Sull'Espresso del 2 ottobre 2003 è comparso un articolo di Giorgio Bocca intitolato "Il revisionismo degli opportunisti intriganti" che rappresenta la prova evidente di quanto anche una persona intelligente e colta possa rinunciare alla facoltà di ragionare in maniera onesta quando è scossa dai furori polemici. Una volta quello che scriveva Bocca mi piaceva, leggevo con interesse i suoi articoli ed anche i suoi libri. Sono andato a controllare nella mia biblioteca e ho visto che ce ne sono 16, compreso il corposo centone "Dalle origini all'età contemporanea". Appena usciva un suo nuovo libro correvo in libreria per acquistarlo. Poi, col passare del tempo, si sono accumulati parecchi motivi che mi hanno indotto a interrompere questa abitudine. Comincerò da quelli più antichi:
Al tempo delle Brigate Rosse, nei suoi articoli Bocca è stato tanto "garantista" con loro per quanto in seguito è stato "giustizialista" col magistrato Carnevale. Sorge spontaneo il sospetto che il garantismo di allora gli sia servito da scudo per proteggere la propria vita o le proprie gambe. A quel tempo, infatti, i terroristi sparavano anche ai giornalisti, sia in alto che in basso. Vedi Tobagi e Montanelli. Un bel para... vento, non trovate anche voi?
Al tempo dello scandalo dei giornalisti corrotti mise prudentemente le mani avanti raccontando di avere preso, in regalo da un industriale, dei "lingottini d'oro" che avrebbe poi lasciato sulla scrivania di casa, da dove sarebbero spariti per colpa di una sua fantomatica domestica extracomunitaria. Non ho mai capito bene per quale strano motivo un industriale dovrebbe fare regali così consistenti ad un giornalista. Comunque sia gli credo, anche a me capita spesso di lasciare sulla scrivania "lingottini d'oro" come se fossero caramelle.
Ha sempre parlato con disprezzo dei salotti della borghesia settentrionale. Contemporaneamente, però, ci teneva a far sapere che i borghesi lo invitavano proprio in quei salotti da lui tanto disprezzati, ed anche sulle loro barche da regata.
Ad un certo punto non si è accontentato più di essere un bravo giornalista - perché lo è, senza dubbio - e ha cominciato a montarsi la testa, a credersi un letterato in quanto riceve, con noia ostentata e infastidita, molti dattiloscritti da parte di aspiranti scrittori che gli chiedono di leggerli e valutarli . È lui stesso a raccontarlo.
A dire il vero, non è l'unico tra i giornalisti nostrani ad avere questo vezzo, cioè a mostrare la tendenza a non accontentarsi più della bravura giornalistica. C'è anche chi, arrivato all'apice della carriera, ha cominciato a sentirsi filosofo. Come se bastasse citare Kant per esserlo davvero! Tanto per non fare nomi, Eugenio Scalfari, "Incontri con io", Rizzoli, 1994.Finché il mito della "Resistenza" è stato un mito pagante, cioè per decenni, ha continuato ad esibire le sue credenziali da "partigiano". Non c'era trasmissione televisiva alla quale partecipasse senza tirarle fuori, prima o poi. In una di queste trasmissioni, inoltre, l'ho udito affermare: "Da partigiano io non ho mai ammazzato nessuno, né Tedeschi né fascisti". In un'intervista pubblicata sull'Espresso del 12/2/04, invece, ammette di avere ucciso a freddo un prigioniero tedesco (Hans). Anche bugiardo, dunque. Quale credibilità può avere una persona che mente così sfacciatamente davanti a tutti e su un argomento così importante?
C'è in lui un'acrimonia continua, un costante livore astioso che lo spinge a dividere il mondo in BUONI e CATTIVI e a schierarsi sempre, naturalmente, dalla parte dei cavalieri "immacolati". Intendiamoci, questo suo atteggiamento alla fine risulta essere anche utile perché nell'economia generale della società ci vuole anche chi esercita la critica. Ma a me interessa, come ho detto più volte, l'aspetto psicologico delle questioni. E allora Bocca, a livello di persona, lo trovo ideologico nel senso peggiore del termine, afflitto da una mania a senso unico che lo spinge a vedere soltanto il MALE, e a vederlo soltanto da una parte. È troppo fazioso, sempre, ma nell'articolo del quale mi propongo di parlare ha superato ogni limite, ha mentito sapendo di mentire. La mia curiosità di psicologo mi spinge a chiedermi quale potrebbe essere la causa di questo suo comportamento poco rispettoso della verità dei fatti. La prima spiegazione che mi viene in mente è quella da lui stesso indicata in un suo libro scritto nel 1989, "Il padrone in redazione", che già nel titolo fa capire il contenuto, ma non mi convince affatto perché oramai lui è vecchio e ricco abbastanza da non essere più ricattabile sul piano dei "sesterzi". Una cosa comunque è certa, dei due piatti della bilancia lui ne carica sempre uno solo e spesso ci appoggia sopra anche il dito pesantemente come usavano fare i commercianti disonesti di una volta. Si avverte lontano un miglio che gli cova dentro un odio sordo che deve scaricare in qualche modo se vuole continuare a vivere.
E adesso veniamo all'articolo vero e proprio. Non meravigliatevi, ma sono totalmente d'accordo con Bocca finché si limita a denunciare la pochezza dello spessore culturale di certi uomini politici del centro-destra. Anch'io mi sento stringere il cuore quando sento parlare certi personaggi che vedrei meglio sulla piazza del paese a fare i sensali di bestiame - scrivendo questo, spero risulti chiaro che non critico Bocca per ingraziarmi i potenti di turno (2003) - ma lui, per quanto fazioso, non dovrebbe arrivare a mentire così spudoratamente come fa quando scrive: ".... la cultura egemone dopo la Resistenza e la nascita della Repubblica democratica era in realtà la cultura tout court, quella di sempre arricchita da contributi marxisti ".
Queste cose Bocca può andare a raccontarle solo a chi non è vissuto in quel periodo oppure agli sprovveduti. Per dare una parvenza di prova alla sua spudorata affermazione egli dice che a quel tempo venivano pubblicati anche autori liberali - e cita alcuni nomi - quindi non solo quelli marxisti. Ora anche lo scemo del villaggio sa che una egemonia culturale non ha bisogno di negare totalmente la parola agli scrittori dissidenti, le basta ostracizzarli, ridicolizzarli, farli apparire ingenui o dalla parte sbagliata della Storia, accusarli di essere al servizio del nemico, cioè provocatori prezzolati, nel migliore dei casi ignorarli.
Contrariamente a quanto afferma Bocca, la cultura egemone dopo la Resistenza e la nascita della Repubblica democratica è stata solo quella marxista, cioè una cultura onnipervadente, delatoria, occhiuta, totalitaria, asfissiante, censoria, spocchiosa, accusatoria, intollerante, ricattatoria. Una cultura che ti propinava Carlo Marx anche nel caffellatte del mattino. Ne fa fede la valanga sterminata di pubblicazioni ispirate al marxismo che ha inondato le librerie fino alla caduta del muro di Berlino, ed anche dopo. E questo non per i meriti intrinseci delle singole opere, ma solo perché erano massicciamente sponsorizzate dal partito comunista. Il marxismo era riuscito a penetrare perfino nella Chiesa cattolica, terreno che avrebbe dovuto essergli precluso per definizione. C'è voluto l'attuale papa (Giovanni Paolo II) per ricondurre tanti sacerdoti alle loro origini dottrinarie.
Molti autori, fior di studiosi, hanno dovuto subire gli anatemi emessi da quella confraternita che "giudicava e mandava" senza appello, decretando il successo o l'insuccesso di qualsiasi iniziativa culturale. Ma magari si fosse limitata soltanto a questo! Gli anatemi erano sempre accompagnati da attacchi sul piano personale che miravano a demolire il dissidente anche sul piano morale. Il caso più eclatante, forse, è stato quello di Renzo De Felice. Il più recente, proprio di questi giorni, è quello scoppiato dopo la pubblicazione del libro di G. Pansa "Il sangue dei vinti". Per farsi un'idea della virulenza censoria che erano capaci di mettere in atto nel periodo in cui la loro egemonia era incontrastata, basta vedere come ancora oggi insorgono compatti - una sorta di riflesso condizionato che è andato consolidandosi con l'uso pluridecennale - per dare del falsario a chi osa proporre qualsiasi prospettiva della storia che si discosti da quella proposta-imposta dalla vulgata marxista. Altro che ... cultura tout court... arricchita da contributi marxisti, caro il mio Bocca!
Poiché a me piace documentare quello che scrivo, sono andato a ripescare dagli scaffali della mia biblioteca un libro, scritto da Ruggero Guarini e Giuseppe Saltini, intitolato "I primi della classe". È un'antologia di quei contributi marxisti che secondo Bocca avrebbero arricchito la cultura. Oramai non si trova più nelle librerie, ma sarebbe utile ristamparlo, non tanto per rivangare il passato quanto perché molti di quei "Primi della classe" li troviamo ancora oggi impancati sulle cattedre - reali o simboliche - da dove continuano a darci lezioni. Solo che queste adesso sono di segno opposto rispetto a quelle che ci infliggevano allora. Specialmente i giovani trarrebbero utile insegnamento da quella lettura, per aprire gli occhi e cercarsi maestri più credibili.
Lo diceva Petrolini nella macchietta di Gastone e lo ripeteva Alberto Sordi in uno dei suoi film: "A me m'ha rovinato la guerra". Potremmo modificare la celebre frase in questo modo: "A noi Italiani ci rovina la troppa furberia". Sì, ci rovina perché alla fine i nodi vengono comunque sempre al pettine, nonostante tutte le nostre vantate furberie. Lo dimostra, per esempio, il fatto che i post-comunisti non possono permettersi di designare uno di loro come capo del governo - come sarebbe sacrosanto essendo loro il maggior partito dell'opposizione - e sono costretti a servirsi di una faccia non compromessa con il loro passato di sostenitori di Stalin. Lo dimostra anche il fatto che i post-fascisti, per fare accettare le loro cambiali, hanno bisogno di qualcuno che le avalli. Conosciamo tutti la storia dello "sdoganamento dei voti della destra" da parte di Silvio Berlusconi.
Sia gli uni che gli altri hanno voluto fare i furbi, ma la furberia paga soltanto nell'immediato. È sufficiente infatti che la polemica politica si infiammi un po' ed ecco che subito i post-comunisti ed i post-fascisti tornano ad essere etichettati "stalinisti", "neofascisti", "nipotini di Salò". E giustamente, secondo me, perché i rovesciamenti di fronte politico - quando sono di quella entità - risultano credibili soltanto a una condizione: che ci sia un ricambio completo della classe dirigente. In soldoni, quelli che avevano gestito le ideologie che adesso vengono ripudiate dovevano andarsene a casa e lasciare il campo a chi non è compromesso col passato. Invece no, i nostri hanno voluto fare i furbi, per cui quelli che oggi condannano il comunismo o il fascismo sono le STESSE persone che ne hanno professato le idee per tutta la vita. E spesso si dichiarano anche orgogliose del loro passato! Ecco allora che oggi ci ritroviamo sia con un fascista che va alle Fosse Ardeatine e mette il nome di Antonio Gramsci nello statuto del proprio partito, sia con un giornale come l'Unità che oggi vuole essere socialdemocratico (ricordiamoci che una volta i socialdemocratici l'Unità li chiamava "socialfascisti" e "socialtraditori" ), ma il 6 marzo 1953 titolava a tutta pagina:
Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità
STALIN È MORTO
stalinista, adesso socialdemocratico! Com'è possibile tutto questo? È possibile, è possibile, visto che viviamo nel paese dei furbi. Qualche sera fa, in televisione, il senatore Cesare Salvi (dei Democratici di Sinistra e vice presidente del Senato) ha avuto l'improntitudine di affermare: "Il Partito Comunista Italiano è stato sempre socialdemocratico". L'ho guardato attentamente, mentre pronunciava questa colossale menzogna storica, per vedere se qualche muscolo del suo viso tradisse almeno un minimo di disagio. Ma niente, assolutamente niente, una faccia come il bronzo, per non dire di peggio. Il disgusto che provo per la politica deriva anche da comportamenti simili a questo. Perché capita spesso di incontrare persone che scambiano questa sfacciataggine ignobile per "realismo politico", per abilità politica da ammirare e apprezzare.
Lo stesso giornale, la stessa testata! PrimaNoi Italiani siamo molto smemorati, è risaputo, allora converrà dare una spolveratina alla nostra memoria andando a leggere qualche brano del libro di Guarini e Saltini che ho citato sopra. Poiché non si trova più in commercio, un poco alla volta ne pubblicherò i passaggi più importanti. Lo farò nei due articoli "I primi della classe (1)" e "I primi della classe (2)", ai quali vi rimando. Sarà un'ottima occasione per verificare se è proprio vero che i contributi marxisti hanno arricchito la cultura, come afferma Bocca. Prima di finire, comunque, voglio dirgli anche che i sensali di bestiame sono sgradevoli, anzi sgradevolissimi, ma sono mille volte preferibili ai vessilliferi di quella cultura che lui rimpiange tanto, cioè la ...cultura tout court... arricchita da contributi marxisti. Perché almeno i sensali di bestiame si presentano per quello che sono, non si atteggiano a saccenti e presuntuosi professori convinti di avere scoperto le leggi della Storia.
P.S. Qualcuno mi potrebbe obiettare che la cultura vera e propria, cioè quella ALTA, è cosa diversa dai brani riportati nel libro di Guarini e Saltini. Secondo questi obiettori, i brani in questione apparterrebbero solo al piano della propaganda politica rozza e spicciola. Allora, per avere un microscopico assaggio di cosa fosse realmente la cultura marxista anche ai massimi livelli, seguite il link GEYMONAT . Poi, se vi sembra ancora troppo poco per arrivare a una conclusione certa, tornate di nuovo qui e seguite anche il link ZDANOV. Scoprirete quale concetto della cultura aveva un altro "big" di quei tempi, il pittore Renato GUTTUSO.