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Femminismo


A metà agosto di quest'anno (2009) l'Unità ha pubblicato questi due articoli sullo stato attuale del femminismo, rispettivamente di Lidia Ravera e di Benedetta Barzini. Ne ho approfittato per proporre in rete ad alcuni amici e amiche qualche riflessione sull'argomento. Una collega psicoterapeuta mi ha risposto dando così origine ad uno scambio che riporto qui sotto. Comincio con il mio commento e lo faccio seguire da quello della collega Barbara Pesenti, sito web: 

http://www.centrocontatto.org/Barbara%20Pesenti.html



Cari amici e amiche,

sull'Unità del 13 e del 17 agosto sono comparsi gli articoli che allego. Le riflessioni in essi contenute sono quasi tutte condivisibili, ma ce n'è una che secondo me merita un commento. In entrambi gli articoli la responsabilità principale del "riflusso" viene attribuita all'UOMO, alla sua FORZA, alla sua PREPOTENZA. In sostanza, i due articoli sono improntati al VITTIMISMO da parte delle donne, atteggiamento molto diffuso nella società di oggi, è sempre colpa di qualcun altro, dei politici, della scuola, della società, degli antecedenti storici, della famiglia, del consumismo, delle periferie degradate, delle strutture fatiscenti, della corsa al successo comunque ottenuto, ecc.

Ora io voglio proporvi anche un'altra chiave di lettura che, intendiamoci, non esclude quelle usate dalle due femministe autrici degli articoli: non credete anche voi che USARE il CERVELLO e GESTIRE la LIBERTÀ sia molto più faticoso e difficile che aprire le gambe nei "lettoni" dei potenti di turno?

Voglio dire che gli uomini devono fare autocritica, d'accordo, ma in questo settore una parte di responsabilità per il cosiddetto "riflusso" va addossata anche a certe donne che si adattano volentieri a preferire la piacevole scorciatoia in discesa alla faticosa e scomoda strada in salita.

Il mio punto di vista è da attribuire solo al mio becero maschilismo o ha un fondamento di verità almeno in parte condivisibile?

Ciao a tutti, Romano.

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Caro Romano,

ho letto i due articoli allegati e ho avuto una impressione diversa dalla tua. Entrambi mi paiono una seria riflessione sulla fine o meglio "l'interruzione", come dice la Ravera, dei movimenti femministi e della loro lotta. L'altra giornalista, tra le altre cose, riporta una conclusione interessante che non posso non condividere in quanto donna: 

"I tempi della Storia sono lunghi. Le donne in Italia hanno attraversato la fase della «denuncia» – ora siamo in quella del districarsi nella complessità  della consapevolezza. Le fasi della presa di coscienza sono diverse in ogni cultura: di sicuro questi sono i tempi in cui il femminile inizia a esistere".

 L'idea che l'attuale stato di degradazione dell'Italia, come dell'intero pianeta, sia di responsabilità dell'uomo, inteso come genere maschile, non è un'opinione né un lamento: è un dato di fatto derivante dalla continuità storica (economica, culturale e sociale) del patriarcato nelle nostre società. Siamo, fondamentalmente, figli e figlie di "dio-padre". Siamo, se lavoratrici e lavoratori, fondamentalmente, operai ed operaie, impiegati e impiegate di "dei-proprietari" di fabbriche, aziende, società petrolifere, banche, società, compagnie assicurative. Siamo, se difendiamo o attacchiamo paesi, fondamentalmente, soldati e soldatesse in guerre coloniali stabilite e decise da un consesso di "dei" che si contendono risorse sullo scacchiere del mondo. Siamo, se religiose e religiosi, credenti in una parola interpretata e diffusa da "dei-sacerdoti" di un dio: il papa, l'imam, il capo della chiesa ortodossa, etc. Non si rilevano sacerdotesse che contano dai tempi di Cassandra (e lei era già considerata una "pazza", è da notare, come data di inizio del declino del matriarcato forse).

Potrei continuare l'elenco nel campo del sapere intellettuale, come in quello scientifico che sono organizzati e strutturati gerarchicamente, secondo una visione umana maschile, come vere e proprie sedi di potere difficili da contrastare in modo democratico e libero. Per arrivare all'informazione, nostra ultima frontiera, nostro avamposto sul futuro: editoria, televisione, radio, web, satelliti, in mano a pochi "dei" che se ne contendono le quote di "proprietà".

Non è un lamento, è un'evidenza di cui non dimenticarsi perché da qui si parte, da una questione di "ingiustizia" e di "schiavitù". Se la dimentichiamo cominciamo a pensare e a progettare azioni di emancipazione in modo non esatto, non veritiero e non efficace. L'etica invece impone memoria storica, lucidità e consapevolezza.

Non utilizzo a caso il termine "dei" (come puoi immaginare facendo un mestiere simile al mio). Dio-padre-figlio è una trinità che regola e sorregge la nostra esistenza da millenni, e che solo quarant'anni fa abbiamo cominciato a mettere in discussione (e per "abbiamo" intendo noi donne, poi di seguito un certo numero di uomini, compagni, fratelli).

Il femminismo, anche quello che cominciò fra le anarchiche di metà ottocento, fu uno speciale tentativo di riappropriarsi della "dea-madre", cioè di quella forza naturale che crea, unisce, regna pacifica. Questo tentativo non èancora compiuto. È interrotto. La lotta è interrotta. Non dimentichiamoci che di lotta si tratta, ancora, sia nella sede profonda della nostra anima che nel teatro del mondo e della società nella quale viviamo, senza dimenticarci della sede-famiglia e prima ancora dello spazio di coppia. È una lotta psicologica, culturale, economica, nel senso che in ognuno di questi campi della nostra vita è presente un conflitto dato dalla discriminazione che un sesso adopera a scapito dell'altro.

Detto ciò sono d'accordo con te quando affermi che la posizione del vittimismo non conduce al progresso in seno a tale conflitto tra femminile e maschile, tra "dei" e "dei". Tuttavia non credo che le donne che "aprono le gambe" nel lettone, non "usano il cervello" e non "gestiscono la propria libertà, basta pensare alla D'addario che ha registrato tutto il registrabile, lo ha venduto alla testata giornalistica più nota del paese e da lì ne ha ricavato, oltre che del danaro, una immagine di certo migliore di quella di Berlusconi. Dipende come è abituato un uomo, che non è mai stato considerato "schiavo" o "puttano", a declinare il concetto di uso del cervello e di gestione della libertà, senza offesa. Non credo che le piaccia fare la escort alla D'addario, in tutta onestà, ma credo che la degradatazione dell'anima di una donna, della sua dea interiore, sia un fatto diverso dall'uso del cervello e che sia direttamente connesso alla degradazione in cui la pongono naturalmente i maschi che circondano la sua vita. Io, personalmente, non ho conosciuto un uomo che fosse rispettoso pienamente della mia natura femminile e che non approfittasse del potere di cui gode a livello morale, familiare e culturale. Non uno, e non la sto sparando grossa. Credo possa dirsi così per ognuna di noi.

Questo è solo un invito ad una riflessione profonda e attenta tra uomo e donna, non una critica a quanto hai scritto, o meglio, non una critica distruttiva ma semmai costruttiva.

Se sai un poco di spagnolo ti invito a collegarti al sito di un collettivo di donne di La Paz, Bolivia, che trovo molto interessante e creativo. Basta che digiti "mujeres creando".

Per quanto riguarda il discorso di dee e dei, trovo molto interessante il lavoro di Jean Shinoda Bolen, una psicoanalista junghiana di matrice femminista, che ha scritto due libri. "Le dee dentro la donna" e "Gli dei dentro gli uomini".

Per concludere, voglio ricordare tutte quelle donne, femministe nell'anima, che non hanno mai lottato solo per se stesse ma sempre anche per gli uomini, e questo è un fatto unico e speciale di cui il genere femminile, nella sua maternità e nel suo spirito solidale, dà prova. È un fatto importante da ricordare. 

Non ci sono stati, per esempio, solo desaparecidos ma anche desaparecidas. In ogni caso ci sono state molte torturate e violentate: come mai, quando le vittime sono donne non si formano comitati di uomini per richiedere il ritorno a casa dei corpi delle loro mogli e figlie e madri o per richiedere la condanna degli stupratori e torturatori; mentre nel caso opposto abbiamo l'esempio delle Madres de Plaza de Mayo?

Non essere "contro" ma essere "pro", questa è la grande capacità che dobbiamo sviluppare e verso la quale il femminismo dei '60 doveva naturalmente evolvere. Il collettivismo è la nostra forza.

Un saluto a te... e alle altre.

Barbara

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Cara Barbara,

il tuo intervento mi ha fatto piacere perché lo scambio di idee diventa interessante solo quando avviene tra persone che hanno punti di vista differenti. Altrimenti che sugo c'è? L'importante è che ci sia un genuino desiderio di scambiare le idee e non il bisogno di aggredire "a prescindere" che era caratteristico di certe femministe esaltate di una volta. Non so se la conosci, ma a questo proposito mi viene in mente Elvira Banotti la quale arrivava all'evidente assurdo di sostenere che OGNI RAPPORTO SESSUALE È UNO STUPRO. Una volta ebbe un confronto televisivo con il regista Tinto Brass e lo massacrò letteralmente, tanto che lui da allora la chiama Evira Banotti!   :-)

Il discorso sul femminismo nella sua globalità è troppo complesso e non si presta ad essere trattato in uno spazio limitato come quello che abbiamo a disposizione in questa nostra piccola mailing-list. Tuttavia alcune considerazioni veloci possiamo sempre farle. Per quanto mi riguarda, sono d'accordo su quasi tutti i punti da te messi in evidenza, in particolare sulle responsabilità che ha il patriarcato per la posizione subalterna nella quale ha tenuto la donna e in parte ancora la tiene.

Quello che non mi sento di condividere, invece, è il giudizio totalmente negativo e senza appello che certe femministe danno nei confronti del patriarcato. A sentire loro, sembra che abbia compiuto solo "sfracelli" e soprusi. A me sembra che non sia vero. Sappiamo tutti che un bilancio - se vuole essere completo e giusto - deve comprendere non solo le voci negative, ma anche quelle positive. Nel bilancio del patriarcato ce ne sono parecchie e non di poco conto. Per esempio, è stato il patriarcato a liberare la donna dall'obbligo di scodellare 10-15 figli da impiegare come forza lavoro nei campi; oppure dalla dipendenza economica totale nei confronti del marito, infatti oggi la maggior parte delle separazioni avviene su richiesta delle donne; oppure dall'incubo di restare incinta ogni volta che fa l'amore; oppure dalla schiavitù del lavatoio per i panni e per le stoviglie; oppure dall'obbligo di fare chilometri e chilometri con in testa un orcio pieno d'acqua; oppure dalla condanna a restare ignoranti. Il concetto di GIUSTIZIA al quale adesso fanno appello le femministe è nato, è cresciuto e si è propagato nella società patriarcale. Per non parlare dello sviluppo enorme della scienza e della tecnologia che ha migliorato le condizioni di vita di miliardi di esseri umani, senza distinzione di sesso. In questo momento noi ci stiano scambiando le idee grazie a due prodotti del patriarcato cioè il computer e internet.

La realtà non è mai in BIANCO e NERO, anzi in essa prevale quasi sempre il GRIGIO. E il grigio è meno comodo e facile da studiare e da capire. Il grigio, inoltre, ha anche un altro handicap: non riesce a mobilitare le FORTI EMOZIONI che invece sono necessarie per indurre la gente a scendere in piazza e fare le rivoluzioni. Ma a me sembra che oggi non siamo più nella fase acuta della rivoluzione femminista perciò possiamo permetterci di scendere dalle barricate e cominciare a usare il cervello anziché le passioni. Io credo che sia sempre possibile trovare un punto di intesa quando ci si libera dai "furori" (sia pure legittimi e sacrosanti) della battaglia.

In ogni modo, il mio intento nello scrivere le poche righe alle quali hai risposto era solo quello di mettere in evidenza un aspetto molto limitato della questione e non di parlare del femminismo a tutto campo. Adesso provo a spiegarmi meglio. L'intelligenza alla quale mi riferivo non è dello stesso tipo che ha usato Patrizia D'Addario. Anche a volerla considerare tutta farina del suo sacco (e molti ne dubitano), quella io la definirei piuttosto FURBERIA e neanche troppo elaborata.

Quello che volevo limitarmi a dire con il mio precedente intervento è sintetizzato in questa semplice domanda: "L'intelligenza, la fatica, l'impegno, il sacrificio che hai usato tu per laurearti o che ha usato Rita Levi Montalcini per meritarsi il Nobel sono gli stessi che ha usato la D'Addario per aprire le gambe nel lettone di papi?". La risposta mi sembra ovvia e scontata. Per finire, a volte ci si prostituisce perché costrette/i dalla società, ma altre volte perché COSTA MENO SUDORE che studiare e lavorare. Voglio dire che non sempre siamo VITTIME di qualcuno o di qualcosa. Una certa sociologia ci ha abituato a dare sempre la colpa a qualcun altro, adesso dovremmo cominciare a tirare in ballo anche la RESPONSABILITÀ personale per quello che ci accade, altrimenti consideriamo le persone come semplici PEDINE che si lasciano muovere passivamente di qua o di là come se fossero COSE inanimate. Non mi sembra una bella concezione dell'essere umano.

Ultimissima: solo quel pirla del papi può illudersi che a 73 anni le donne gliela diano perché non sanno resistere al suo fascino di conquistatore. Ma restiamo seri, non buttiamola sul ridicolo.

Con simpatia, ciao, Romano.

PS1 - Nella mail parli anche delle tue esperienze personali in materia di rapporto uomo-donna. Su questo non sono in grado di fare commenti, posso solo prendere atto di quanto scrivi e augurarti migliore fortuna per il futuro.

PS2 - Purtroppo non conosco lo spagnolo quindi mi servirebbe a poco andare sul sito che mi consigli.

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