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Perché gli Italiani non amano lo Stato


Il 4 ottabre 2009 Giordano Bruno Guerri ha pubblicato nel suo blog un articolo con lo stesso titolo. Avrei voluto riportarlo qui ma, non sapendo se la legge sul copyright me lo consente, mi limito a riportare soltanto il mio commento e quello di alcuni altri lettori. Potete trovare l'articolo di Guerri a questo indirizzo:  

http://www.giordanobrunoguerri.it/gbgblog/default.htm

 


 

 

Alcune domande:

Ogni anno la Onlus sposterà la targhetta dei bambini su un nuovo banco e la sostituiranno con una targhetta nuova per un nuovo bambino (i bambini si sa, crescono) ?

La cosa si ripeterà per quanti anni o si tratta di una inziativa una tantum? Nel secondo caso, peccato, di inziative una tantum la scuola non ha bosogno, c’è bisogno di progetti seri e duraturi, monitorati seriamente.

Con la legge 626 temo che sarà difficilissimo permettere ai bambini di improvvisarsi imbianchini. In ogni caso non possono salire su scale o trabattelli, quindi si potrà contare su un lavoro fino a…1 mt di altezza. Apprezzo l’entusiasmo, ma forse chi ha ideato il tutto è lontano dal mondo della scuola.

Lo so , a caval donato non si dovrebbe guardare in bocca, ma la situazione delle scuole è molto spesso disastrosa e in ambienti pericolosi o fatiscenti (per colpa dei grandi) è difficilissimo convincere i bambini a rispettare ciò che li circonda.
Molti docenti ci provano nonostante tutte le difficoltà, ma sappiam tutti che per i bambini non sono importanti tanto le parole nè le belle iniziative quanto l’esempio costante. E a tal proposito, a guardarsi intorno c’è da piangere…

4 Ottobre 2009


 

Esperimento lodevole, ma poichè Filippo sarà uno dei pochi, passando ad un'altra classe nel suo percorso scolastico, finirà per adeguarsi ai più se non avrà il coraggio di essere diverso.

4 Ottobre 2009


 

Penso che il modo migliore per far nascere nel giovane il senso dello Stato e il rispetto per tutto quello che lo rappresenta sia fare in modo che il giovane INTROIETTI le regole sociali così come ha introiettato quelle che gli hanno trasmesso i suoi genitori (se gliele hanno trasmesse).

La condizione necessaria perché un giovane introietti le regole dei genitori è che li percepisca come i SUOI genitori, li ami, li rispetti, li accetti come AUTORITÀ legittima e “senta” istintivamente che loro agiscono “per il bene suo”.

L’iniziativa dell’onlus “ioSiamo” secondo me è da approvare incondizionatamente però avrebbe bisogno di essere accompagnata da una trasformazione radicale del comportamento nei confronti dei cittadini da parte di chi rappresenta lo Stato. Altrimenti continueremo a sentire lo Stato come persecutore, nemico o, nella migliore delle ipotesi, estraneo. E non lo sentiremo NOSTRO.

Un’altra condizione necessaria per riconoscersi nello Stato è accettare una delle sue componenti fondamentali cioè l’AUTORITÀ. E qui non basta più la modifica del comportamento di chi rappresenta lo Stato, occorre un colossale lavoro culturale da compiere all’interno della società per cancellare, in quanto errata, la seguente uguaglianza rovinosa creata e imperante durante gli “anni formidabili” di Mario Capanna:

Autorità = Autoritarismo, Repressione, Violenza, Privilegio, Fascismo

5 Ottobre 2009


 

Qualcuno mi spiga perché nel fanciullo si debba imprimere il “senso dello Stato”?
E’ un concetto orribile.
E’ lo Stato che DEVE avere il senso del cittadino e di sapersi al suo servizio. Sensazione che ogni individuo appartenente a quella nazione deve poter sentire e percepire indipendentemente dall’età e rango.

Sono gli statali da educare al senso dello Stato NON gli alunni che di quello Stato sono i clienti. Al comportamento corretto dello Stato si potrà pretendere l’educazione civica relativa a chiunque, Educati o meno, stranieri o indigeni.

06 Ottobre 2009


 

Concordo con Liuprando nel dire che il rapporto Stato-cittadino dovrebbe essere rovesciato: non più lo Stato visto come obiettivo finale, ma il cittadino come fine.

In tal modo lo stesso termine di cittadino essere spogliato da quella funzione di dipendenza dallo Stato e messo a nudo invece il concetto di uomo che cerca la miglior forma di convivenza senza però mai rinunciare alla sua miglior forma di espressione individuale.

Nella mia pratica di maestro di scuola primaria, un tempo elementare, vivo quotidianamente due termini che sono fondamentali: l’alunno e la classe.

Spesso la didattica oscilla tra questi due termini che a volte si contrappongono, uno prevale sull’altro, raramente si compenetrano e si armonizzano.

La miglior cosa?

Comprendere che l’alunno è un bambino e la classe un insieme di bambini.

Ma è un bambino, sono bambini speciali perché essi godono nella scuola di un momento iniziatico: si affacciano al mondo della cultura ed essa può rivelarli nel modo più profondo.

Se viene meno questa consapevolezza, viene meno anche questa maturazione, questa progressiva crescita, e allora la scuola rischia di essere solo l’ennesima prigione come lo è diventato, specie per noi italiani, lo Stato per l’individuo.

10 Ottobre 2009 


 

Quando parlo di Stato non intendo riferirmi al Moloch elefantiaco, burocratizzato ed inefficiente che ci succhia il sangue con le tasse e pretende di regolamentare anche le nostre scelte private.

No, non mi riferisco a questo ma alla prerogativa di base posseduta dallo Stato e che consiste nello stabilire, prima, le REGOLE della CONVIVENZA civile e nel farle rispettare, poi. Il che significa punire chi le trasgredisce.

In questo senso era più significativo il termine che si usava una volta cioè RESPUBBLICA in quanto rendeva immediatamente l’idea di materie e argomenti che riguardano TUTTI. Perché si ha un bel parlare di INDIVIDUI, ma gli individui possono esistere solo all’interno di una società organizzata.

Possiamo discutere finché vogliamo sul COME costruire lo Stato e limitarne i poteri, ma non può essere rifiutata la sua idea di base cioè l’AUTORITÀ altrimenti non c’è più convivenza civile.

L’AUTORITÀ dello Stato, oltretutto, smette di essere coattiva nel momento in cui viene RICONOSCIUTA e ACCETTATA. E qui sta uno dei compiti principali della scuola, la quale non deve più accettare professoresse che si lasciano palpare le natiche dagli studenti senza nemmeno reagire e che entrano in aula in abbigliamento pressoché discinto.

Nelle famiglie numerose di una volta i bambini cominciavano già lì a rendersi conto di cosa significhi convivere con altri che hanno gli stessi diritti. Nelle famiglie di oggi, invece, si alleva un unico REUCCIO che solo quando inizia ad andare a scuola comincia ad apprendere la difficile arte del vivere INSIEME. Ecco perché il compito della scuola non può esaurirsi nel trasmettere solo nozioni.

Quello che dice Rizzitiello a proposito della scuola come trasmissione di cultura mi va benissimo a condizione che si precisi subito che il concetto di CULTURA include anche quello dei MODI di COMPORTAMENTO considerati validi da una società. L’educazione civica non ha niente a che fare con lo Stato etico.

15 Ottobre 2009

 

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