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La cura dell'alambicco

 

L'alambicco ha una funzione nota, separare le essenze volatili dai residui più grossolani che restano sul fondo del vaso. Anche se non è vero in assoluto, di solito alle "essenze" così estratte si attribuisce maggior valore che ai residui i quali, infatti, vengono destinati ad impieghi più ordinari. Ecco perché l'alambicco si presta bene a simboleggiare anche l'operazione mentale che permette di estrarre il  "succo-essenza" da ogni argomento di riflessione che vogliamo proporci. Se oggi io dovessi scegliere un simbolo da mettere nel mio stemma araldico non esiterei, sceglierei l'alambicco. Ho già detto altrove che mi piace molto leggere. Dopo avere letto un saggio qualsiasi, mi capita spesso di immaginare come esso apparirebbe dopo essere stato sottoposto alla cura dell'alambicco. Ebbene, quasi sempre perderebbe almeno due terzi delle sue pagine e, soprattutto, diventerebbe comprensibile e quindi fruibile anche da parte di tutta quella grande massa di lettori che invece di solito sono respinti da questo genere di letture.

Quanto tempo, quante parole, quanta carta, quanta fatica potremmo risparmiarci se chi scrive o parla fosse capace di ridurre all'essenziale l'argomento trattato! Purtroppo non capita spesso. Siamo un popolo di chiacchieroni. Avete notato cosa succede quasi sempre nelle discussioni? Si parla, si parla, si parla, il discorso si sposta continuamente da un argomento all'altro perché chi interviene non è veramente interessato al problema che è in discussione, ma vuole soltanto mettere in scena se stesso. E allora il confronto delle idee viene sostituito dal bisogno di far vedere che "il mio è più lungo del tuo". E allora, per esempio, se il dibattito ha per tema la soluzione del problema rappresentato dalla mafia, si finisce col discettare se la mafia esiste davvero oppure se ha cambiato natura nel corso dei secoli. Qualche volta queste deviazioni dall'argomento sono intenzionali e furbesche, hanno lo scopo di creare cortine fumogene attorno a qualcosa che si vuole mantenere nascosta (in questo sono maestri i politici), ma altre volte - io credo il più delle volte - hanno come matrice il "pierinismo" dei partecipanti alla discussione. I quali per questo motivo meriterebbero di essere condannati ad almeno venti anni di lavori forzati all'alambicco...   :-).

Apprezzo moltissimo ed ammiro gli architetti - quelli veri, non quelli che sanno costruire soltanto il diverso a ogni costo -  ma io personalmente sento di avere l'anima dell'ingegnere. Di un edificio mi affascinano le strutture portanti in cemento armato e penso, come l'ingegner Pier Luigi Nervi, che una soluzione tecnicamente indovinata risulta anche bella. Bella di una bellezza solida, fatta di sostanza e non di sola apparenza. Ecco perché mi piace leggere per documentarmi su un determinato argomento ma, poi, metto tutto nell'alambicco e cerco di ridurre tutto all'essenziale eliminando il materiale di riempimento. Solo a quel punto diventano visibili le strutture portanti del discorso e diventa più facile capire se sono state costruite bene oppure se, e dove, hanno bisogno di essere modificate.

Questo mia passione per l'alambicco, per l'essenziale, si manifesta anche in un altro modo. Se mi capita, per esempio, di interessarmi all'argomento "cibo", il mio pensiero non va tanto alle infinite forme in cui esso è stato confezionato nelle varie epoche e culture, quanto alla funzione che il cibo assolve in tutti gli organismi viventi: procurare all'organismo le sostanze di cui ha bisogno prelevandole dall'mbiente esterno. Se considerato da questo punto di vista, l'argomento "cibo" stimola riflessioni e sensazioni molto diverse da quelle evocate dalla lettura di un libro di ricette culinarie.

Non mi dilungo su questa mia passione per l'alambicco tanto per parlare di me - cosa che non ecciterebbe nessuno - ma per metterla a confronto con l'attitudine mentale opposta, per esempio quella che possiede chi è attratto dalla storia del cibo attraverso i secoli, tanto per restare in argomento. Nel campo della ricerca sono importanti sia la fase "descrittiva" che quella "interpretativa" ma la prima, pur essendo necessaria, si ferma alla superficie di quello che accade e a volte induce il ricercatore ad illudersi di avere "spiegato" un fenomeno solo perché ha descritto la forma in cui esso si è manifestato la prima volta, oppure tutte le forme nelle quali esso si è manifestato nel corso della storia.

Poiché l'agire è efficace solo se supportato da una conoscenza il più possibile approfondita, è necessario anzitutto mettere a fuoco il problema, poi trovare la soluzione e, infine, i mezzi più adatti per attuarla. In tutte e tre le fasi l'uso energico dell'alambicco consente di evitare il rischio di trastullarsi in chiacchiere inutili, dispersive, fuorvianti. A questo punto il mio discorso si riallaccia a quanto ho scritto nell'articolo "Un sano qualunquismo".

Molte volte gli "addetti ai lavori" reagiscono risentiti quando qualcuno usa l'alambicco per sintetizzare gli argomenti da loro trattati in modo complicato ed astruso. Non perdonano chi cerca di riportare i loro discorsi al nucleo essenziale, depurandoli dei termini inutilmente troppo specialistici. Reagiscono con indignazione perché si sentono trascinati fuori dalla loro area protetta, quindi spiazzati, esposti alla contestazione della gente comune, che loro snobbano. E allora accusano il temerario che osa applicare la cura dell'alambicco alle loro opere, di semplificazione eccessiva, di rozzezza argomentativa, di snaturamento della materia trattata. Quando vogliono essere proprio cattivi accusano l'incauto semplificatore di voler "abbassare" il discorso al suo livello di comprensione.

Se si fosse capaci di sintetizzare e semplificare i concetti, si renderebbe la cultura accessibile a quella enorme massa di persone che adesso vengono respinte dal linguaggio inutilmente complicato e prolisso con il quale vengono scritti molti libri. Sono convinto, per esempio, che avrebbe un enorme successo l'iniziativa di un ipotetico editore che decidesse di pubblicare per ogni libro importante una specie di "traduzione" del suo contenuto in un linguaggio comprensibile ai lettori di media cultura. Dovrebbe essere molto più di un semplice Bignami ed anche della pur validissima opera della Bompiani in questo settore. La collana alla quale mi riferisco non potrebbe sostituire il testo originale, è ovvio, ma rappresenterebbe un validissimo primo contatto che invoglierebbe, eventualmente, a saperne di più. In tutti i campi del sapere esistono argomenti che si presentano come oggettivamente ostici, ma in molti altri casi l'opacità, l'impenetrabilità e la pesantezza dei testi è dovuta soltanto all'incapacità dell'autore di scrivere in modo chiaro e conciso.

La cura dell'alambicco è tanto più urgente in quanto viviamo in un'epoca in cui le masse sono ormai entrate sul palcoscenico della storia. Allora, o si creano le condizioni per farle accedere alla cultura e quindi consentire loro di formarsi un'opinione il più possibile autonoma, oppure continueranno ad essere materia passiva che viene plasmata da chiunque possegga le tecniche e i mezzi necessari per portarle dalla propria parte, qualunque essa sia.

La corruzione usata per finanziare i partiti - che sta venendo alla luce in ogni nazione del mondo - dimostra quanto sia precario l'assioma secondo il quale in democrazia la volontà proviene dal basso. Se davvero fosse sempre così, non ci sarebbe alcun bisogno dei finanziamenti illeciti ai partiti! Questa è una delle tante verità troppo semplici per essere prese in considerazione dalle "teste d'uovo" che hanno bisogno di partire sempre da Adamo ed Eva quando si accingono a trattare qualsiasi argomento.

Nel caso in questione, il problema può essere affrontato in due modi molto diversi: negando la democrazia (in teoria o nei fatti), oppure rendendo la cultura digeribile anche da parte di chi non passa tutta la vita in mezzo ai libri. La cura dell'alambicco a questo dovrebbe servire.

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