tutti sono concordi nel condannare - a coagulare attorno alla figura di Mussolini quella massa eterogenea di consensi che gli consentì di arrivare al potere. Senza quella paura, con ogni probabilità il fascismo sarebbe rimasto un movimento di secondo piano, del tutto ininfluente sul quadro politico generale della nazione.

Quindi Bobbio non vede questa componente negativa che caratterizzava il campo degli antifascisti. In un prossimo articolo cercherò di analizzare specificamente e da un da un punto di vista psicologico i punti deboli del sistema democratico-liberale. Per adesso mi limito a rilevare che la tanto auspicata riconciliazione nazionale resterà un pio desiderio finché i vincitori della guerra civile italiana non saranno capaci di fare una sincera autoanalisi e finché si ostineranno a vedere concentrato tutto il male nel campo del fascismo. Infatti quale riconciliazione può esserci mai tra i VIRTUOSI (come si considerano loro) e i REPROBI (come considerano i fascisti)? Nessuna, evidentemente.

Anche Enzo Erra, dal canto suo, è vittima dello stesso atteggiamento mentale manicheo. Ogni tanto gli riesce di  vedere alcuni lati negativi del fascismo, è vero, ma appena li ha riconosciuti si precipita subito a minimizzarli attribuendone la comparsa esclusivamente agli inevitabili problemi di crescita di un movimento politico esuberante come era  il fascismo. Secondo lui, questi lati negativi sarebbero scomparsi una volta morto Mussolini. La sua fiducia, però, trova supporto soltanto nella sua fede, il che francamente non è molto quando ci si propone di valutare un fatto storico di notevole spessore come è stato il fascismo.

Riassumendo, per ottenere la riconciliazione nazionale bisognerebbe cambiare atteggiamento mentale, bisognerebbe cominciare a giudicare la lotta tra fascismo e antifascismo partendo da un punto di vista che si collochi al di là del fascismo e dell'antifascismo. Fermo restando, però, che la buona sorte ha voluto che vincessero gli antifascisti. Senza dubbio un atteggiamento del genere riuscirà più facile ai posteri, ma con un po' di buona volontà credo che possa essere fatto proprio anche dalle generazioni presenti. Non si tratta di diventare "revisionisti" nel senso spregiativo del termine oggi di moda, ma di capire come si sono svolti realmente i fatti che hanno portato gli Italiani a dividersi fino al punto di indurli a spargere il sangue fraterno.

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