Viva il '68. Abbasso il '68

Il '68



Il titolo di questo articolo dovrebbe essere già di per sé esplicativo delle intenzioni che mi hanno spinto a scriverlo. La bibliografia sul '68 è praticamente sterminata, ma per lo più è inseribile in due categorie principali: i libri che ne parlano per esaltarne i meriti e i libri che parlano dei danni che ha prodotto. Che io sappia, manca del '68 un'analisi che ne riassuma entrambi i significati rifiutando le prese di posizione unilaterali. È appunto quello che mi propongo di fare adesso.

Già da molto tempo mi proponevo di cimentarmi nell'impresa per mio uso strettamente personale, ma ho sempre rinviato il momento della decisione per parecchi motivi. I tre  principali sono questi: il primo è presto detto cioè la pigrizia mentale, cosa di cui non smetto mai di rimproverarmi; il secondo è più onorevole del primo ed è rappresentato dalla dimensione talmente enorme dell'impresa da far tremare le vene e i polsi; il terzo infine è il timore di non riuscire a tenere a bada il mio punto di vista personale, la mia preferenza che pure esiste e potrebbe impedirmi di essere obiettivo.

Bene, questa è la premessa che spiega i miei frequenti rinvii del progetto. Poi, pochi giorni fa cioè il 15 febbraio 2017, il Corriere della sera ha pubblicato questo articolo di Carlo Rovelli e allora mi sono deciso a rompere gli indugi e a scrivere le righe che state leggendo. A dire il vero, una tentazione del genere mi era già venuta nel 2009 quando mi capitò di vedere in TV il regista e attore Michele Placido che presentava il suo film "Il grande sogno" che è appunto ambientato in quel periodo. Erano passati più di quaranta anni da quel grande sogno e lui ormai aveva tutti i capelli bianchi, ma parlava senza fare neanche un minimo di riflessione critica su quello che si era verificato allora. Sembrava di ascoltare Mario Capanna, quello del libro "Formidabili quegli anni". Mi rendo conto che Placido in realtà non stava rievocando il '68, ma solo quella splendida stagione della vita che chiamiamo giovinezza, la sua giovinezza. Giusto, ma qualche volta i vecchi riescono ad acquisire una certa equanimità di giudizio dovuta proprio alla lontananza degli avvenimenti e al quietarsi delle passioni. A quanto pare, allora, Placido non ha conquistato questa capacità. Come regista e attore, del resto, ha una forte attenuante rappresentata dalla frequentazione abituale del mondo delle emozioni imposta dalla sua professione.

Quello che invece mi ha sorpreso è stato l'articolo di Carlo Rovelli. Da uno scienziato come lui mi aspettavo che fosse capace non dico di sterilizzare le emozioni, ma almeno di tenerle a bada e di non consentire loro di annebbiare il suo giudizio sugli avvenimenti del mondo. Invece nell'articolo egli appare così "posseduto" dalle emozioni che perfino quando parla dei "compagni che sbagliano", cioè dei terroristi rossi assassini, riconosce che erano "accecati", sì, ma li descrive con queste parole: "Erano ragazze e ragazzi con un senso morale più assoluto degli altri". Per lui il fanatismo assassino perde la sua connotazione negativa e terribile e acquista una dimensione etica addirittura nobile. Incredibile.

Mi verrebbe da pensare che, pur essendo passati tanti anni, Rovelli continua a cantarsela e a suonarsela come pare a lui. Per esempio scrive: "La libertà estrema di quegli anni, ....... qualunque idea sembrava modificabile". Non è vero! Non è vero che i giovani come lui fossero disponibili a modificare qualunque idea. Erano invece totalmente prigionieri di una idea ossessiva cioè dell'utopia rappresentata dal "mondo nuovo da costruire", liberato finalmente da ogni bruttura e da ogni ingiustizia. Erano prigionieri dell'illusione che il bello, il buono, il giusto e il vero appartenessero solo al loro sogno e che nella società tutto il resto fosse rappresentato da negatività che bisognava distruggere. Gli psicologi hanno dato un nome preciso a questo meccanismo psichico, l'hanno chiamato PROIEZIONE.

A Rovelli sfugge il danno tremendo che nella società ha prodotto il '68 e, prima ancora, l'incubatrice delle sue idee rappresentata dalla Scuola di Francoforte, in particolare la sua ricerca pubblicata nel 1936 con il titolo "Studi sull'autorità e la famiglia", autori Horkheimer, Fromm e Marcuse. È nato lì l'errore, clamorosamente negativo e funesto per la società, rappresentato dall'avere confuso l'autorità con l'autoritarismo. Ogni giorno che passa, la cronaca nera, ma non solo quella, ci documenta lo sfascio etico prodotto nella società da quell'errore iniziale.

È da quell'errore iniziale che è nato il famoso VIETATO VIETARE cioè il rifiuto di ogni paletto, di ogni divieto, di ogni freno, di ogni limite (vedi il diffondersi della moda dello sballo = piacere di infrangere e oltrepassare ogni limite) e soprattutto di ogni norma e figura che dica "Questo non lo devi fare, e se lo fai sarai punito". Ci si è illusi che questa figura che pone le regole - e punisce quando non sono rispettate - potesse, anzi dovesse essere sostituita dalla figura che invece dialoga, dimostra, convince. Come se l'essere umano, specialmente quello giovanissimo, fosse sempre disposto a farsi convincere dalle argomentazioni pacate e tranquille. A questo proposito vi rimando a quanto scrisse un visitatore del mio sito a commento di un mio articolo. Lo riporto qui in fondo per vostra comodità.

Il rifiuto del divieto, poi, si è portato appresso come conseguenza inevitabile anche il rifiuto da parte dell'individuo di essere valutato, giudicato, pesato sotto il profilo del merito. Ancora oggi il farlo viene considerato discriminatorio, ingiusto, oppressivo, escludente, classista. Non sia mai, vade retro Satana! La scuola è il principale campo in cui questo modo di pensare - falsamente riparatore delle differenze sociali - ha prodotto le devastazioni maggiori. Il motivo è semplice: un titolo di studio ottenuto con facilità, senza studiare troppo, finisce per non avere più valore. E questo ha addirittura penalizzato ulteriormente i giovani provenienti dalle classi più povere perché il "pezzo di carta" che adesso rilascia la scuola italiana vale poco, mentre i figli dei borghesi vanno a studiare nelle scuole estere prestigiose. Il risultato finale è stato che la qualità della nostra scuola è retrocessa agli ultimi posti nelle graduatorie internazionali e i giovani poveri non hanno più l'ascensore sociale che una volta metteva a loro disposizione una scuola seria che valutava i meriti e selezionava i più bravi.  Bel risultato, bello davvero.

A gettare benzina sul fuoco si è poi aggiunto un malinteso montessorismo da quattro soldi che dà per scontato che ogni genitore, ogni insegnante e ogni scuola possiedano la preparazione, il tempo, la capacità e le attrezzature necessarie per una educazione veramente montessoriana.

In quel periodo storico, che in Rovelli suscita una così struggente nostalgia, venne poi commesso anche un altro errore forse ancora più esiziale per la società: all'uguaglianza Autorità = Autoritarismo venne aggiunto, come sinonimo quasi automatico, soltanto il termine Fascismo

Autorità = Autoritarismo = Fascismo

La conseguenza terribile di questo errore (fu involontario?) fu che tutta la riprovazione e tutta la condanna sociale si concentrarono esclusivamente sul fascismo escludendo così dalla condanna il comunismo-marxismo che in tal modo poté falsamente apparire come stella polare da seguire a quei giovani che secondo Rovelli possedevano un senso morale più assoluto degli altri cioè ai terroristi rossi.

È da attribuire a quell'errore (involontario?) se oggi nella mente dei più la parola repressione evoca soltanto l'aggettivo fascista, quasi fosse una tautologia. Eppure il comunista Stalin ha ucciso milioni di esseri umani e tanti altri li ha condannati a soffrire nei gulag pene incredibili. Però nell'immaginario collettivo la repressione è solo fascista!

Tutto questo sfugge allo scienziato nostalgico Rovelli, così come gli sfugge che, quando si vuole costruire un mondo totalmente perfetto, è inevitabile che si finisca per considerare accettabile anche il pagamento di prezzi esorbitanti, specialmente se a pagarli sono gli altri.

Un altro errore madornale commesso dai giovani sessantottini - errore che anch'esso sfugge a Rovelli - è l'avere colpevolizzato in blocco la società occidentale considerata il ricettacolo di tutti i mali. Per avere un elenco di questi mali basta volgere in negativo tutte le virtù che secondo loro avrebbero caratterizzato il mondo nuovo che vagheggiavano e volevano costruire. Leggere il suo articolo per averne l'elenco, probabilmente anche incompleto. L'autocolpevolizzazione di questi ingrati figli dell'Occidente, però, viene smentita e contraddetta dai milioni di persone che oggigiorno rischiano la vita pur di venire a vivere proprio nella nostra società "corrotta, ingiusta e depravata" che i sessantottini volevano abbattere e ricreare dalle fondamenta. Questo è un fatto innegabile che viene confermato da ogni "barcone" che quasi quotidianamente approda alle nostre coste. Essendo un fatto, allora, vale molto più delle sue interpretazioni sociologiche. La società in cui viviamo è allora perfetta? Tutt'altro, ma per correggerla bisogna guardarsi dal ricorre all'odio quasi teologico e al millenarismo secolarizzato.

Lui e quelli che pensano come lui dicono che tutte le rivoluzioni importanti della storia hanno comportato sacrifici enormi, fiumi di sangue versato e sofferenze indicibili. È vero, ma le conquiste della rivoluzione del '68, pur essendo state molto importanti, francamente non appaiono cosi fondamentali da giustificare lo sconquasso di cui oggi ancora continuiamo a pagare le conseguenze. I popoli dell'ex Unione Sovietica, per esempio, hanno conquistato la libertà in una sola notte, quella in cui è caduto il muro di Berlino, e senza versare una sola goccia di sangue.

Anch'io riconosco e apprezzo i risultati positivi del '68. Non sto a ripeterli perché sarebbe come ripetere che la settimana è fatta di sette giorni. Li abbiamo sentiti ripetere e magnificare tante di quelle volte che da parte mia sarebbe tempo perso stupidamente. Secondo me, oggi c'è un urgente bisogno di riconsiderare il '68 valutandone sia gli aspetti positivi sia quelli negativi. Questi ultimi, tra l'altro, hanno finito per essere adottati inconsapevolmente anche da persone che non appartengono idealmente al mondo dei sessantottini e dei loro eredi. Su questo argomento Saverio Vertone pubblicò nel 1992 "L'ultimo manicomio", libro illuminante che sarebbe utilissimo ristampare.

Mi capita spesso di leggere articoli o di assistere a talk show in cui si producono fiumi e fiumi di parole che però girano attorno alla causa principale dei tanti sfasci di cui soffre la nostra società. Dicono: è colpa della scuola, no è colpa della famiglia, no è colpa dei valori, no è colpa della droga, no è colpa del buonismo, no è colpa del consumismo, no è colpa del capitalismo arrivato alla sua fase terminale, no è colpa della società, ecc.

Secondo me, invece, la causa principale dello stato pietoso in cui oggi versa la nostra società sta nell'errore che ha commesso il '68 e, prima ancora, la "Scuola di Francoforte". Intendo dire quello che ho evidenziato in giallo più sopra. Ho sottolineato l'aggettivo "principale" perché ci sono sicuramente anche altre cause, ma o sono secondarie o sono derivabili da quella principale.


P.S. - L'articolo di Rovelli parla del '77 mentre il mio parla del '68. Apparentemente sembrano riferirsi a due periodi storici diversi. In realtà, in quei dieci anni l'immaginario collettivo del mondo giovanile  non è cambiato nella sostanza. L'unica differenza sta nel senso di delusione che nel '77 si è fatto sempre più forte. Delusione per le speranze di rivoluzione totale che non si erano avverate. Ho preferito riferirmi al '68 anziché al '77 perché quella è sicuramente la data più emblematica di quel periodo storico.

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Caro Romano,

mi sto concedendo la lettura di alcune pagine del tuo sito. Ogni tanto riesco a distrarmi dai soliti articoli tecnici, procedure e menate varie, e "apro la finestra" per respirare un poco d'aria diversa dalla solita.

Devo dirti subito che trovo di estremo interesse e condivido quasi tutto il tuo pensiero sugli argomenti che fino ad ora ho letto. Anzi in alcuni casi - leggi "punibilità e permissività per il trattamento di alcuni reati" - io sarei più duro e immediato perché credo che questo atteggiamento aiuterebbe moltissimo la prevenzione.

Ricordo che quando ero ragazzo.... le mie decisioni erano più istintive, animalesche, superficiali. Non tenevano conto, perché non potevano farlo, di profonde riflessioni maturate attraverso la lettura di libri o grazie a decenni di esperienza di vita. Subivano solo l'influenza dei modi di fare e di dire del mio gruppo di coetanei. Il mio deterrente, a quel tempo, era solo il timore che "se rubavo la marmellata, i miei - che pure mi volevano bene - mi avrebbero corcato de botte". Questo mi ha evitato in molti casi di fare danni.

Qualche anno dopo ho capito che mangiare a sbafo la marmellata mi avrebbe provocato il mal di pancia, predisposto al diabete, vanificato regole di comportamento che pur ci devono essere quando si vive in comunità, avrei sottratto le porzioni dei miei fratelli che pur ne avevano diritto. Insomma, è così lungo,  noioso e spesso inutile cercare di convincere i bambini a comportarsi bene che un bel deterrente "applicato con le cinque dita della mano" spesso risolve il problema in attesa che maturino tempi migliori per la riflessione e l'autoconvincimento.

Quanto sopra è certamente perfettibile. Infatti può capitare di incocciare nella punizione sbagliata o ingiusta, di incappare in errori. Io credo che un miglioramento del sistema educativo possa scaturire da un bilancio non ideologico-passionale tra i vantaggi e gli svantaggi prodotti dall'atteggiamento permissivo e ultragarantista come quello attuale.

[...]

Chi ha fatto il militare sa che spesso i soldati si comportano secondo le "regole" non per convincimento, ma per paura di essere messi di "corvée". Per carità, con questo non voglio giustificare inquadramenti ottusi e coattivi come quelli praticati in quell'ambiente. Sono scappato dalla Marina Militare appena ho potuto, infatti, ma "quanno ce vò, ce vò" !

Ciao, Vincenzo.

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Il commento riportato qui sopra si riferisce all'articolo "Erika e Omar"






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