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C. G. Jung

 

Nell'ultima parte dell'articolo "Una riflessione sulle religioni" ho fatto riferimento a C.G.Jung scrivendo: "Non ho scoperto niente di nuovo, intendiamoci. È la tesi sostenuta da C.G. Jung". Adesso mi propongo di chiarire meglio quel fugacissimo accenno poiché, così come l'ho formulato allora, potrebbe far credere che il mio punto di vista coincida esattamente con quello di Jung a proposito del tipo di rapporto che dovrebbe intercorrere tra CONSCIO e INCONSCIO. Poiché invece questa coincidenza è solo parziale, ora voglio spiegare fino a che punto considero convincente la tesi di Jung e dove invece inizio a distaccarmene.

Una volta accettata l'idea che la mente non si riduce alla sola parte COSCIENTE, ma si estende in una dimensione che quest'ultima non può raggiungere in modo diretto, si pone subito il problema di come queste due componenti della psiche dovrebbero rapportarsi reciprocamente. Dal momento che la soluzione che viene di volta in volta proposta per questo problema rappresenta uno degli elementi maggiormente caratterizzanti di ogni teoria della psiche umana, vale la pena di soffermarsi su questo punto particolare. Le posizioni assunte in proposito dagli studiosi di psicologia possono essere collocate lungo un "continuum" che ha come estremi da una parte l'atteggiamento che privilegia il CONSCIO a scapito dell'INCONSCIO e dall'altra l'atteggiamento opposto che mitizza l'INCONSCIO e lo celebra fino al punto di deificarlo.

Al primo gruppo appartiene sicuramente S. Freud il quale infatti scriveva: ".... gli sforzi terapeutici della psicoanalisi.... la loro intenzione è in definitiva di rafforzare l'IO   (nota mia: il CONSCIO).... così che possa annettersi nuove zone dell'ES  (nota mia: dell'INCONSCIO). Dove era l'Es, deve subentrare l'IO. È un'opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuidersee (nota mia: golfo del mare del Nord, sulle coste dei Paesi Bassi.  Nello stesso anno in cui Freud scriveva queste parole, 1932, fu ultimata la costruzione di una gigantesca diga che unisce l’isola di Wieringen alla costa, prosciugando una parte del mare).

("Introduzione alla psicoanalisi", pag 190, Opera omnia, Boringhieri, 1989. Le sottolineature sono mie)

Viene spontaneo definire "colonizzatrice" la funzione che Freud assegnava all'Io nei confronti dell'Inconscio. Al primo spettava il compito di portare la "civiltà" nel mondo "selvaggio" rappresentato dal secondo! Atteggiamento che a me sembra troppo sbilanciato a favore della COSCIENZA-IO, le cui possibilità  vengono sopravvalutate a tutto scapito dell'INCONSCIO il quale, di contro, viene concepito in modo troppo riduttivo. La collocazione di C.G. Jung rispetto a questo problema, invece, è più problematica per una serie di motivi:

Bene. Ora io faccio la seguente domanda retorica: "Quanto spazio resta alla SCIENZA e alla COSCIENZA nel sistema di pensiero di un uomo che arriva a scrivere quanto è contenuto nelle quattro citazioni riportate più sotto?".

Nei suoi libri Jung dichiara a più riprese che il SÈ rappresenta la TOTALITÀ della psiche, cioè l'INTEGRAZIONE di Conscio e Inconscio. Nel 1954 ha inequivocabilmente precisato: "
Se l'Io è dissolto dall'identificazione col Sé, ne deriva una specie di nebuloso superuomo con un Io gonfiato e un Sé svuotato". (*)

(*) "Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche", Opera omnia, vol. 8°, pag. 242, Boringhieri, 1989

Ma non basta. Nella prefazione al libro di una sua allieva, Jung ha scritto esplicitamente: "
.... il paziente.... soffre di una mancanza di coscienza e pertanto deve diventare PIÙ COSCIENTE". (*)

(*) M. E. Harding, "L'energia psichica, La sua fonte e le sue trasformazioni", Astrolabio, 1984

Poi, però, poco prima di morire ha scritto le righe che seguono, le quali escludono del tutto il concetto di INTEGRAZIONE ed esprimono piuttosto quello di ANNULLAMENTO dell'Io di fronte all'Inconscio o al Sé, cioè proprio quanto lui stesso aveva stigmatizzato pochi anni prima:

  1. "L'EGO deve riuscire a seguire pienamente, abbandonandosi senza più alcun fine o proposito, quell'intimo impulso allo sviluppo".

  2. "Ci si deve.... arrendere alla forza dell'inconscio"   (notare che dice INCONSCIO, non dice SÈ).

  3. "Non si deve fare altro che ascoltare, per sapere ciò che la totalità interiore - il Sé - vuole che si faccia, hic et nunc, in una particolare situazione".

  4. "Dobbiamo cedere a questo.... poderoso impulso".

(Da "L'uomo e i suoi simboli", Casini 1967. Le frasi le ha scritte la sua collaboratrice M.L. von Franz, ma lui le ha approvate e avallate, tanto è vero che nello stesso libro c'è anche un saggio scritto di suo pugno. Le sottolineature sono mie).


È evidente che una persona ha tutto il diritto di cambiare idea nel corso della propria vita. In questo caso, però, la persona in questione deve essere valutata in base all'idea che professa per ultimo poiché, ovviamente, è quella che lei considera più giusta. Con parole più esplicite - nonostante i suoi frequenti richiami alla SCIENZA - Jung non possedeva una mentalità SCIENTIFICA o quantomeno non l'ha posseduta nell'ultima parte della sua vita, come dimostrano inequivocabilmente le quattro citazioni suddette. Appurato questo, ognuno è libero di considerare tale caratteristica un pregio oppure un difetto. Bisognerebbe solo stare attenti a non cadere nella facile tentazione di usare lo Jung "scientifico" per dare credibilità allo Jung "mistico".

Ammiro moltissimo Jung, forse anche più di Freud, ma mi rifiuto di fare di lui un "santino" davanti al quale recitare giaculatorie adoranti. Ecco perché mi sento di seguirlo finché auspica un rapporto EQUILIBRATO tra Conscio e Inconscio, cioè finché parla di INTEGRAZIONE delle due componenti della psiche umana, ma rifiuto decisamente l'annullamento dell'Io nell'Inconscio.

Rifiuto anche quella "forma mentis" particolare che finisce per acquisire chi frequenta troppo a lungo l'inconscio senza la salvaguardia della RAGIONE CRITICA. Queste persone, con la scusa che l'inconscio è contraddittorio, si esprimono con uno stile fumoso e contorto senza preoccuparsi di mettere insieme pensieri legati tra loro in modo coerente. E magari considerano questa caratteristica addirittura un pregio e un arricchimento. Queste persone sono incapaci di sottoporre ad analisi critica i propri contenuti mentali e mal sopportano che lo facciano gli altri perché vivono la critica come un'aggressione al "giocattolo" mentale che hanno costruito sotto la spinta cogente dell'inconscio. "Giocattolo" di cui si innamorano e da cui traggono un'energia vitale che a volte li sostiene fino al punto di farli sentire portatori di una missione nella vita. Alla base di questa insofferenza per la critica c'è qualcosa di più del comunissimo fastidio che tutti proviamo quando qualcuno mette in dubbio un nostro parere, c'è il fatto che le persone di cui sto parlando costruiscono le proprie convinzioni utilizzando l'INTUIZIONE, la quale fornisce certezze  per evidenza immediata e diretta, senza alcun ricorso al RAGIONAMENTO.

Mentre la Ragione non è incompatibile con l'Intuizione perché può sempre considerarla subalterna a se stessa, non si può dire lo stesso del contrario poiché l'Intuizione è una TOTALITÀ che non tollera l'analisi. Ecco perché si ottiene solo la chiusura e la reazione aggressiva quando con queste persone si cerca di portare avanti una conversazione "argomentata". Nel caso di Jung, le citazioni dai suoi libri riportate sopra sembrano far pendere la bilancia proprio verso questo tipo d'interpretazione del personaggio.

Tornando al rapporto CONSCIO-INCONSCIO, si potrebbe porre il problema anche in questi termini: una volta che la "discesa agli inferi" ci ha permesso di entrare in contatto con il "male" che si agita laggiù, che atteggiamento bisogna assumere nei suoi confronti? La mia risposta è contenuta nell'articolo "Una riflessione sulle religioni" e la riporto qui per comodità del lettore:

"Invece possiamo migliorare solo se, come primo passo, prendiamo contatto con le nostre parti "cattive". Nel momento stesso in cui lo facciamo, affiorano altre energie, questa volta "buone", che riequilibrano la situazione. È un meccanismo regolatore che agisce nella psiche come l'OMEOSTASI agisce a livello biologico. Senza questa legge compensatrice, la materia vivente non sarebbe comparsa sulla Terra o sarebbe sparita subito dopo la sua apparizione. Il meccanismo regolatore di cui sto parlando potremmo considerarlo anche come l'equivalente psicologico del processo TESI-ANTITESI-SINTESI di cui parla la filosofia".

Secondo me, il rapporto tra CONSCIO e INCONSCIO dovrebbe essere costruito rispettando rigorosamente l'EQUILIBRIO tra le due parti. Nessuna delle due componenti dovrebbe preponderare sull'altra o essere sacrificata a vantaggio dell'altra. Ma l'equilibrio va bellamente a farsi benedire quando prevale una sola delle due forze in campo, non importa quale. Nella posizione junghiana l'equilibrio risulta inequivocabilmente rotto a favore della componente INCONSCIA. Scelta perfettamente legittima, si capisce. Mi limito soltanto a dire che le mie preferenze vanno in un'altra direzione e mi rendono molto perplesso nei confronti della concezione junghiana del SÈ. Dal mio punto di vista, la metafora che meglio esprime quello che dovrebbe essere il rapporto auspicabile tra Conscio e Inconscio è quella del NAVIGARE. Nella pagina "PARLIAMONE" del mio sito, infatti, ho scritto:

"Il concetto del NAVIGARE.... esprime l'idea dello spostarsi coscientemente nella direzione voluta, ma tenendo conto del mare e del vento, sfruttando la loro forza. Lo skipper e la barca, con il complesso vele-timone-bussola, simboleggiano la COSCIENZA. Il vento, il mare e le correnti simboleggiano l'INCONSCIO. È essenziale chiarire la differenza che passa tra il CONTROLLARE l'inconscio e il NAVIGARLO perché il controllo è sicuramente impossibile mentre la navigazione è sperimentabile, almeno in teoria. In ogni caso, possiamo sempre procurarci una conoscenza INDIRETTA dell'inconscio grazie ai sogni".

Se la COSCIENZA rappresenta il punto più alto raggiunto dal processo evolutivo della natura, possiamo permetterci di lasciarla naufragare nel mare da cui è emersa così faticosamente? Possiamo sacrificarla sull'altare dell'INCONSCIO? Secondo me, oltre che un errore pericoloso, sarebbe anche un delitto imperdonabile.

Finora ho detto che me la sento di seguire Jung solo fino al momento in cui auspica la "discesa agli inferi" per prendere contatto con l'INCONSCIO, e me ne distacco, invece, quando minimizza il ruolo della parte CONSCIA fino a farlo scomparire del tutto una volta arrivati "laggiù". Adesso aggiungo una domanda. "Fin dove possiamo spingerci nel tentativo di rivalutare quella parte dell'inconscio che siamo soliti definire il MALE? A me sembra che Jung si sia spinto troppo avanti in questa direzione, fino al punto di fare propria la tesi secondo la quale in Dio sono contemporaneamente presenti il "bene" e il "male".

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Approfitto dell'occasione per parlare anche di altri due aspetti del pensiero di Jung che secondo me meritano delle riserve:

  1. MITI, LEGGENDE e FIABE. Jung usava troppo i miti, le leggende e le fiabe come "pezze d'appoggio" per le sue tesi. Nell'articolo "Ho visitato un sito" argomento in questo modo la mia affermazione:

"Quel materiale risulta utilissimo, addirittura insostituibile per studiare il mondo dell'inconscio e le sue leggi, ma non dovrebbe essere usato per dimostrare la validità di una interpretazione o di una teoria. Per un motivo molto semplice, perché di quasi tutti i miti esistono parecchie versioni spesso discordanti e, allora, tra le tante disponibili si finisce per privilegiare soltanto quella che conferma la teoria che ci sta a cuore ignorando tutte  le altre che magari la smentiscono. Non solo, poiché i miti raccontano storie che spesso non sono lineari e coerenti in tutte le loro parti come un teorema di matematica, può capitare che all'interno dello stesso mito si trovi sia la conferma che la smentita della tesi che vorremmo dimostrare. Chi volesse privilegiare la prima o la seconda, pertanto, farebbe comunque una scelta arbitraria. Ma non basta, un mito a volte contiene anche parti "ambigue" che si prestano altrettanto bene a convalidare sia una ipotesi che quella contraria. Lo stesso discorso vale per le leggende e per le fiabe".

Quando ci si innamora troppo dei miti e delle credenze popolari, si finisce per vedere corrispondenze anche dove non ce ne sono. Per esempio, Jung - per dimostrare che la psiche individuale "pesca" i suoi materiali anche nel serbatoio dell'inconscio collettivo - racconta di una sua paziente che vedeva sempre un CAVALLO NERO ogni volta che cadeva un fulmine durante un temporale (*). Lui associa immediatamente questa esperienza alla credenza primitiva secondo la quale il fulmine è prodotto dalla zampa del cavallo di Odino che si abbatte sulla terra. Però nella visione della sua paziente non c'era niente di tutto questo, c'era solo un cavallo nero. E un cavallo nero è cosa ben diversa da una zampa di cavallo che si abbatte sulla terra per produrre il fulmine! Ma tant'è, chi si abitua a ragionare sulla base delle "sensazioni" e delle "intuizioni" prodotte dagli Archetipi, non rileva più le discrepanze anche se sono macroscopiche, e si accontenta di nessi solo approssimativi perché è indotto a far combaciare comunque i fatti con le convinzioni che si è costruito senza l'uso della ragione critica, deve trovare conferme a tutti i costi altrimenti va in crisi di astinenza, e così viene pensato dalle sue convinzioni anziché pensarle.

(*) "Jung parla", W. McGuire e R.E.C. Hull, pagg. 127-128, Adelphi, 1995.

  1. ALCHIMIA. Nei suoi confronti a me sembra che Jung abbia contemporaneamente un merito ed un demerito. L'ha riammessa nel circuito della cultura ufficiale restituendole almeno dignità, se non proprio credibilità, ma lo ha fatto ad un prezzo molto alto cioè riducendola a sola PROIEZIONE della mente umana sul mondo materiale esterno. Così facendo l'ha svuotata di uno dei suoi concetti base cioè quello della purificazione da realizzare parallelamente sui due piani PSICHICO e MATERIALE. L'alchimista era convinto che la materia che si trovava  nel crogiuolo e sulla quale lui agiva, agisse per converso su di lui.

    Dopo questa amputazione concettuale operata da Jung, quello che resta può risultare ancora interessante, ma non è più Alchimia dal momento che essa si basava su un complesso di pratiche considerate capaci di trasformare la MATERIA in SPIRITO (solve) e lo SPIRITO in MATERIA (coagula). "Solve et coagula" era, appunto, il programma da realizzare e il proposito continuamente ripetuto.

    A pagina 165 di "Misterium coniunctionis" - pubblicato pochi anni prima della sua morte - Jung ribadisce che
    l'alchimia va intesa in senso esclusivamente PSICOLOGICO. Anche se poi prudentemente aggiunge, riferendosi però ad un ipotetico futuro non meglio precisato: "Non pretendo però che l'interpretazione psicologica di un mistero debba necessariamente costituire l'ultima parola... Dobbiamo... attenderci che, in un tempo futuro,.... il mistero della pietra o del Sé lasci emergere un aspetto che per noi oggi rimane ancora inconscio...".

    A pagina 104 della stessa opera scrive: "Nonostante Dorneus consideri qui il sole e il suo zolfo quasi come una componente FISIOLOGICA del corpo umano, tuttavia è chiaro che si tratta di una MITOLOGIA fisiologica, vale a dire di una PROIEZIONE".

    ("Misterium coniunctionis", Opera omnia, vol. 14°, Boringhieri, 1989. La sottolineatura è mia)

    Secondo Jung, il SOLE e la LUNA degli alchimisti rappresenterebbero - rispettivamente e   proiettivamente - la COSCIENZA e l'INCONSCIO. Questa corrispondenza è da lui ripetuta così tante volte che alla fine è diventata quasi una ovvietà. Ma resta sempre vero che è bene porsi domande anche a proposito delle cose che sembrano ovvie. Per esempio: e se il SOLE e la LUNA rappresentassero invece il CUORE e il CERVELLO, con le rispettive funzioni INTELLIGENZA SOVRARAZIONALE e MENTE RAZIONALE? Quest'ultima è fredda come la Luna mentre la prima è calda come il Sole, legata al sentimento e all'intuizione.

    Se questa ipotesi fosse corretta, la COSCIENZA e l'INCONSCIO sarebbero entrambi rappresentati dalla LUNA, cioè dalla sua faccia visibile e da quella invisibile, rispettivamente. Non diciamo, del resto, RIFLETTERE su di un problema? E la Luna non RIFLETTE la luce del sole?

    Le dimostrazioni basate sulle etimologie sono spesso da guardare con sospetto, ma non sono nemmeno da scartare del tutto. Allora è facile notare che il collegamento MENTE-LUNA risulta immediato nelle due parole latine Mens (mente) e Mensis (mese) in quanto il MESE è intuitivamente associabile alla LUNA, come risulta anche dalle parole greche Mén (mese), Méne (luna). Hanno tutte la stessa radice indoeuropea quindi  rinviano allo stesso gruppo di significati. In sintesi: la COSCIENZA-MENTE-RAZIONALE che riflette andrebbe associata alla LUNA e non al SOLE come invece sosteneva Jung.

    Non voglio dire che la mia ipotesi sia quella giusta. Se lo fosse, però, dimostrerebbe che a volte è sufficiente una sola interpretazione sbagliata per indirizzare in una direzione fuorviante tutto un filone di ricerche. A questo proposito mi viene in "mente" (tanto per restare in tema) che il black-out elettrico che ha colpito recentemente tutta l'Italia è stato spiegato dai tecnici come un indirizzare la corrente nella direzione sbagliata. E gli effetti li abbiamo visti. A volte basta che un banalissimo relais azioni un deviatore e compare il black-out. Questo risulta vero anche a livello mentale.

    Per sua stessa ammissione, Jung ha cominciato ad interessarsi a fondo dell'Alchimia solo nel 1928, dopo avere letto il libro "Il segreto del fiore d'oro" che il sinologo Richard Wilhelm gli aveva spedito per averne un commento psicologico. A quel tempo lui aveva già costruito le parti essenziali del suo sistema teorico perciò non ha saputo resistere alla tentazione di servirsi dell'Alchimia in modo strumentale, unicamente come controprova "storica" della sue teorie. Lo dichiara esplicitamente in "Ricordi, sogni, interpretazioni". Voleva dimostrare che i costrutti teorici della sua concezione della psiche non erano scaturiti soltanto dalle considerazioni SOGGETTIVE sue e dei suoi pazienti, ma trovavano un  riscontro OGGETTIVO nella visione del mondo alchimistica che ha attraversato interi secoli di storia europea, araba, cinese e indiana.

    Jung non si è posto davanti all'Alchimia con mente vergine, cioè sgombra da idee già formate in anticipo. In sostanza, non ha cercato di capire quello che volevano dire gli Alchimisti. Ha cercato, viceversa, di ricondurre sistematicamente i concetti dell'Alchimia all'interno del suo sistema teorico. Si tratta, del resto, della stessa operazione che ha compiuto anche nei confronti dello Yoga. Operazioni più che legittime, s'intende. Basta esserne consapevoli e non scambiare per Yoga o per Alchimia quelle che invece sono soltanto le interpretazioni che ne propone Jung. Tornando all'Alchimia, se a qualcuno il mio giudizio dovesse apparire troppo avventato o addirittura presuntuoso, allora ecco come uno degli ultimi alchimisti moderni giudicava l'interpretazione dell'Alchimia proposta da Jung:

"Il grosso volume di C.G. Jung "Psicologia ed Alchimia.... riunisce, all'interno di una interpretazione molto personale e fragilissima, un gran numero di estratti di opere, di note bibliografiche e, in particolare, di figure simboliche disgraziatamente riprodotte in modo molto mediocre e perciò poco adatte ad un esame preciso, quindi non profittevoli per gli sforzi dello studio".

"Al di là di questo magro bottino, che cosa potrebbe attendersi lo studioso di alchimia e, a fortiori, l'operatore interessato alla sola verifica nel laboratorio? Cosa potrebbero attendersi tutte e due da uno scrittore... che ha compreso così poco la Scienza (quella alchimistica, nota mia) da pretendere di sottometterla alle sue acrobazie psicologiche, e che vuole ricondurla semplicemente alle minuscole dimensioni dei suoi banali procedimenti e delle sue deduzioni fallaci?"

"C.G. Jung deve essere stato davvero spinto.... da partito preso e da presunzione, entrambe cieche e irriducibili, per non aver saputo individuare.... l'identità.... delle operazioni fisiche e chimiche alle quali in tutti i tempi si dedicarono i Filosofi (gli Alchimisti, nota mia) per mezzo del fuoco!"

(E.Canseliet. "L'Alchimia spiegata sui suoi testi classici", vol. II, pagg. 56, 60, Edizioni Mediterranee, 1985. Le sottolineature sono mie)

Per finire, è appena il caso di aggiungere che le riserve e i rilievi esposti qui sopra nulla tolgono alla grande ammirazione che io nutro per quel gigante della psicologia che è stato Jung. In ogni caso, le sue opere dedicate all'alchimia hanno il grande merito di contenere una sterminata mole di citazioni bibliografiche ricavate da libri rarissimi, quindi difficilmente reperibili. Basta leggerle attenendosi al testo e accettando con riserva le interpretazioni che ne propone Jung. Ammirare un autore non significa accettarne tutti i punti di vista.

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