TR00243A.gif (2486 byte)

L'infedele

 

Insieme con "Otto e mezzo" di Giuliano Ferrara e Luca Sofri, "L'infedele" è una delle poche trasmissioni televisive che guardo volentieri. Nel periodo invernale va in onda il mercoledi su LA7, in prima serata, e la dirige Gad Lerner, il presentatore "bulldozer" che va per le spicce quando si tratta di bloccare l'eloquio torrentizio dei partecipanti. Tutti i presentatori televisivi usano senza risparmio il potere di interrompere gli interventi di chi è presente alla trasmissione, ma ci sono quelli che lo fanno al solo scopo di restare al centro dell'attenzione (i più) e quelli che si comportano così per mantenere la trasmissione all'interno dell'argomento di volta in volta prescelto. Di solito Lerner riesce bene in questo compito, anche se a volte usa un piglio un po' strafottente e dà l'impressione di essere umorale e bizzoso nello scegliere il criterio in base al quale decidere chi può continuare a parlare e chi invece deve essere interrotto senza pietà.

Detto questo, entro nel merito. Le trasmissioni tipo "L'infedele" mi interessano per almeno due motivi, anzitutto perché quasi sempre scelgono come tema da trattare argomenti interessanti ed intelligenti, in secondo luogo perché rappresentano un'occasione perfetta per verificare la capacità degli intellettuali di usare quella che in un altro articolo ho chiamato "la cura dell'alambicco", cioè la capacità di sintetizzare in poche parole il succo di un discorso. Capacità che dovrebbe essere coltivata sempre, ma in modo particolare quando si parla in televisione. È possibile che io sia troppo severo nel valutare, ma mi sembra che siano molto pochi quelli che riescono a farsi capire bene e in fretta. Il più delle volte, chi interviene tende a fare un comizio o una lezione professorale, comincia da Adamo ed Eva, divaga, perde il filo del discorso, inizia le frasi e le lascia a metà, salta da un concetto all'altro senza esplicitare il nesso che li lega, non riesce a trovare le parole adatte, usa frasi fatte, ecc. Insomma un bel "papocchio" che risulta pesante da digerire. Bisogna rassegnarsi, la stringatezza è merce rara!

Direte: "Ma se le cose stanno davvero così, perché segui quelle  trasmissioni?". La risposta l'ho già data qui sopra, adesso aggiungo che mi diverto anche a notare i comportamenti dei partecipanti. Sabato scorso (7/6/03) per esempio, l'ospite della trasmissione era Ernst Nolte, un professore tedesco di 80 anni che insegna filosofia della storia e che in questo momento si trova in Italia per presentare il suo ultimo libro "Esistenza storica". Non entro nel merito del discorso perché la storia non è il mio campo e, oltretutto, di Nolte ho letto solo "I tre volti del fascismo", troppo poco per intervenire con cognizione di causa. Ma che "goduria" è stata ascoltare gli interventi! Il professore parlava in italiano con il tipico accento teutonico, ma si faceva capire perfettamente, anche se inframmezzava il suo dire con parole prese dal greco, dal latino, dal tedesco, dall'inglese e usava termini da noi oramai in disuso - tipo "negletto" e "cominciamento" - che conferivano al suo eloquio un tono professorale che incuteva rispetto e costringeva gli altri partecipanti a reagire in modo molto misurato ai colpi di fioretto che il professore non risparmiava agli intellettuali di sinistra. Anche il giornalista dell'Unità, nei suoi interventi, si è mantenuto entro i limiti di un deferente rispetto, a parte una certa logorrea subito bloccata da Lerner e il tentativo sfacciato di far passare per "vittimismo" ingiustificato le proteste di Renzo de Felice per il trattamento riservatogli dalla cultura di sinistra. Perfino Gad Lerner è stato indotto a mettere cuscinetti di gomma sopra i cingoli del suo "bulldozer". Contrariamente alla sua abitudine, pesava le parole prima di pronunciarle, le sceglieva con cura in modo da escludere quelle che avrebbero potuto ferire la suscettibilità del professore. Chi segue le sue trasmissioni sa che tale comportamento non gli viene proprio spontaneo  :-)

In materia di storia sono un profano, un ingenuo che si chiede: "Quando si parla di storia, la preoccupazione primaria non dovrebbe essere quella di stabilire se le tesi sostenute da uno storico sono suffragate o meno dai documenti?". In proposito io non ho dubbi, ma sembra che non sia proprio così. Nella trasmissione di cui sto parlando, per esempio, sembrava che le cose importanti fossero altre. Per esempio, stabilire a chi giovano le tesi di Nolte. Per esempio, stabilire se le tesi di Nolte finiscano per portare acqua al mulino degli antisemiti. Per esempio, ipotizzare malignamente che il Presidente del Senato non avrebbe invitato Nolte se avesse saputo in anticipo quello che lo storico avrebbe detto a proposito della comparazione Israele-Germania nazista. Comunque sia, un miglioramento rispetto al passato era evidente. Non si gridava più allo scandalo perché qualcuno si era reso colpevole di lesa maestà nei confronti della vulgata imposta per tanti anni dagli storici di sinistra. I toni erano molto "soft", non c'era più l'atteggiamento inquisitorio pronto a coprire d'infamia il dissidente. Per quanto ci sia da dire che una certa abitudine a negare l'evidenza non è ancora scomparsa del tutto. Come ho detto sopra, infatti, il giornalista dell'Unità ha negato che quel trattamento sia mai stato riservato a Renzo de Felice. Una bella faccia tosta....

Sono caduto dalle nuvole, invece, quando il professor Nolte ha dichiarato candidamente di essere convinto che in Italia sia più possibile che in Germania proporre una interpretazione della storia che non venga immediatamente strumentalizzata a fini politici. Ha anche aggiunto che sarebbe rattristato se fosse costretto a modificare questa sua convinzione. Grazie professore, grazie per questo regalo che non meritiamo assolutamente!  :-)

Adesso mi propongo di passare ad un altro argomento che resta comunque attinente con la trasmissione di cui sto parlando. Nel corso delle mie letture mi è capitato tantissime volte di pormi queste due domande:

Così facendo rendono difficile la comprensione, favoriscono la comparsa di equivoci e di discussioni senza fine che sarebbe facilissimo evitare scegliendo una terminologia più appropriata. Il professor Nolte, per esempio, se ho capito bene usa il termine "ideocrazia" attribuendogli un significato diverso da quello già usato dagli specialisti del suo settore. E anche il termine "trascendente" viene da lui usato con un significato diverso da quello più comune. Prendiamo la parola "ideocrazia", il suo significato etimologico è chiarissimo, vuol dire "potere-governo di un'idea". Allora, per quale motivo il professore esclude il sistema liberaldemocratico dal novero delle "ideocrazie"? Non ha anch'esso alla propria base un'idea dominante come gli altri tre da lui indicati, cioè Nazismo, Bolscevismo, Ebraismo? A questo punto, ne sono certo, il professore mi elencherebbe tutta una serie di differenze che consentono di escludere la democrazia da quel gruppo. D'accordo, ma io mi ostino a pensare che si tratterebbe di differenze non espresse dalla parola da lui usata, "ideocrazia". Allora perché usare questo termine fuorviante? Non sarebbe stato molto più semplice sceglierne o coniarne un altro che non abbia bisogno di precisazioni? Magari una perifrasi se non si trova di meglio? Io sono per la concisione, ma non a spese della chiarezza! E allora mi chiedo: "Perché usare una parola che evoca un concetto e subito dopo essere costretti a correggere il concetto evocato?". Mi sembra un comportamento ai limiti dell'assurdo e mi fa venire in mente il noto detto popolare "Ufficio complicazione cose semplici"  :-)

Torna all'indice

Blueline.gif (1408 byte)

 

Home Page